Se dovessi esclusivamente limitarmi a prendere in esame il concetto di identità (dal tardo lat. identitas, -atis, deriv. di idem - formato dal pronome is, ea, id e dal suffisso dem - : la medesima cosa) da un punto di vista strettamente letterale (cioè, nel senso di ciò che è identico o uguale), non potrei fare altro che ”dichiarare forfait” e rinunciare immediatamente a pensare e/o a redigere questo articolo.
Sarei costretto a rinunciarci, in quanto, da un punto di vista semantico, non essendo possibile separare la nozione di identità da quella di individuazione, dovrei vanamente tentare di far quadrare un “cerchio” che non c’è.
Dal greco to auto e/o dal latino idem, infatti, lo stesso, il medesimo, l’identico sono nozioni di ontologia[1] formale (come unum, ens, aliquid, in latino) che difficilmente possono essere utilizzate per focalizzare, inquadrare e/o definire qualcosa di diverso o di distinto da ciò che è perfettamente coincidente, corrispondente e/o conforme ad un qualsiasi originale.
Siccome in natura, però, ogni essere umano (quale madre, al mondo, potrebbe di nuovo partorire il medesimo figlio?), ogni animale (equivalente constatazione…) ed ogni cosa (esistono due granelli di sabbia o due fiocchi di neve identici?) sono praticamente unici, originali ed irripetibili, parlare di “identità”, nel senso letterale del termine, sarebbe simultaneamente un’assurdità, una contraddizione ed un paradosso… Tanto più che - nella sfera dell’umano in particolare - nessuno può sperare di scovare qualcuno che sia esattamente identico a sé stesso. Nemmeno - suppongo - attraverso un artificiale o artificioso processo di perfetta clonazione clinica !
Tra un originale ed un clone - se l’uno, ad esempio, legge Topolino e l’altro Le Monde - su quale base scientifica si potrebbe effettivamente continuare a considerarli identici?
Se, invece, scelgo di prendere in conto la parola identità da un punto di vista estrinsecamente esegetico o interpretativo – esaminandola e valutandola, cioè, come peculiarità generale o, se si preferisce, come generica e riassuntiva similarità, affinità, compatibilità, adattabilità, conciliabilità, tollerabilità, ecc. (che, in definitiva, sono le accezioni più comunemente ritenute ed utilizzate nel nostro tempo) - allora, il significato ed il senso di questo vocabolo possono essere senz’altro focalizzati, inquadrati e/o definiti, e la discussione in merito, a sua volta, agevolmente intavolata e sviluppata.
Per cercare, dunque, di non incorrere puerilmente nelle contraddizioni in termini che – come abbiamo visto – potrebbero automaticamente conseguire o risultare dal significato e dal senso letterale di questa parola, quale potrebbe essere, ad esempio, la definizione tipo (nel senso weberiano del termine) che si potrebbe attribuire o conferire al concetto di identità?
A mio avviso, potrebbe essere questa: Essere ciò che si è, ed esserne coscienti e degni.
Naturalmente, per poterne essere coscienti, bisogna assolutamente sapere chi si è realmente (nosce te ipsum dei Latini o gnôti sauton degli antichi Greci: “apprendi a conoscere te stesso”). E per scoprire chi si è e, quindi, tentare di poterne in qualche modo essere degni, è indispensabile indagare, accertare e conoscere da dove si proviene e/o da dove si scaturisce.
Come tutti sanno, infatti, se si è informati e/o si ha coscienza da dove si viene o si sopraggiunge, si può ugualmente immaginare, intuire e/o preconizzare dove si possa andare o ci si possa rendere. Se invece si ignora da dove si proviene o da dove si parte - oltre a non potere assolutamente essere in condizione di poter stabilire un qualunque coerente o ragionevole itinerario - non si riuscirà mai ad andare in nessun posto. E questo, per l’elementare e comprensibile ragione che ovunque ci si possa dirigere, in definitiva nessuno potrà mai sperare di potere realmente raggiungere una qualsiasi destinazione !
L’identità dei Popoli europei
Questa lunga e circostanziata introduzione per dire che se oggi ci poniamo il problema dell’identità dei Popoli europei, questo vuole dire che - ai nostri occhi - i soggetti umani che attualmente li formano, li compongono o li rappresentano, hanno un’oggettiva difficoltà - da un punto di vista etnico, culturale e storico – ad auto-distinguersi o ad auto-differenziarsi nettamente (ed, ugualmente, a farsi esplicitamente riconoscere o sceverare) da altri soggetti umani che a loro volta, invece, appartengono inequivocabilmente ad altre precise e caratteristiche Società umane, adaltri particolari Popoli o ad altre specifiche Nazioni.
Che cos’è una Società umana?
Dal latino societas, -atis (deriv. di socius, ii, cioè, socio, compagno, camerata, confederato), una Società umana èun'associazione di esseri unici, originali, irripetibili e complementari, gli uni, in generale, utili agli altri e viceversa, nonché cosmicamente ordinati (o almeno, così era nelle prime manifestazioni della Polis greca e/o della Civitas romana), all'interno di una spontanea e naturale scala gerarchica di valori, di attitudini, di competenze e di responsabilità. Una scala gerarchica, all’interno della quale era impensabile che non si potesse fare una doverosa e salutare distinzione tra l’autoctono, il meteco[2], l’ospite straniero[3]ed il barbaro[4]; tra l’uomo libero, il servo e lo schiavo[5]; tra il cittadino e il non-cittadino; tra il buon cittadino ed il cattivo cittadino; tra il cittadino naturalizzato[6], l’ex cittadino (colui, cioè, che era decaduto o che era stato privato della sua cittadinanza[7]), il cittadino proscritto[8] e quello ostracizzato[9].
Che cos’è un Popolo?
Dal latino populus, i, un Popolo è una Società umana che possiede origini, lingua, tradizioni, storia e ordinamenti comuni. Questo, sia che si tratti di un Popolo sedentario (un Popolo, cioè, che è stabilmente e/o tradizionalmente stanziato su un determinato territorio), sia che ci si riferisca ad un Popolo nomade (un Popolo, cioè, che ha scelto di fissare saltuariamente la sua dimora in luoghi diversi, spostandosi ciclicamente all’interno di una certa area geografica).
Che cos’è una Nazione?
Dal latino natio, nationis (nascita, estrazione naturale) - a sua volta scaturito dal participio passato del verbo nascor, nasceris, natus (a, um) sum, nasci (nascere, essere generato; derivare, discendere) che, a sua volta ancora, aveva preso origine dall’arcaico gna-scor, gna-sceris, gna-tus (a, um) sum, gna-sci, dalla cui radice, gen / gna (ger, na), si erano formati i vocaboli genitalis, e (genitale, riguardante la generazione, la nascita), genitor, genitoris (colui che procrea, genitore, padre, origine, causa), genetrix, genetricis (genitrice, madre), gens, gentis (famiglia, casato, razza, popolo), genus, generis (stirpe, schiatta, lignaggio), ecc. – una Nazione, come precisa il Dizionario Garzanti della Lingua Italiana, è “l’insieme di genti legate da comunanza di tradizioni storiche, lingua, costumi, ed aventi coscienza di tali comuni vincoli”[10].
Se i nostri Popoli europei - come si cerca invano di convincerci (per farci più facilmente trangugiare la “pillola” della Società multietnica e multiculturale - ed aggiungerei, inevitabilmente multirazzista… - che ci viene soggettivamente ed arbitrariamente imposta dall’attuale sistema liberal-liberista-mondialista-globalista, per motivi strettamente economici) - sono attualmente la “risultante” di una serie di “miscugli” etnici, culturali e storici che si sono susseguiti negli ultimi 3.000 o 4.000 anni,questo non vuole affatto dire che essi - nel corso della Storia - non abbiano mai avuto una loro qualunque origine o una loro qualsiasi genesi.
Dal latino origo, originis, l’origine è semplicemente la nascita, la provenienza. E dal greco génesis -e`os o dal latino genesis –is, la genesi è l’origine, la generazione, il processo di formazione che ha preso naturalmente stimolo, impulso ed evoluzione dalle insondabili ed inenarrabili circostanze e vicissitudini della vita e della Storia, e/o dagli inaccertabili ed incoercibili capricci della tychè o del fatum (la sorte, il caso).
Il concetto di “Innata Societas”
Quale è, dunque, l’origine naturale e spontanea dei nostri Popoli europei?
Come possiamo facilmente dedurlo dalle lapalissiane nozioni di Società umana, di Popolo e di Nazione che abbiamo appena finito di percorrere e di verificare, i Popoli europei (come d’altronde l’insieme degli altri Popoli naturali del mondo), in origine – indipendentemente dalle loro “varietà antropologiche” e, nel caso specifico, dall’eventuale e scientifica localizzazione della Urheimat[11] – erano semplicemente dei Popoli-Nazione. Dei Popoli, cioè, che – essendo individualmente e/o collettivamente coscienti di possedere, in comune, alcuni elementi essenziali di aggregazione civile e politica, come la lingua, la cultura, l'origine etnica e/o storica, i costumi, le tradizioni ed, eventualmente, la religione (intesa, naturalmente, come espressione e/o compendio di ancestrali e radicate credenze popolari e/o instrumentum regni di Polibio) – formavano delle originali e distinte Societas che, a loro volta, erano portatrici visibili e tangibili di unaparticolare e ben individuata Civiltà[12].
Dal latino civilitas, -``atis, infatti, la parola Civiltà – oltre ad essere generata dalla radice civi (che racchiude in sé l’idea di civis, civis o cittadino o libero membro di una libera, indipendente e sovrana Civitas o Città Stato o Nazione) ed a derivare direttamente dal sostantivo civili, e, che può significare, civile, politico, umano – tende a condensare in sé, nonché ad estrinsecare ed esplicitare, il significato ed il senso dell’insieme degli aspetti spirituali, sociali e materiali dell’essere, dell’esistere e dell’agire o dell’operare di una precisa e caratteristica Società umana, di un determinato Popolo e/o di una specifica Nazione.
I Popoli-Nazione, dunque, rappresentavano (e rappresentano) – con tutte le loro possibili ed immaginabili varianti politiche, economiche, sociali e culturali interne – un modello naturale e spontaneo di aggregazione umana e di coesione civile e politica che possiamo benissimo definire una “Innata Societas” o Società tradizionale (dal latino traditio, atto di trasmettere che, a sua volta, deriva dal verbo tradere, far passare, consegnare, affidare, rimettere ad un altro…), autentica e naturale. Una società, cioè, che - per essere, esistere ed agire o operare - non aveva (e non ha) assolutamente bisogno di nessuna costruzione o elaborazione intellettuale, né di nessuna finzione ideologica, politica, giuridica o amministrativa.
Attenzione: non nel senso che i Popoli-Nazione non avessero una loro Weltanschauung[13] particolare, oppure dei loro riferimenti culturali, un loro modo di interpretare la realtà, una loro scala gerarchica di valori e/o una loro ideologia.
Tutti i Popoli-Nazione del mondo hanno posseduto, ad un certo momento della loro evoluzione storica, un loro corpus culturale, ma quest’ultimo ha fatto sempre seguito al loro naturale e spontaneo processo di aggregazione umana e di coesione civile e politica, che altro non era (ed è) che la giustificazione post eventum di quanto le loro individuali Societas erano già state in grado di edificare o di realizzare.
Gli esempi della Storia
L’esempio più lampante, in proposito, ci viene offerto dall’insieme delle “visioni o concezioni dell’uomo, della società e del mondo” che sono state espresse o manifestate dai differenti Popoli-Nazione del mondo, nel corso delle diverse epoche storiche.
Chi potrebbe affermare e dimostrare, ad esempio, che i Sumeri abbiano incominciato ad aggregarsi ed a costituirsi come Società umana, come Popolo e come Nazione a partire dalla divulgazione dell’Epopea di Ghilgamesh[14]? I Babilonesi, dalla diffusione dell’An-Anum[15]? I Popoli Mesopotamici, dalla propagazione dell’Enuma Elis[16]? Gli antichi Egiziani, dalla pubblicazione degli Insegnamenti[17], dei Testi sacri[18]e/o del Libro dei morti[19]? I Greci, a partire dalla composizione dell’Iliade[20]e dell’Odissea[21]di Omero? I Romani, dall’apparizione dall’Eneide[22]di Virgilio? I Germani e gli Scandinavi, dalla volgarizzazione degli Edda[23]? I Gallo-Celti, dal momento della nascita della Leggenda di Avalon[24]? I Frisoni (o Fryas), dall’epoca della compilazione degli Oera Linda[25](o «Ura Linda»)? I Norvegesi, i Danesi e gli altri Popoli Nordici, dalla formulazione delleSaga[26]? I Finlandesi e gli Estoni, dall’inizio delle declamazioni del Kalevala[27]e del Kalevipoeg[28]? I Lettoni, dalla compilazione delle Dainas[29]? I Lituani, dalla prima recitazione dei Dainos[30]? I Russi, dalla prima narrazione dei Byliny[31]?
Chi potrebbe sostenere e documentare che l’antico Popolo Ariano dell’India - come Popolo-Nazione - abbia incominciato ad essere, esistere, agire o operare, a partire dai Veda[32], dal Mahabharata[33], dal Ramayana[34], dalle Upanishad[35]e dalla Baghavad-gîta[36]? I Cinesi, a partire dai Ging[37] attribuiti a Confucio, dai Lunyu[38]di Zhu e/o dal Daodeging[39] (o Tao Teu Tsing) imputato a Lao-Tsè? I Giapponesi, dal Koigiki[40] e dal Ginno shoto-ki[41],nonchédal Nihon shoki[42], dall’Heike monogatari[43], dallo Gindaiki[44] e/o dall’Engi-shiki[45]? I Vietmaniti, dal Thien Uyen tap anh[46] e/o dal Viet dien u linh tap[47]?I Coreani, dai Samguk sagi[48]? I «Malesi», dall’Hikayat Hang Tuah[49]? I Popoli precolombiani dell’America Latina, dall’Huehuetlatolli[50], gli Scilam Balam[51] ed il Popol Vuh[52]? I Tibetani, dal Gesar[53]?I Mongoli, dal Geser[54]? I Camerunesi ed i Gabonesi, dal Mvet Ekang[55]?
Nessuno potrebbe pretenderlo!
La nascita della “Simulata Societas”
Eppure, ad un certo momento della Storia dell’umanità, si è incominciato ugualmente a sostenere il contrario: cioè, che le Società umane, i Popoli e le Nazioni potessero parimenti nascere e svilupparsi a partire da una semplice costruzione intellettuale (probabilmente animata da monoideismo[56]e/o monomania[57])… O, se si preferisce, da una contro-Weltanschauung completamente iconoclasta[58]e sovversiva[59]della Storia e della realtà: una visione o concezione dell’uomo, della società e del mondo, cioè, che tende a ribaltare diametralmente i termini dell’equazione umana e dell’assetto naturale del mondo, in quanto pretende imporre una visione delle cose che lascia direttamente o indirettamente credere che il reale delle nostre naturali percezioni, è sempre e comunque irreale, e che l’irreale o l’immaginario delle sue soggettive ed arbitrarie descrizioni o costruzioni intellettuali, è la vera realtà.
E’ il caso, tra gli altri, delle Gatha[60]dei Mazdeisti; dell’Hamifla Humfley Torà[61](o Pentateuco) degli affiliati al Giudaismo; delle Tripitaka[62], del Saddharmapundarika Sutra[63]e/odel Praginaparamita[64]dei Buddisti; dei Vangeli dei Cristiani (o Nuovo Testamento); del Corano dei Musulmani (al-Qur’ân[65]);del Granth Sahib[66]dei Sikh[67]; del Tirumurai[68], del Tirumurukarruppatai[69]e del Tiruvacakam[70]dei Tamul[71]; del Bayan[72], del Kitab-E-Hukkam[73] e/o del Kitab al-aqdas[74]dei Baha’is[75].
Per quei diversi e distinti (ma senz’altro simili o equipollenti) “corpus culturali”, l’uomo non è mai quello che è in natura, ma quello che i loro testi vorrebbero che fosse o pretendono che dovrebbe essere!
Identica constatazione, per quanto riguarda la società ed il mondo.
Anche in questo caso, insomma, per quei “corpus culturali”, il mondo e la società nella quale viviamo, non sono ciò che sono nella realtà, ma ciò che le loro teorie vorrebbero che fossero o pretendono che dovrebbero essere…
Le rispettive e parificabili contro-Weltanschauung che ne sono derivate, infatti - pur non spiegandoci mai razionalmente, come potrebbe fare un cavallo a diventare realmente una gazzella, o una patata a trasformarsi concretamente in un pomodoro - hanno incominciato a pretendere che l’uomo - attraverso l’adesione incondizionata ai principi ed ai valori assoluti ed indiscutibili della fede che le loro opere veicolano e/o suggeriscono - potesse diventare qualcosa di diverso da ciò che effettivamente è in natura. E per rendere logica ed accettabile quella loro astrusa ed artificiale equazione, hanno operato un sistematico rovesciamento[76]o ribaltamento di nozioni e di concetti nei confronti della quasi totalità dei principi e dei valori che, sin dai primordi, erano stati all’origine della naturale e spontanea aggregazione umana e della formazione e costituzione dei diversi Popoli-Nazione del mondo. Principi e valori che avevano ugualmente rappresentato lo stimolo, il cemento e la principale architrave di supporto, sia per la coesione civile interna di quelle popolazioni che per le loro specifiche e variegate forme o modelli di espressione culturale e civile e/o di organizzazione politica.
Quel rovesciamento o ribaltamento di principi e di valori della Società tradizionale ha cominciato a farsi strada ed a minare in profondità il significato ed il senso culturale, civile e politico della parola Societas, a partire dal concetto di “Comunità[77]ideologica[78]”.
Dal latino comunitas, -atis, e dal greco idéa (aspetto, apparenza, forma) e logos (discorso, ragione, conto, proporzione), una ‘Comunità ideologica’ (o ‘Comunità della mente’) è un sodalizio umano che – indipendentemente dalla lingua, la cultura, l’origine etnico-storica, i costumi e le tradizioni particolari dei suoi membri – tende a formarsi e/o a costituirsi a partire da una idea o da un punto di vista. ‘Idea” o ‘punto di vista’ che, a sua volta, tende generalmente a scaturire dai termini di una soggettiva ed arbitraria costruzione intellettuale e/o di un’individuale ed unilaterale descrizione o interpretazione della realtà e/odi una visione parziale e partigiana dell’uomo, della società e del mondo e/odi una specifica (creduta, ipotizzata o pretesa) rivelazione d’ordine divino[79].
Chi decide di aderire a questo modello di ‘Societas’, lo fa esclusivamente a titolo individuale o personale, senza altro legame iniziale, con il resto degli affiliati o dei membri del medesimo sodalizio, che quello di un reciproco e congetturato credo comune o di una vicendevole e presupposta comune percezione e/o interpretazione a proposito dei termini che emanano da una particolare costruzione intellettuale e/o di una determinata descrizione o interpretazione della realtà e/o di una specifica visione dell’uomo, della società e del mondo e/o di una peculiare o singolare rivelazione.
Un altro caso di figura possibile, potrebbe essere quello di un gruppo di persone che – all’interno di una medesima società o appartenenti, in origine, a diverse società affini o estranee, concordi o antagoniste – decide di riunirsi, coalizzarsi ed organizzarsi, in quanto è intimamente (effettivamente o illusoriamente) convinta che l’insieme dei membri del sodalizio in questione abbiano o posseggano, tra di loro, comuni punti di vista, comuni idee, una comune visione delle cose, una comune fede, una comune etica, comuni interessi, comuni preferenze, comuni predisposizioni, comuni stili, comuni consuetudini di vita, ecc.
In tutti i casi, si tratta di persone che, a partire dalle loro rispettive idee o dai reciprochi loro punti di vista (che essi stessi, naturalmente, considerano comuni), scelgono volontariamente di formare un “raggruppamento umano”, prendendo principalmente in conto la loro scelta ideologica e/o il loro comune denominatore filosofico, dottrinale e/o esistenziale.
Questo, che cosa vuole dire?
Vuole dire che non abbiamo più a che fare con una Societasdi tipo tradizionale, ma con una factio, factionis, un pars, partis o una secta, ae (cioè, una fazione, un partito o una setta) che tende ad aggregarsi, ad esistere e ad operare all’interno di una medesima società (oppure, a costituirsi, esistere, agire o operare transnazionalmente, magari in chiara ed aperta opposizione o contrasto con la “Innata Societas” d’appartenenza), indipendentemente dall’origine etnico-storica, dalla lingua, dalla cultura, dai costumi e dalle tradizioni dei suoi singoli adepti.
E’ ciò che io considero - con tutte le sue possibili ed immaginabili varianti politiche, economiche, sociali e culturali interne - il modello artificiale di aggregazione umana e di coesione civile e politica che mi permetto di definire “Simulata Societas” o Società antitradizionale, fittizia ed innaturale.
Contrariamente alla “Innata Societas”, questo tipo di sodalizio umano - per potersi realmente costituire ed essere parimenti in grado di esistere, di agire o di operare, e di durare nel tempo - ha necessariamente bisogno di tutta una serie di finzioni ideologiche e di artifizi politici, sociali e culturali che non hanno (anche quando, esteriormente e apparentemente, riescono ad imitare le Società tradizionali…) nessuna correlazione, né attinenza, con i motivi naturali e spontanei di aggregazione umana e di coesione civile e politica che caratterizzano invece i diversi Popoli-Nazione del mondo.
Una “Simulata Societas”, infatti, per potersi effettivamente costituire e concretamente strutturare e funzionare, ha sempre ed invariabilmente bisogno di:
1. un iniziatore[80]ideologico, animato da una fede, da una credenza, da una certezza, da una convinzione, da un interesse, da una capacità o da una volontà specifica;
2. un principio apertamente innovatore o apparentemente rinnovatore o falsamente assertore e difensore dei principi e dei valori che determinano e caratterizzano le società naturali e spontanee;
3. un modello ideale di aggregazione e di coesione umana, sostitutivo o surrogativo di quello proposto in natura dalle diverse «Società tradizionali»;
4. una maniera pratica di attirare, aggregare e compattare le diverse genti che una specifica teoria vuole raggruppare, inquadrare o omologare all'interno di un nuovo gruppo umano, differente e/o indipendente da quello tradizionale;
5. un dogma (politico, economico, sociale e/o religioso) assoluto ed indiscutibile, un postulato, un assioma ideologico o teologico, una verità acquisita (ma non dimostrabile), uno schema (pseudo-scientifico o pseudo-spirituale), uno scopo (ideale o concreto) o un progetto (teorico e/o pratico) che, in definitiva, non sono altro intrinsecamente che delle semplici riduzioni ortogonali o degli scorci partigiani e parziali della realtà tutta intera;
6. una contro-Weltanschauung, una “Dottrina specifica” (politica, economica, sociale e/o religiosa), una “Costituzione”, uno “Statuto”, un “Programma”, un “Contratto” (politico, economico, sociale e/o religioso) e/o delle “Regole di adesione” e di “condotta” (politiche, economiche, sociali, giuridiche e/o religiose) relative al comportamento interno ed esterno del nuovo gruppo umano;
7. un quadro o un ordinamento organizzativo ed operativo (politico, economico, sociale, giuridico e/o religioso), un organismo di accoglienza e di inquadramento, una struttura istituzionale, la cui esistenza e persistenza nel tempo, deve essere sistematicamente garantita da una continua e costante capacità di persuasione (come il carisma, la coerenza del discorso, l'inalterabilità e l'indiscutibilità dei dogmi, l'indimostrabilità dei miti o delle certezze evocate, l'incontrollabilità o non verificabilità delle promesse tenute, ecc.) e da una continua e costante capacità di coercizione psicologica e/o fisica, come la minaccia, il ricatto, la riprovazione morale, il rigetto civile e/o politico, la condanna e/o la sanzione giuridica o amministrativa.
Come sappiamo, quel “modello associativo” - dopo avere preso origine in un’area geopolitica che era completamente estranea a quella europea; essere scaturita da fonti culturali che niente avevano a che fare o a che vedere con la civiltà greca-latina-celtica-germanica-iberica-illirica-ugrofinnica-slava-ecc.; avere progressivamente trasmigrato e fissato la sua dimora ideologica e pratica nei nostri paesi - è riuscito ad affermarsi e ad imporsi su tutto il nostro Continente (ma anche su altri…) ed a diventarne il modello dominante.
Quel “modello”, è riuscito ad imporsi per due ragioni:
1.grazie al monopolio culturale instaurato in Europa – per più di 1700 anni – dalla contro-Weltanschauung giudeo-cristiana dapprima, e da quella giudeo-cristiano-musulmana[81] in seguito;
2.grazie alla laicizzazione delle suddette contro-Weltanschauung che è stata operata nel tempo (dal XVII° secolo ad oggi), dalle diverse e variegate ideologie anti-tradizionali che hanno dato origine alla Massoneria, all’Illuminismo, alla Rivoluzione americana, alla Rivoluzione francese, al concetto di Stato-Nazione[82] ed a quello di Dominion[83], all’Imperialismo[84], al Colonialismo, al Liberalismo, al Marxismo, all’Internazionalismo, alla Rivoluzione bolscevica, al Mondialismo, all’alter-Mondialismo, alla Società multietnica e multiculturale, ecc.
Come precisa Julius Evola, “vi sono malattie che covano a lungo, ma si palesano solo quando la loro opera sotterranea è quasi giunta al termine”[85].
Inutile meravigliarsi…
Dobbiamo, dunque, sorprenderci, se la Politica – dal greco politichè (o arte della Polis o della Città-Stato e, per estensione, l’arte o la tecnica degli affari pubblici[86] e del governo delle genti) – da interesse generale di una società, nei confronti, nei riguardi o nell’indifferenza di un’altra società, è diventata, “il mio interesse di parte contro il tuo, il tuo contro il mio, il nostro contro il loro, il vostro contro il nostro o contro il loro e così via, tutti facenti parte della stessa società”?
Dobbiamo stupirci, se l’Economia - dal greco oikonomia[87](o arte del ben gestire o del ben amministrare; in ogni caso, del non sprecare, del non sperperare o del non scialacquare; oppure, se si preferisce, del non dilapidare o del non dissipare impunemente) – da interesse economico generale del mio Popolo o della mia Nazione, al quale dovrei ogni volta ispirarmi, per esprimere o manifestare il senso dei miei affari, si è trasformata nel “fare i miei affari, ignorando, contrastando o sopraffacendo l’interesse economico generale del Popolo o della Nazione di cui faccio parte”?
Dobbiamo sbalordirci, se il Sociale - dal latino socialis, e (lo spazio fenomenologico che emerge dalla sodalitas[88] e l’oggetto e la risultante del vinculum[89]che tende a scaturire dai mutui rapporti o dalle interrelazioni che possono esistere tra i diversi socii di una medesima societas); è ciò che gli antichi Greci, senza conoscerne il vocabolo, assimilavano simultaneamente alla nozioni di pratica quotidiana e reciproca del senso dell’onore, del dovere e del sacro (aidos), di reciproca solidarietà (filallelian) e di complementare e mutua amicizia (filìa alleloisin) nel contesto della Polis o della koinonia polikè[90], per cui tendevano a considerare tutto ciò che riguardava la sfera del sociale come l’arte di stare insieme per stare bene (politikos bios) – da spazio di autocoscienza collettiva che, collettivamente alimentato, permetteva ad ognuno di essere, di esistere e di ricevere, senza per altro doversi mai umiliare o genuflettere nei confronti di nessuno, si è trasfigurato in “una specie di gioco del Risiko, all’interno del quale, nella speranza di essere e di esistere, cerco semplicemente di prendere quel che posso prendere (o ciò che mi viene concesso di prendere) e rifiuto sistematicamente di dare o faccio invariabilmente finta di non potere dare ciò che invece potrei senz’altro dare o sicuramente offrire o condividere”?
Dobbiamo sbigottirci, se la Cultura - dal latino colo, is, colui, cultum, colere (è ciò che per i Greci era la paideia, cioè l’arte di migliorarsi o di raffinarsi, per valorizzare la propria natura – kalokagathía – e per meglio raffinare e migliorare quella degli altri membri della medesima Polis) – da orgoglio di ogni membro del mio Popolo di sentirsi, allo stesso tempo, radice e frutto, padre e figlio, maestro ed alunno delle migliori opere, del miglior sapere e dei migliori ingegni della mia Civiltà, si è tramutata nello “sterile vanto della mia individuale conoscenza, nei confronti del mio Popolo ignorante”?
Dobbiamo sgomentarci, se gli pseudo-pedagoghi del nostro tempo, per dispensare l’educazione scolastica ai nostri figli o ai nostri nipoti, piuttosto che ispirarsi al verbo latino educo, is, eduxi, eductum, educere[91] (trarre, tirar fuori, condur fuori, estrarre[92] nel senso di fare emergere o di fare uscire allo scoperto[93] o di mettere in luce le innate qualità e capacità dell’allievo, per poterle pedagogicamente affinare, ingentilire e valorizzare nel contesto di un’istruzione mirata e personalizzata che corrisponda ad un reale insegnamento specificatamente destinato a degli esseri umani[94]), preferiscono indolentemente e correntemente riferirsi al verbo educo, as, educavi, educatum, educare[95]che vuole semplicemente dire: educare, allevare, istruire, nel senso di addestrare, allenare o ammaestrare dei semplici animali[96]?
Dobbiamo strabiliarci, se la Gerarchia - dal greco ierarchès (hieros, sacro, e arkia, comando = ordine sacro), la gerarchia era un ordine politico, sociale, religioso e morale composto di qualità e di capacità individuali e collettive, nonché di dignità, di competenze e di responsabilità particolari che tendeva invariabilmente a manifestarsi, a costituirsi ed a concretizzarsi dal basso verso l’alto, prendendo a modello la complessa ed innata armonia della disposizione cosmica[97] (in altri termini, era un ordine senza allineamenti geometrici, nel quale il concetto di migliore in senso assoluto, globale e definitivo, non esisteva affatto; il responsabile designato di un qualunque campo di attività, era semplicemente colui che era stato scelto ad hoc dai pari di quella comunità, in qualità di primus inter pares[98]; quest’ultimo, insomma,era un primus a cui era stato affidato un mandato imperativo e pro tempore, volto esclusivamente a risolvere un problema specifico e contingenziale, essendo egli considerato, in quel campo di attività, dalla sua koinos bios o dalla sua societas, come il più abile, il più esperto, il più valido, il più capace e/o il più competente; risolto il problema per cui era stato elevato alla dignità suprema di quel campo specifico, quel primus ridiventava uno dei pares, ed altri, al suo posto, venivano designati a quella funzione, semplicemente per tentare di risolvere, a loro volta, gli eventuali ed imponderabili problemi del momento di quella Polis o di quella Civitas) – da ordine naturale e spontaneo, organico e differenziato, centripeto e piramidale, è contraddittoriamente diventata un “ordine soggettivo ed arbitrario” o una specie di “ordine mafioso”[99]? Un “ordine”, cioè, che viene esclusivamente dall’alto e che tende a costituirsi ed a concretizzarsi a partire da un “promotore” o da un “leader” che, a sua volta, oltre a ritenersi un “tuttologo”, si considera soggettivamente ed arbitrariamente “al di sopra dell’insieme delle parti”.
Dobbiamo ancora chiederci, come mai un Danese, un Inglese, un Tedesco, un Polacco, un Cinese, un Italiano, ecc., che decidono di trasferirsi negli Stati Uniti, di aderire all’ideologia di quel paese e di pagarvi le tasse, possano tranquillamente considerarsi degli “Americani”? Oppure, un Inglese, un Irlandese o uno Scozzese – deportati manu militari nei Dominions australi dai responsabili dell’allora Impero britannico – possano automaticamente trasformarsi in “Australiani” o “Neo-Zelandesi”? O ancora, degli Israeliti polacchi, lituani, tedeschi, ungheresi, rumeni, russi, etiopi, francesi, ecc. – andati, in nome della loro ‘fede’, ad occupare e colonizzare un territorio che apparteneva ad altre popolazioni – possano diventare degli “Israeliani”? Ovvero, i membri di Sette politico-religiose olandesi, trasformarsi in “Africaners”? Ossia, dei conquistadores Spagnoli, trasfigurarsi in “Cileni”, “Peruviani”, “Boliviani”, “Argentini”, “Paraguaiani”, “Uruguaiani”, “Colombiani”, “Cubani”, “Messicani”, ecc.? Oppure ancora, dei colonizzatori Portoghesi, mutarsi in “Brasiliani”, “Angolani”, “Cinesi”, “Capo-verdiani”, ecc.? Senza dimenticare, i Congolesi, i Senegalesi, i Gabonesi, i Centrafricani, i Ciadiani, gli Ugandesi, i Turchi, i Curdi, gli Armeni, i Mauritani, i Marocchini, gli Algerini, i Tunisini, i Libici, gli Egiziani, i Sudanesi, gli Eritrei, i Siriani, gli Iracheni, gli Iraniani, gli Afgani, i Pachistani, gli Indiani, i Cinesi, i Vietnamiti, ecc., che – noncuranti del ridicolo che potrebbero suscitare tra le loro stesse popolazioni di origine – tendono orgogliosamente e stoltamente a sfoggiare i loro nuovi passaporti francesi, italiani, tedeschi, svizzeri, spagnoli, greci, portoghesi, olandesi, inglesi, belgi, ecc., come se fossero degli effettivi, ultra radicati ed inveterati autoctoni dell’Europa?
Dobbiamo ancora scoprire per quale ragione la Chiesa di Roma è assolutamente contraria all’insediamento ed alla naturalizzazione, in Europa, di immigrati di religione musulmana, mentre invece è totalmente interessata e favorevole all’immigrazione ed alla naturalizzazione generalizzata di Filippini, di Latino americani e di Africani cattolici?
Dobbiamo ancora accertare il motivo per cui, una certa “Area politica”[100] - che afferma di riferirsi “ideologicamente” (sic!) all’esperienza storica mussoliniana e/o nazional-rivouzionaria in generale - continua puerilmente a disperdere le sue sparute forze, in mille rivoli di contraddittoria “ortodossia”[101] ed in “orticelli privati” di facile controllo e “manutenzione”, nonché ad opporsi sconsideratamente a qualsiasi genere di riunificazione politica?
Dobbiamo ancora interrogarci, per sapere come mai certi Camerati, di sconfinata erudizione[102] e di sicuro e provato impegno nazional-popolare, tendano geopoliticamente a considerare la Turchia[103]come parte integrante di un ipotetico e stravagante “progetto Eurasia”[104]? Altri, confondano le loro radici ideologiche o le loro finalità politiche ed elettorali, con quelle dell’affermazione e del trionfo del “vero… Israele”[105]? Mentre, altri ex-camerati ancora (in questo caso, notori prezzolati e rinnegati confessi della loro stessa storia!), non troverebbero nulla da ridire o da eccepire, se l’attuale Stato Sionista del Vicino-Oriente fosse automaticamente e rapidamente incorporato nell’Unione Europea?
In fine, dobbiamo ancora domandarci, per quale ragione le nostre antiche ed armoniose Societasnaturali, sono diventate il luogo privilegiato di scontro e di guerra civile permanente tra le diverse fazioni politiche, economiche, sociali, culturali e religiose (autoctone e/o allogene) che infestano impunemente, da molti anni ormai, le nostre sconvolte e martirizzate contrade?
C’è amalgama e… amalgama!
Come il lettore l’avrà senz’altro intuito o dedotto, il problema dell’attuale scomparsa (o dell’estrema carenza) dell’identità dei Popoli europei, non risiede affatto nei semplici “miscugli” etnici, culturali e storici (in realtà, la ‘causa apparente’ o profasis) che le nostre Societas naturali hanno dovuto subire nel corso dei secoli (e che volenti o nolenti, saranno comunque costrette a sopportare anche per il futuro…), ma nell’innaturale “modello di amalgama”(cioè, la ‘vera causa’ o aitia) che è stato loro imposto da un’infida e nefasta colonizzazione culturale che era (e continua ad essere) completamente estranea ai nostri substrati politici, economici, sociali e culturali originari.
Come sappiamo, infatti, qualunque lega è sempre composta da un elemento iniziale o centrale, a cui vengono aggiunti e/o mescolati altri elementi affini, attinenti o pertinenti.
Se, invece, a quell’elemento iniziale o centrale, aggiungiamo o mescoliamo elementi discordanti, inadatti o inappropriati, non otterremo più una vera e propria “lega”, ma semplicemente una “bassa lega”: un miscela, cioè, che – oltre a non valorizzare o a non migliorare affatto le proprietà intrinseche dell’elemento iniziale o centrale da cui eravamo partiti – è sicuramente inferiore e senz’altro più scadente dell’ingrediente di base.
E’ ciò che, purtroppo, è avvenuto in Europa (ed in altri Continenti), negli ultimi 1'700 anni.
Quest’amara constatazione, però, non deve per nulla essere fonte di gratuito ed inutile scoraggiamento.
Non dimentichiamo, infatti, che la natura è sempre e comunque più forte, irresistibile ed efficace di qualsiasi tipo o genere di impostura.
In altre parole, qualora noi Europei (e gli altri Popoli-Nazione del mondo) considerassimo che l’elemento iniziale o centrale delle nostre antiche Società naturali, è molto più pregevole e prezioso di quello che abbiamo involontariamente ottenuto con la suddetta “bassa lega”, non ci resterebbe nient’altro da fare – per cercare di recuperare concretamente la nostra effettiva e reale Identità – che tentare con tutti i mezzi a nostra disposizione, di ri-separare culturalmente, dall’ingrediente di base che adesso conosciamo, quelle “componenti” che, nel tempo, hanno esaurientemente dimostrato di essere abbondantemente e nocivamente discordanti, inadatte o inappropriate al nostro naturale essere, al nostro spontaneo esistere e al nostro coerente, confacente e corrispondete divenire.
Alberto B. Mariantoni ©
Note:
[1] Come precisa il Dizionario Garzanti della Lingua italiana, “parte della metafisica che studia il concetto e la struttura dell’essere in genere, e non le peculiari caratteristiche dei singoli esseri particolari” (XIXª edizione, Aldo Garzanti Editore, Milano, 1980, pag. 1155). [2] Letteralmente: “Colui che vive insieme”. Il meteco, per i Greci, era semplicemente il forestiero che era domiciliato o che lavorava all’interno di una delle loro Città-Stato. I matrimoni tra cittadini e metechi erano permessi, ma - ad Atene, a partire dal -451 - i figli di un cittadino e di una meteca o di un meteco e di una cittadina, non potranno più automaticamente rivendicare la qualità di cittadino, né possedere immobili o terre nel contesto della Polis.
[3] Per “straniero”, i Greci, intendevano il viaggiatore occasionale, il pellegrino o l’ospite che soggiornava per un breve periodo all’interno di una delle loro Città-Stato. Protetto dagli Dei (in particolare, da Zeus Xénios e da Athena Xénia), l’ospite straniero era considerato sacro e poteva beneficiare di un trattamento di riguardo nell’ambito delle diverse Città-Stato, grazie alle leggi e convenzioni che i Greci avevano previsto nei suoi confronti, sia per regolamentare la sua visita che per organizzare e rendere piacevole il suo soggiorno.
[4] In altri termini, i “barbari” erano i “non Greci”. La differenza tra straniero (Xénos) e barbaro consisteva nel fatto che lo straniero era un Greco o un grecizzato che non apparteneva alla Polis che lo aveva recensito, mentre il barbaro, era semplicemente uno straniero che era etnicamente e culturalmente estraneo alla società greca.
[5] La condizione di schiavo era in generale riservata: ai prigionieri di guerra, ai metechi che avevano tentato di farsi passare per cittadini autoctoni, agli ex cittadini che avevano contratto dei debiti sapendo di non essere in grado di onorarli, nonché a coloro che erano nati schiavi. Lo schiavo, pubblico o privato, aveva uno statuto legale che lo proteggeva dagli eventuali abusi del funzionario preposto al suo utilizzo o da quelli del suo padrone. Poteva essere acquistato, venduto o liberato. Pur non potendo esercitare nessun diritto civico, godeva, in generale, di grande libertà. Poteva sposarsi, creare una famiglia ed allevare figli. Poteva partecipare ai culti pubblici e poteva svolgere, secondo le sue attitudini e capacità, qualunque mestiere e qualunque professione. Poteva essere impiegato nell’ambito della pubblica amministrazione, nella gestione diretta di attività industriali, commerciali, marittime o agricole, con la sola restrizione di dover rendere conto - moralmente, giuridicamente e finanziariamente - della sua attività al funzionario preposto al suo controllo o al suo padrone specifico.
[6] In greco antico: demo-poiètos. Nella Città-Stato greca la naturalizzazione degli stranieri era raramente una procedura di tipo individuale. Essa era piuttosto un atto che era esteso a dei gruppi specifici o a delle popolazioni particolari che, agli occhi dell’Assemblea dei cittadini, erano meritevoli di assurgere ad una tale dignità.
[7] La cittadinanza, nella Grecia antica, non era affatto una prerogativa che poteva considerarsi definitivamente acquisita. Essa poteva essere temporaneamente sospesa o definitivamente revocata per una serie di motivi. Tra questi: il fatto di essersi in qualche modo disonorato davanti ai suoi pari, di non aver rispettato la parola data, di aver mancato al suo dovere di cittadino o di soldato, di essersi fatto corrompere, di aver fatto dei debiti sapendo di non poterli onorare, ecc.
[8] Condannato in contumacia.
[9] Letteralmente: esiliato. “Dal greco ostrakismos, deriv. di ostrakizein “bandire con l’ostracismo”, deriv. di ostrakon “coccio”, perché su un coccio i partecipanti all’assemblea popolare scrivevano il nome del cittadino, di cui si votava l’esilio” (Dizionario Garzanti della Lingua Italiana, Garzanti Ed., Milano, XIX edizione, 1980, pag. 1176 e 1177). L’istituzione dell’ostracismo fu stabilita da Clistene, ad Atene, nel - 508/7.
[10] XIXª edizione, Aldo Garzanti Editore, Milano, 1980, pag. 1106.
[11] La protopatria originaria delle antiche popolazioni Indoeuropee.
[12] E’ nella differenza, e non nell’uniformità, che c’è lo scambio. Se tutti possedessimo la medesima Civiltà, non avremmo più nulla da dirci o da comunicarci, e le nostre generazioni e quelle che ci succederanno sarebbero costrette a vivere il resto dei loro giorni, in un immenso e kafkaiano “Museo delle Cere” !
[13] Parola tedesca letteralmente intraducibile nella nostra lingua. Approssimativamente, però, possiamo attribuirgli il significato di: “Visione o concezione globale dell’uomo, della società e del mondo”.
[14] Titolo originale: Sa nagba imuru (cioè, “Colui che ha visto tutto”). Questa epopea - il cui testo meglio conservato è quello che è stato trovato nella biblioteca di Assurbanipal a Ninive - risale alla prima metà del III° millennio a.C.. Essa è composta da 3’600 versi (di cui 3’450 giunti fino a noi) trascritti in dodici tavolette. Racconta la vita e le avventure di Gilgamesh, il principale e mitico eroe sumero e (probabilmente) quinto Re della Iª dinastia d’Uruk (l’attuale Warka) in Mesopotamia (l’odierno sud dell’Iraq). Descrive ugualmente la vita e la morte di Enkidu (l’amico intimo e l’alter ego pratico di Gilgamesh); l’incontro con Uta-Napishtim, il sopravvissuto al diluvio che nel frattempo era diventato immortale (questo episodio è narrato nella XIª tavoletta); nonché la ricerca, da parte di Gilgamesh, della pianta della vita o dell’immortalità. Pianta che egli riuscirà a trovare e portare con sé grazie alle indicazioni che aveva ricevuto da Uta-Napishtim, ma che ben presto perderà per sempre a causa di un serpente che riuscirà a sottrargliela prima del suo rientro ad Uruk, condannandolo così indirettamente al triste destino di ogni mortale.
[15] Il “Chi è Chi” del Pantheon babilonese. Un Pantheon che era diviso in otto specifici gruppi di divinità ed al cui vertice regnavano Anu, Enlil, Ea, Sin, ecc. Opera di un autore babilonese anonimo, redatta originariamente su una decina di tavolette, di cui le prime sei elencavano in ordine gerarchico i nomi dei numerosi dei di quella civiltà e le altre quattro dettagliavano i componenti delle diverse famiglie degli dei elencati, nonché i loro abbigliamenti, i loro modi di fare e di agire, gli oggetti di culto che per ciascuno dovevano essere adottati. La copia originale essendo andata distrutta, attualmente disponiamo (British Museum) di una copia in lingua assira che è stata ritrovata dagli scavi archeologici effettuati il secolo scorso nel sito dell’antica biblioteca di Assurbanipal a Ninive, in Mesopotamia.
[16] Letteralmente (in lingua akkadiana): Quando, lassù (nei cieli). Molto più conosciuto come il Poema della Creazione, quest’opera comprende all’incirca 11’000 versi e risale all’incirca alla fine del II° millennio prima della nostra èra. Probabilmente favorito o voluto dal clero babilonese, questo poema mitologico tenta di giustificare ideologicamente un importante cambiamento di ruoli intervenuto all’interno del Pantheon babilonese. In particolare, la sostituzione del dio Enlil (l’antico “dio supremo” dei Sumeri) con il dio Marduk (l’antico “dio locale” dei babilonesi) alla guida del Pantheon mesopotamico.
[17] Una serie di scritti sapienziali dell’Egitto dei Faraoni. I più antichi - come il papiro Prisse - risalgono all’epoca dell’antico Impero (tra il -2797 ed il -2586). I più numerosi risalgono all’epoca del Medio Impero (dinastie dalla IX alla XIV) tra il -2336 ed il -1753. Ci sono poi una serie di Insegnamenti attribuiti a grandi sovrani, come Amenembat I° (2000-1970 a.C.) e Thutmosis III° (-1490/-1436). Altri scritti sapienziali, risalgono all’epoca del Nuovo Impero (XIV-XXV dinastie) tra il -1644 ed il -664. La stessa raccolta è completata, in fine, dagli Insegnamenti di un tale Enej e di un tale Amenemope ai loro rispettivi figli. Questi testi, forniscono numerose informazioni sul modo di essere, di esistere e di agire degli Egiziani dell’epoca dei Faraoni. Come precisa Le Nouveau dictionnaire des oeuvres (Ed. V. Bompiani e Robert Laffont, 1994, pag. 2274), è ormai accertato che i famosi Proverbi attribuiti a Salomone prendono direttamente origine dagli Insegnamenti dell’antico Egitto. Per saperne di più, consultare: Texte sacrés et textes profanes de l’ancienne Egypte, t. I, Ed. Gallimard, Paris, 1984.
[18] Tra questi: i Testi delle Piramidi o “Divenire celeste del Faraone” (testi scolpiti in caratteri geroglifici all’interno di cinque piramidi di Saqqara che risalgono alla Vª ed alla VIª dinastia dell’Antico Impero, scoperti nel 1881); il Libro dell’Amduat (ritraccia il viaggio del dio Râ al di la dell’Occidente e risale agli inizi dell’Impero); senza dimenticare, il Libro del giorno e della notte, il Libro delle porte, il Libro di Aker, il Libro delle caverne (libri che ritracciano il percorso notturno dello stesso dio) ed il Testo dei sarcofagi.
[19] Rotoli di papiro che erano deposti nei sarcofagi, a partire dal Nuovo Impero e che contenevano delle prescrizioni per permettere ai morti di accedere all’immortalità. Le stesse prescrizioni - scritte in geroglifico, in ieratico o in demotico - figuravano già sulle pareti delle piramidi dell’Antico Impero e sui sarcofagi del Medio Impero. Un importante studio sui testi funerari dell’antico Egitto ed in particolare sul Libro dei morti è stato intrapreso, nel 1842, dall’egittologo tedesco Karl Richard Lepsius (1810-1884).
[20] Questa epopea, capolavoro della letteratura greca attribuito ad Omero, è uno dei pilastri culturali della Civiltà europea. Composta da 15.537 versi e divisa in 24 canti, essa descrive l’ultima fase della guerra di Troia (una guerra che da dieci anni opponeva - senza vincitori o vinti - una coalizione militare Achea all’esercito troiano, sulle spiagge egee dell’antica Asia Minore) e trasmette l’immagine di un mondo divino completamente umanizzato dal pensiero religioso e sacrale di quella società.
[21] Ugualmente attribuita ad Omero, questa epopea è composta da 12.109 versi ed è suddivisa in 24 canti: dal I° al IV°, viene narrato il viaggio di Telemaco alla ricerca di suo padre Ulisse (Odysseus); dal V° al XIII° canto, vengono descritti il naufragio di Ulisse nella terra dei Feaci, l’incontro di quest’ultimo con il re Alcinoo al quale narra l’interminabile ed avventuroso viaggio di ritorno che egli ha dovuto intraprendere per raggiungere Itaca (la sua Patria) dopo la fine della guerra di Troia; dal XIV° al XXIV° canto, vengono presi in conto, il ritorno di Ulisse ad Itaca, la sua vendetta contro i Proci (i pretendenti che bivaccavano nella sua dimora, nella speranza di sposare sua moglie e di impadronirsi del suo trono), il suo ricongiungimento con Penelope, l’amata sposa.
[22] Poema epico (incompiuto) in dodici canti che narra delle peregrinazioni di Enea (principe sfuggito alla distruzione della sua città, Troia, da parte degli Achei) e del suo approdo sulle coste laziali dove, secondo la leggenda, avrebbe dato origine (dopo la sua vittoria contro Turno, re dei Rutuli, ed il suo matrimonio con Lavinia, la figlia del re Latino), alla stirpe romana. Scritto da Publius Vergilius Maro o Virgilio (-79 / -19), e pubblicato al tempo di Augusto (-63 / 14) dai poeti Varrius e Tucca, questo poema - che ha l’ambizione di essere, per i Romani, ciò che era stata l’Iliade di Omero per i Greci - miticizza e sacralizza l’origine di Roma e giustifica a posteriori la grandezza e la potenza del suo Impero.
[23] In particolare: l’Antica Edda (o Edda poetica che è composta da 35 poemi che espongono la mitologia, i riti magici, le gesta eroiche di questi popoli nella loro antichità più remota) e l’Edda di Snorri (o Edda in prosa che è un manuale di iniziazione alla poesia scaldica ed, allo stesso tempo, una fonte di preziose informazioni sulla religione e le credenze dei popoli nordici). Per saperne di più, esistono delle ottime traduzioni: Edda poétique, Ed. Fayard, Paris, 1992; Edda de Snorri, Ed. Gallimard, Paris, 1991.
[24] La leggenda di Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda, recuperata successivamente dal Cristianesimo.
[25] Letteralmente: Al di là dei tigli. Si tratta di una raccolta di antichi manoscritti (sulla cui reale autenticità è tuttora in corso un dibattito tra diversi specialisti della materia e di cui alcuni sono incompleti e frammentari), in parte redatti (o ri-trascritti) in frisone arcaico ed in parte in caratteri runici, che sarebbero stati composti o organizzati da differenti autori, probabilmente nei primi secoli della nostra èra. Il nome attribuito a questa raccolta è completamente arbitrario. Esso fu scelto dal suo traduttore in lingua olandese, il dr. J.G. Ottema, che lo pubblicò con il titolo Thet Oera Linda Bok (Edizioni H.Kuipers, Leeuwarden, 1872) in quanto, sette dei principali autori del manoscritto appartenevano alla famiglia Oera Linda (o Ura Linda). All’interno di questa raccolta, si parla di leggende (come quella della scomparsa di Atlantide, nel manoscritto Atland), di miti, di cosmogenesi, di antiche leggi, di canoni religiosi, di souvenirs di viaggio, di invasioni straniere, di nascite di regni e di cronologie dinastiche. Si parla altresì - in modo particolare - del mitico Fryaland: un territorio, cioè, geograficamente compreso tra il mare del Nord ed il Baltico, tra il Twiskland (o Germania) ed il paese degli Juti (forse, il sud della Svezia), tra le Saksenmarken (le “marche Sassoni”) e l’attuale Bretagna, che sarebbe stato abitato e posseduto, in epoche remote, dagli Anglo-Frisoni o Fryas (probabilmente i popoli che Plinio chiama gli Ingveones).
[26] La parola saga è un sostantivo femminile (sögur, al plurale) che deriva dal verbo germano-nordico sègia o segja che, a sua volta, significa dire, raccontare. E’, dunque, nel senso di “racconto di storia” e/o di “storie”, di “declamazione di gesta” e/o di “evocazione di miti e leggende”, di “narrazioni genealogiche reali” e/o “presupposte”, nonché di “invenzione”, “elaborazione” e “presentazione di favole” che questo termine simultaneamente va inteso. La saga è un genere letterario (prosa o prosa mista a poesia) che affonda le sue radici nel mitico passato dei popoli nordici. Dopo essere stato tramandato per secoli dalla tradizione orale, questo genere letterario ha trovato la sua espressione scritta a partire dal XI°/XII° secolo della nostra èra. Tra le più conosciute, spiccano le Saga reali (come la Saga di Hallfredar, la Saga di Gunnlaugur, la Saga di Kormakr, ecc.); le Gesta Danorum (o Le Gesta dei Danesi), un’opera trascritta e/o composta da Saxus Grammaticus (1140-1206) che racconta l’iter storico di questo popolo dalle sue origini mitiche al 1220 della nostra èra); l’Haimskringla (o “sfera del mondo”), un compendio di 16 saga riunite e/o elaborate e trascritte da Snorri Sturluson (1179-1241) che racconta i fatti e le gesta dei re di Norvegia dall’origine fino al re Magnus Erlingsson; senza dimenticare, la Groenlendinga Saga, la Saga di Enrico il Rosso, la Saga dei Ynglingar, le Islendigasögur, la Völsunga Saga, ecc.
[27] Letteralmente: Il paese di Kaleva. Si tratta di una raccolta di poemi epici e lirici che raccontano l’epopea, i miti e le leggende del popolo Finlandese. Questa raccolta - che è composta da 12’000 versi ed è divisa in dodici canti - è stata per la prima volta organizzata e messa per iscritto da Elias Lönnrot (1802-1884) un medico e folklorista finlandese, tra il 1828 ed il 1834, a partire dall’antica tradizione orale che era stata tramandata, nel corso dei secoli, dai poeti popolari di questo paese.
[28] Letteralmente: Il figlio di Kalev. Questo poema epico è un’estensione delle tradizioni legate al Kalevala.
[29] Ballate e rappresentazioni popolari della cultura Lettone. La più grande raccolta di testi di questo antico genere letterario è stata effettuata tra il 1928 ed il 1932 con il titolo Latvgiù tantas Dainas (le Dainas del popolo Lettone). Le Dainas descrivono le diverse faccette delle tradizioni e delle credenze ancestrali di questo popolo.
[30] I Dainos sono raccolte di canti e di poemi popolari. Vi vengono descritte le condizioni della vita di tutti i giorni della popolazione rurale con in sottofondo i rapporti con le divinità dell’antica religione pagana. Trasmessi oralmente per secoli, una buona parte di Dainas è stata pubblicata per la prima volta negli anni ‘30 dal poeta Kazys Binkis (1893-1942). L’ultima edizione conosciuta dei Dainos, è quella realizzata in sei volumi dallo scrittore lituano Krevé-Mickevicius (1882-1954).
[31] Titolo intraducibile che possiamo interpretare con: Le Filastrocche. Imparentati alla Chanson de geste dei menestrelli del Medioevo provenzale ed europeo, i Byliny sono una raccolta di storie mitiche e di leggende epiche dell’antico passato russo. Probabilmente risalenti a prima dell’anno 1000/1100 della nostra èra e tramandate oralmente dalla tradizione popolare nel corso dei secoli, le Filastrocche in questione sono state ordinate, trascritte e pubblicate a partire dal XVIII° al XIX° secolo. I Byliny mettono in scena il passato mitico degli Eroi (i bogatyr) della cultura russa. Nei racconti che presentano, i Byliny mischiano le gesta degli antichi bogatyr (quelli dell’antico passato pagano di questo popolo) ed i nuovi bogatyr, quelli dell’epoca dell’introduzione del Cristianesimo in Russia da parte di Vladimiro il Bel Sole, principe di Kiev e principale artefice della cristianizzazione di questo paese.
[32] Letteralmente: conoscenza o sapere. Per Veda s’intende in particolare: il Rig-Veda (a lui solo comporta 10 mila strofe), il Sama-Veda, lo Yajur-Veda e l’Altharva-Veda, cioè la quadrilogia di libri che sarebbero stati “rivelati” agli uomini dalle divinità.
[33] Incluso nella raccolta di precetti denominata Smrti (memoria), il Mahabharata è un vasto poema di 120’000 versetti, diviso in 19 libri, risalente all’epoca vedica (-1000) che racconta l’avventura di 5 fratelli in guerra tra di loro, nonché le gesta eroiche di Krisna e l’epopea dell’invasione e dell’insediamento indoeuropeo nel bacino tra l’Indo ed il Gange.
[34] Letteralmente: Le Gesta di Rama. Ugualmente incluso nella Smrti (memoria), il Ramayana è un poema epico in 7 parti e 48.000 versetti che racconta le avventure eroiche di Rama: un personaggio delle leggende e dei poemi epici dell’India che è considerato come la settima metamorfosi e/o trasformazione di Vishnu, la seconda divinità della Trimurti brahmanica e divinità suprema di numerose comunità Indù.
[35] Il termine Upanishad è comunemente tradotto: Trattati delle equivalenze. Questo termine, però, è praticamente intraducibile nelle nostre lingue, in quanto racchiude in sé, contemporaneamente, l’idea di “stare seduti nei pressi di un maestro, per apprendere”, l’idea del “contatto con qualcuno e/o con qualcosa” e l’idea di “porre delle equivalenze”. Chiamate pure Vedanta (fine del Veda), le Upanishad, sono dei testi filosofici indiani che appartengono in parte (probabilmente i primi 13 o 14 “trattati”) alla letteratura vedica e, per il resto, a quella post-vedica. Ufficialmente e convenzionalmente raggruppate all’interno di 108 “trattati” (in realtà, ne sono stati recensiti più di 200...), le prime Upanishad vengono fatte risalire all’epoca della predicazione del Buddha (all’incirca il VI° secolo prima della nostra èra) e le ultime, al nostro XVI° secolo.
[36] Letteralmente: Canto del Beato (o Felice) Signore. Quest’opera - inserita nel Mahabharata e conosciuta ugualmente con il nome di Gitopanisad - espone l’insegnamento mistico e metafisico che Vishnu, sotto le spoglie di Krisna, avrebbe dato al principe Argiuna.
[37] Vuole dire: Classici. In particolare: il Classico dei versi, il Classico degli avvenimenti, il Classico delle mutazioni, gli Annali di Lu e le Cerimonie ed i riti, dai quali si deduce lo giunzi, il modello di uomo proposto dal confucianesimo.
[38] Letteralmente: Conversazioni. E’ una raccolta di aforismi della tradizione orale di Confucio.
[39] Letteralmente: Libro del Principio e della sua azione. Spesso tradotto a torto con il titolo di “Libro della Via e della Virtù”, questo compendio di massime e di sentenze dottrinali a sfondo monoteista (Tao = il Principio = Dio unico) è considerato la “Bibbia del Taoismo”. Quest’opera - che è composta da 2 libri, rispettivamente di 37 e di 44 capitoli - si riferisce a tradizioni antichissime e sarebbe stata redatta tra il IV° ed il III° secolo prima della nostra èra da Li Eul Po Yang o Lao Tan, meglio conosciuto con il nome di Lao-Tsè (il “vecchio” o “maestro venerabile”). I due libri in questione rappresentano il quadro dottrinale della religione taoista. Per saperne di più: Lèon Wieger, Les Pères du système taoïste, Ed. Belles Lettres, Paris, 1950; Liou Kia-Hway, Tao to King, Ed. Gallimard, Paris, 1967.
[40] Letteralmente: Note sui fatti dell’antichità. Il Koigiki è il principale “libro sacro” dello Shinto, la religione nazionale (o kokka shinto) Giapponese. Esso è formato da tre libri che sarebbero stati composti tra il 711 ed il 712 della nostra èra. Considerato la “Bibbia” di questa religione, il Koigiki è contemporaneamente (parte Iª) una “Genesi”, una “Cosmogonia”, una “Cronaca mistica” e (parte IIª e IIIª) un “libro dei Re o degli Imperatori”. Una “Bibbia” che descrive minuziosamente i miti e la storia del Giappone, dall’epoca del Caos primitivo all’epoca dell’Imperatrice Suiko (593-628).
[41] Letteralmente: Trattato della successione diretta (o giusta) degli dei e dei sovrani. Il Ginno shoto-ki è il secondo “libro sacro” dello Shinto, la religione nazionale Giapponese. Questo trattato, composto nel 1339 da Kitabatake Shikafusa (1293-1354), è alla base del nipponismo: l’ideologia nazional-religiosa Giapponese. Il Ginno shoto-ki, infatti, tende a farsi interprete della vera tradizione e dell’indispensabile unità e coesione del paese, sia nei confronti della particolarità feudale autoctona che in quelli delle possibili influenze straniere. Il Giappone, per lo Ginno shoto-ki, è semplicemente il Paese degli dei (shinkoku): una terra sacra creata espressamente dagli dei e governata dai suoi discendenti, un paese che non ha e non può avere uguali nel mondo.
[42] Letteralmente: Cronaca del Giappone. Complemento del Koigiki, il Nihon shoki (o Nihongi) è una raccolta di 30 libri che - sotto forma di annali storico-mitologici espressi in lingua cinese classica - presenta le differenti versioni dei Miti del Giappone, nonché una serie di cronologie leggendarie che riguardano i primi Imperatori di questo paese. Questa raccolta sarebbe stata scritta 8 anni dopo il Koigiki, all’incirca nel 719/720 della nostra èra.
[43] Letteralmente: Storia degli Heike. Prosa epica che narra l’ascesa e la decadenza del clan guerriero degli Heike (o Taira), in un contesto di continua lotta con il clan avverso dei Minamoto, per il controllo del paese, dalle province del Nord-Est alle isole del Sud. Inizialmente tramandata a memoria e cantata da monaci ciechi ed itineranti che si accompagnavano con un liuto a quattro corde (il biwa giapponese), quest’opera è stata per la prima volta redatta e condensata in 13 libri tra il 1202 ed il 1221.
[44] E’ una Storia degli Dei. Descrive e spiega le antiche leggende di questo popolo.
[45] Compilazione di preghiere. Descrive le tradizioni ed i riti dello Shinto (la via divina).
[46] Letteralmente: Antologia del Giardino delle Meditazioni. Opera metafisica vietnamita redatta in lingua cinese e sotto forma ermetico-poetica da una serie di Bonzi del paese tra il XII° ed il XIII° secolo. Tratta dell’insegnamento e della pratica religiosa ancestrale di questo popolo.
[47] Letteralmente: Raccolta delle potenze meravigliose dello spazio Viet. Riunito e scritto in cinese dallo scrittore Viet, Ly Te Xuyen verso il XIV° secolo, questo compendio di leggende e di miti contiene una dettagliata genealogia della maggior parte dei Re e degli Eroi antichi di questo popolo.
[48] Si tratta delle Memorie storiche dei Tre Regni. Compendio di miti, di leggende e di storie dell’antica Corea, i Samguk sagi sono stati scritti intorno al 1146 dallo storico Kim Pushik (1075-1151). Quest’opera - che conta cinquanta capitoli e si riferisce a testi nel frattempo scomparsi - racconta il passato mitologico dei regni di Scilla, di Koguryo e di Paeksce e delle loro sanguinose lotte per la supremazia all’interno del paese.
[49] Letteralmente: L’Epopea di Hang Tuah. Si tratta di una vasta raccolta di racconti in prosa riguardanti la vita e le gesta del principale Eroe storico-leggendario della Malesia. Quest’opera epica - trascritta da tradizioni orali nel XVII° secolo - descrive ugualmente gli avvenimenti del paese dall’origine mitica del Sultanato di Malacca fino all’arrivo dei primi coloni Portoghesi nel 1511.
[50] Letteralmente: i discorsi degli antichi. E’ una raccolta di precetti e di consigli della tradizione nahuatl tramandati oralmente di generazione in generazione che saranno, in parte, ordinati e trascritti, nel XVI° secolo, dal francescano Andrea de Olmos.
[51] Da Scilam (che designa una categoria di sacerdoti Maya) e Balam (il genere letterario che esprime), gli Scilam Balam sono - secondo il loro attuale ordinamento letterario - una raccolta di otto testi mitologico-profetici di origine precolombiana, espressi in lingua Maya-Yucatanica. All’interno di questa raccolta - oltre lo Scilam Balam d’Ixil, lo Scilam Balam di Tizimin, lo Scilam Balam di Kaua, lo Scilam Balam di Tekax, lo Scilam Balam di Nah, lo Scilam Balam di Manì - troviamo lo Scilam Balam di Sciumayel che descrive la creazione del tempo e dello spazio, l’origine della popolazione, e perfino l’arrivo dei Conquistadores Spagnoli (i cosiddetti Dzules).
[52] Letteralmente il Libro del Consiglio o Libro delle Tradizioni. Questo lungo testo della letteratura Maya-Quiscé risale probabilmente alle origini di questa civiltà. La versione che è giunta fino a noi, è una trascrizione in caratteri latini, realizzata nel 1555. Spesso considerata la “Bibbia del popolo Maya”, quest’opera conta tre parti distinte: la prima parte, che narra dell’origine del mondo e dell’uomo; la seconda, che tratta delle gesta di due eroi mitici dell’antichità leggendaria di questa civiltà, Ixbalanché e Hunalpù; la terza parte, in fine, che racconta le origini e lo sviluppo successivo delle popolazioni del Guatemala, nonché le genealogie ed i principali fatti d’arme delle diverse dinastie che avrebbero regnato sul territorio dei Maya-Quiscé.
[53] Epopea tibetana, composta da canti e declamazioni in prosa, che ritraccia la vita e le gesta di un eroe legendario, Gesar (spesso identificato nel re del Tibet, Ling), ed allo stesso tempo esalta e glorifica l’ideale di uomo che quest’ultimo rappresenta ed incarna.
[54] Versione mongola liberamente interpretata dell’epopea tibetana appena descritta. Se da un punto di vista formale le due epopee sembrano somigliarsi e perseguire le stesse finalità, nella pratica, la vita e le gesta del Geser mongolo non corrispondono affatto a quelle del Gesar tibetano.
[55] Letteralmente: il liuto di Ekang. Si tratta di un epopea a carattere mitologico che, trasmessa oralmente per secoli, racconta la creazione del Cosmos e descrive l’eterna lotta tra gli uomini e gli spiriti immortali.
[56] Stato psicopatico, in cui la coscienza si restringe intorno ad una sola idea dominante.
[57] Forma di malattia mentale caratterizzata dalla fissazione in un’idea.
[58] Nel senso di un’idea che ha la particolarità di essere totalmente opposta ai principi ed ai valori che sono alla base di una società naturale.
[59] Letteralmente: “Action de mettre dessous ce qui était dessus et réciproquement”, (Dictionnaire Politique », Ed. Pagnerre, Paris, 1842, pag. 898).
[60] Gruppo di poemi o di inni liturgici, scritti in un dialetto iraniano antico ed annunciatori di un monoteismo rigoroso centrato sulla divinità Ahura Mazda (o il “Signore Saggio”) che la tradizione mazdeista attribuisce allo stesso Zaratustra (o Zoroastro). Raccolte nello Yasna (il libro del “sacrificio”) ed integrate nell’Avesta (letteralmente: fondamento, definizione e, per estensione, “l’Elogio” di Ahura Mazda. E’ un compendio di inni, racconti, formule e leggi. Originariamente scritta nella lingua avestica o zend, l’Avesta (comprendeva 21 libri o Nasks, di cui uno solo avrebbe mantenuto la sua forma e sostanza originale, cioè il Videvdat - erroneamente chiamato Vendidad - o “legge contro i demoni”) rappresenta ancora oggi il principale fondamento della religione e della cultura mazdeista.
[61] Il nome del Pentateuco in ebraico. Letteralmente: i cinque libri della Torà. Questa denominazione ha cominciato ad essere utilizzata dagli Israeliti a partire dal -130.
[62] Letteralmente: i tre panieri. E’ una raccolta di sermoni (sutra), di testi di disciplina monastica (vinaya) e di prescrizioni dottrinarie (abhidharma).
[63] Letteralmente: Sutra del fior di Loto. Sono dei testi canonici attribuiti al Buddha.
[64] Vuole dire: Perfezione della saggezza. Sono altri testi canonici attribuiti al Buddha.
[65] Che vuole dire : la “lettura” o la “recitazione”. E’ ugualmente chiamato: El-Forqân, "la Distinzione"; oppure, El--tenzît, "la Rivelazione"; o ancora, Kitâb-Allah, "il Libro di Dio"; ossia, El-Kitâb, "il Libro".
[66] Letteralmente: il Libro o il Libro per antonomasia. Il Granth - considerato la “Bibbia dei Sikhs” ed espressione della “volontà di Dio” - predica il contatto diretto tra Dio e gli uomini e viceversa. Questo “libro sacro” è formato da due parti distinte: l’Adi Granth (o Grant originale) che - sotto forma di inni sacri - comporta 1430 pagine redatte in lingua gurmukhi (un misto di antico hindi e di antico pengiabi). Quest’opera, secondo la tradizione Sikh sarebbe stata direttamente composta dai primi cinque e dal nono Gurù della setta; ed il Dasven Granth o Dasven Padshah ka o Dasam Granth (il “Libro del Decimo (Gurù)”), è un libro scritto il lingua bradg che sarebbe stato realmente assemblato e/o redatto dall’ultimo Gurù della “setta”, Govind Sing (1675-1708).
[67] Membri di un gruppo politico-religioso indiano fondato nel XV° secolo dal Gurù Nanak (1469-1539). I Sikhs (attualmente 13 milioni) rifiutano il sistema delle caste e si battono per una fraternità universale.
[68] “Canone Scivaita”. E’ la principale raccolta di testi religiosi della “Setta Tamul”.
[69] Letteralmente: Guida verso il Signore Muruku. Redatto in 317 versi ed attribuito ad un tale Nkkiran, il Tirumurukarruppatai è un testo religioso che - incluso nell’undicesimo libro del Tirumurai (il “Canone Scivaita” Tamul) - descrive le qualità e le prerogative del dio Murukan o Murugan (dio indù del Sud dell’India, corrispondente a Subrahmanya, uno dei figli di Sciva), la divinità più venerata dai Tamul.
[70]Letteralmente: Divina Composizione. Incluso nell’ottavo libro del Tirumurai (il “Canone Scivaita” Tamul), il Tiruvacakam è composto da 51 poemi (attribuiti al poeta Manikkavacar che sarebbe vissuto tra l’VIII° ed il IX° secolo) che lodano religiosamente le qualità del dio Sciva o Siva (una delle tre principali divinità del Pantheon Indù).
[71] Gruppo culturale abitante il Sud dell’India ed il Nord dello Sri Lanka.
[72] Letteralmente: L’Annuncio o La Spegazione. Scritto da Mirza Ali Mohammed (il Persiano di Shiraz che si pretese la reincarnazione del 12° Imam della tradizione Shi’ita), questo libro è considerato il principale testo sacro del movimento Baha’is. Esso fissa l’inizio del ciclo profetico di Ali Mohammed al 23 maggio 1844 e stabilisce le nuove regole della nuova fede a sfondo sincretista (una fede, cioè che tenta di riunificare Giudaismo, Cristianesimo ed Islam).
[73] Letteralmente: il Libro dei precetti. Questo libro è considerato la base dottrinaria della religione fondata in Iran da Mirza Ali Mohammed (soprannominato il « Bab ») nel 1843. Questa religione pretende riunire all’interno di un’unica fede le religioni monoteiste precedenti (Giudaismo, Cristianesimo ed Islam). Un’interessante traduzione di quest’opera esiste alla fine del libro Religions et Philosophies dans l’Asie Centrale di Joseph Arthur de Gobinau, pubblicato nel 1865.
[74] Letteralmente (in arabo): il Libro più sacro. Compedio specifico di regole e di precetti della “setta Baha’is” estratti dalla predicazione del suo fondatore, Mirza Ali Mohammed (1820-1850).
[75] Gli aderenti alla religione baha’ista: una religione fondata nel XIX° secolo da Mirza Ali Mohammed, detto Baha ullah (la “gloria di Dio”).
[76] Nel senso dellaUmwertung (‘transvalorazione di tutti i valori’) di Nietzsche.
[77] Niente a che vedere, dunque, con le nozioni tradizionali di Volksgemeinschaft (Comunità di popolo), di Blutgemeinschaft(Comunità del sangue) e/o di Schicksalsgemeinschaft (Comunità di destino) che sono intimamente legate ai concetti di Innata Societas e di Popolo-Nazione.
[78] Ciò che Friedrich Georg Jünger (1898–1977), nel suo Der Aufmarsch des Nationalismus (1926), definisce Geistgemeinschaft o “Comunità della mente” in opposizione a Blutgemeinschafto "Comunità del sangue”. L’ “Ideologia” di una “Comunità ideologica” non deve assolutamente essere confusa con l’Ideologia in senso tradizionale. Quest’ultima – come abbiamo visto nelle pagine precedenti – è semplicemente un corpus culturale che cerca in qualche modo di conferire dignità al presente ed al futuro di una certa Società, attraverso un’esposizione mitica, sacrale e/o eroica del suo più remoto ed insondabile passato; oppure, di attribuire delle Lettere di Nobiltà al presente della società da cui scaturisce, attraverso la descrizione o l’elaborazione intellettuale al passato di avvenimenti, veri o presunti, che si sarebbero svolti nel corso di una lontana e non meglio identificabile e dimostrabile storia antica di un popolo e/o di una società.
[79] Il Corano cita 25 “Profeti“. La tradizione islamica, invece, precisa che il numero dei “Profeti“ è 124’000 ed il numero dei “Libri rivelati“, 104.
[80] In altre parole: un "Capo", un "Leader", un "Profeta" o un qualunque "Antesignano".
[81] Come precisa Pinchas E. Lapide, “par la bouche de son fondateur, le christianisme proclama qu’il était l’accomplissement du judaïsme; et le prophète de l’Islam déclara qu’il était le véritable successeur de Moïse, “un prophète avec un livre”. Le judaïsme est la religion “mère” dont les filles, en prenant des chemins séparés, ont gardé certaines choses de leur héritage maternel; elles se préoccupent surtout de la conduite morale et de la réalité du spirituel, enfin elles se proclament toutes descendantes d’Abraham et affirment adorer le Dieu de Moïse dont les lois du Sinaï a aussi façonné leur religion“ (Rome et les Juifs, Ed. Le Seuil, Paris, 1967, pag. 49 et 50).
[82] Il modello di Stato che normalmente pretende che basti tirare delle linee su di una carta geografica, ed avere la forza o l'autorità per farlo ed imporlo, per determinare a quale “nazionalità” appartengono i cittadini che sono inclusi all’interno di quel soggettivo ed arbitrario spazio territoriale. Il modello di “Stato-Nazione”, come sappiamo, per potere essere ed esistere, non può fare altro che continuare a “nascondere sotto il tappeto” i Baschi, i Bretoni, gli Alsaziani, i Kanak, ecc. (come nel caso della Francia); i Catalani ed i Baschi (come nel caso della Spagna); i Valloni ed i Fiamminghi (come nel caso del Belgio); gli Scozzesi, i Gallesi, gli Irlandesi dell’Ulster, ecc. (come nel caso della Gran Bretagna); i Sudtirolesi (che, in Italia, abbiamo pudicamente ribattezzato «Altoatesini»!) ed i Valdostani (nel caso dell’Italia); i Curdi, gli Armeni, i Turcomanni, i Greci, ecc. (come nel caso della Turchia); i Ceceni, i Ghirghisi, i Tartari, ecc. (come nel caso della Russia), gli Arabi, i Druzi, i Circassi (come nel caso di Israele), gli Utu ed i Tutzi (come nel caso del Ruanda), i Berberi (come nel caso dell’Algeria e del Marocco), ecc. Lo stesso dicasi dei Tedeschi dei Sudeti, della Slesia, della Pomerania e della Prussia Orientale ; dei Marathe e dei Munda dell’India ; dei Tibetani “annessi“ dalla Cina ; degli aborigeni dell'Australia e della Nuova Zelanda ; dei Tuareg del Mali, del Niger e del Sahara; dei Pellerossa e degli Indios delle due Americhe ; dei Teda del Tibesti e del Fezzan libico ; degli Ashanti e dei Fanti del Gana ; degli Anuak e dei Dinka del Sudan ; degli Adiukru e gli Agni della Costa d'Avorio ; dei Fon del Benin e della Nigeria ; dei Luri dell'Uganda e dello Zaire ; degli Ambo dell'Angola, della Namibia e dello Zambia ; degli Amhara, dei Tigré, dei Kaffa e dei Galla dell'Etiopia ; dei Barma, dei Daza e dei Maba del Ciad ; degli Antaisaka del Madagascar, ecc.
[83] Sorto in Gran Bretagna e figlio naturale del Mercantilismo (XVIIº e XVIIIº secolo) e dell’Imperialismo (dal XVIIIº secolo ai nostri giorni), questo concetto è molto simile a quello di Etat-Nation o “Stato-Nazione”, in quanto, trasfigurando l'antica nozione latina di Imperium ed integrandogli quella di possesso fisico dei popoli e dei territori, tende a massificare le differenze umane e ad annullare giuridicamente la varietà delle diverse popolazioni sottomesse, per conglobarle uniformemente o gerarchicamente all'interno di un'unica ed astratta entità politico-amministrativa.
[84] “Tendenza di una nazione ad estendere il proprio dominio o ad acquistare un’egemonia su altri popoli“ (Dizionario Garzanti della Lingua Italiana, XIXª edizione, Aldo Garzanti Editore, Milano, 1980, pag. 815).
[85] Rivolta contro il mondo moderno, Ed. Mediterranee, Roma, 1969, introduzione, pag. 6.
[86] Nel senso di “teoria dello Stato, delle sue forme e strutture, nonché dei principi che lo governano” (E. Morselli, Dizionario di filosofia e scienze umane, Signorelli, Milano, 1977, pag. 155).
[87] E’ un sostantivo che esprime l’attività esercitata dall’oikonomos (da oikos, casa e nomos, amministrazione), cioè l’amministratore o il gestore.
[88] Sodalitas, atis. Nel senso di cameratismo, la sodalitas è citata da Cicerone in Verrem actio 1, 94 ed in Brutus, de claris oratoribus 166; da Tacito in Annales 15, 68; da Aulus Gellius in Annalium (frammento) 20, 4. 3. Nel senso di collegio e/o di confraternita; da Cicerone, in Caecilium divinatio 26. Nel senso di associazione politica, da Cicerone in Pro Cneo Plancio 37 ed in Epistulae ad Quintum fratrem 2, 3, 5.
[89] Vinculum, i, che vuole dire: il legame, il vincolo (societario). Cicerone, in questo senso, parla addirittura di vincula concordiae, di “legami che mantengono la concordia”(in De finibus 2, 117 ).
[90] La società civile. Aristotele, nel primo paragrafo delle Politiche, considera questa denominazione come un sinonimo della Polis.
[91] Verbo transitivo della 3ª coniugazione. Come precisa Gonzague de Reynolds, il senso etimologico di questo verbo è: “Conduire hors, élever, sortir quelqu'un de soi-même en le décentrant de tout ce qui le retenait prisonnier, pour aider son âme dans son ascension vers sa fin. C'est cela, l'éducation: le reste n'est qu'instruction “ (L'Hellénisme et le génie européen, ed. Egloff, Librairie de l'Université, Fribourg en Suisse, 1944, pag. 45).
[92] Nel senso di educare qualcuno, facendo scaturire e valorizzando le qualità e le capacità che egli stesso già possiede in natura.
[93] Nel senso di schiudere, far sbocciare: C. Valerius Catullus o Catullo, 64, 90.
[94] E più particolarmente, alle giovani generazioni: T. Maccius Plautus o Plauto, Mostellaria, 186; P. Terentius Afer o Terenzio, Andria, 274; P. Vergilius Maro o Virgilio, Aeneis o Eneide, 8, 413; Titus Livius o Tito Livio, Ab Urbe condita libri, 1, 39, 6 e 21, 43, 15; P. Cornelius Tacitus o Tacito, Annales, 1, 4.
[95] Verbo transitivo della 1ª coniugazione.
[96] Cicerone, De natura deorum, 2, 129.
[97] Agli occhi degli antichi Greci, il Cosmos era un paradeigma: un esempio da imitare. Era l’unico modello che corrispondesse alla complessità della natura umana e, contemporaneamente, fosse in grado di dare una forma organizzativa e sensata all’infinita varietà degli uomini ed all’indescrivibile variabilità dei loro imprevedibili ed imponderabili comportamenti. Per gli antichi Greci, infatti, il Cosmos non era soltanto un modello di ordine, di razionalità e di bellezza che dall’esterno della loro natura era in condizione di colmare la mancanza di assetto biologico che caratterizzava il genere umano nei confronti del mondo vegetale ed animale. Osservando e contemplando quell’ordine, quella razionalità e quella bellezza, essi si erano ugualmente resi conto che il Cosmo, in realtà, poteva senz’altro essere interpretato come una specie di proiezione ortogonale della loro natura e la loro natura, a sua volta, poteva senz’altro essere paragonata ad una specie di riduzione ortogonale di ciò che, essi stessi, riuscivano a percepire e comprendere di quell’ordine. Quella loro deduzione, inoltre, era avvalorata dalla constatazione che sia la natura umana che il Cosmo, erano fondamentalmente armoniosi ed equilibrati, in quanto, nei loro aspetti generali e particolari, obbedivano a delle leggi naturali che erano, simultaneamente, dinamiche, metamorfiche ed immutabili.
[98] Primo tra pari.
[99] Un “ordine”, cioè, all’interno del quale, colui che si impadronisce di un qualsiasi parcella di potere, tende personalmente a monopolizzarlo a suo vantaggio ed a ridistribuirlo proporzionalmente e nepotisticamente, dall’alto verso il basso, ai suoi amici e/o ai suoi fedeli, con la classica formula: io sono il Capo, tu sei il Vice-Capo, tu sei il Sotto-Vice-Capo, tu il Sotto-Sotto-Vice-Capo. ecc.. Il solo criterio di costruzione o di realizzazione questo tipo di “gerarchia” essendo la spersonalizzazione individuale, l’appiattimento psicologico e l’assoluta devozione fisica e morale dei subalterni nei confronti del “Capo” o di colui che si è arrogato il diritto di assegnare o di dispensare le diverse cariche. Questo, naturalmente, senza tenere conto dell’eventuale competenza o capacità del “Leader” o dei suoi “scagnozzi” a rivestire efficacemente gli incarichi che questi ultimi si sono spartiti o ripartiti all’interno dei differenti campi di attività della società o di un qualunque altro ordine costituito.
[100] In realtà, un’immateriale e protoplasmatica “nebulosa” e brutta copia o la mera caricatura di ciò che desidererebbe essere o divenire…
[101] Un’ “ortodossia”, naturalmente, che è esclusivamente riferita alla dogmatica e cristallizzata “percezione” e/o “interpretazione” di quel periodo della nostra Storia, operata soggettivamente ed arbitrariamente dai singoli “Capi” e/o “Leader” pro-tempore dei differenti gruppuscoli di quella “nebulosa”. In altri termini: come all’interno di qualsiasi altra “Setta ideologica”, chi non la pensa esattamente come il “Capo” e/o il “Leader”, è il nemico da isolare, combattere ed espellere! Ciò che è una vera e propria contraddizione in termini con il modello politico al quale, quei “Leader” e quei gruppuscoli, pretendono ispirarsi.
[102] Cum errat eruditus, errat errore eruditio (quando l’erudito sbaglia, sbaglia con erudizione).
[103] Uno “Stato-Nazione“ che – oltre a non avere niente a che fare o che vedere con l’origine storica e la cultura dei Popoli-Nazione europei; ad essere popolato in maggioranza dai discendenti dei Tatari, dei Turchi Osmanli, dei Turco-Mongoli, dei Kirghisi, dei Sart, dei Ciuvashes, degli Yakuti, dei Kalmuchi, degli Eleuti, dei Khalkha e dei Buriati (un miscuglio inqualificabile di etnie, senza nessuna unità antropologica e, di volta in volta, approssimativamente definite Tartare, Turco-Tatare, Turaniane e/o Uralo-Altaiche); ad essere legato “mani e piedi” all’Imperialismo statunitense e ad essere governato da una camarilla di Doenmeh (apostati giudaiti convertiti all’Islam), di ex Sefarditi turchizzati, di Militari torturatori, framassoni e filo-Sionisti – non riconosce nemmeno la Nazionalità o la specificità etnico-culturale-storica delle minoranze Curde ed Armene che, in definitiva, sono gli unici epigoni di Indoeuropei che ancora vivono sul suo territorio…
[104] Quel “progetto”, infatti, potrebbe avere un senso geopolitico e storico, se esistesse o fosse già chiaramente definito e delineato un blocco compatto di Popoli-Nazione europei che fosse in grado di negoziare – su un piano di parità etnico-storico-politica - un’unità di intenti con gli altri Popoli-Nazione (come i Cinesi, i Mongoli, i Turchi, gli Iraniani, gli Afgani, ecc.) che vivono ed operano all’interno del nostro stesso Continente. Allo stadio attuale della situazione europea, invece, quel “progetto” favorirebbe esclusivamente il modello di melting–pot statunitense: cioè, la semplice “diluizione”, senza nessun “anticorpo”, dell’entità europea, nell’immenso calderone di una serie di Popoli-Nazione che, per il momento – volens, nolens – posseggono, rispetto ai nostri, una più chiara e solida identità politica, economica, sociale e culturale.
[105] Il “vero e perfetto Israele“ dei Cristiani. Secondo questi ultimi, infatti, Cristo sarebbe venuto a costituire il “nuovo Popolo di Dio“, rendendo caduca la precedenza “alleanza” con gli adepti del Giudaismo. Come specifica l’Apostolo Paolo : "(…) non tutti i discendenti da Israele sono Israele ; né per il fatto che son progenie d’Abramo, son tutti figliuoli d’Abramo ; (…) non i figliuoli della carne sono figliuoli di Dio ; ma i figliuoli della promessa son condiderati come progenie" (Romani, 9, 6-8) ;oppure: “Poiché Giudeo non è colui che è tale all’esterno; né è circoncisione quella che è esterna, nella carne: ma Giudeo è colui che lo è interiormente; e la circoncisione è quella del cuore, in spirito, non in lettera” (Romani 2, 28); o ancora: "E se siete di Cristo, siete dunque progenie d'Abramo; eredi, secondo la promessa" (Galati 3:29) ; ossia: "(…) in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele ed estranei a patti della promessa, non avendo speranza, ed essendo senza Dio nel mondo. Ma ora, in Cristo Gesù, voi che già eravate lontani, siete stati avvicinati mediante il sangue di Cristo" (Efesini 2, 12-13). Paolo e Luca, in particolare, parlano della “nuova alleanza“, in connessione con la profezia di Geremia (1Cor 11, 25 ; Luca 22, 20 ; Geremia 31, 31-34). Per saperne di più sul “vero Israele”, vedere : Justin, «Dialogue avec le juif Tryphon», traduzione di G. Archambault, Ed.
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