Valerio Aprea all 'Auditorium con 'Flautissimo a Teatro'
A teatro con i grandi del palcoscenico per leggere testi arcinoti e goderne le sfumature nascoste con l’accompagnamento della musica. Il nuovo progetto dell’Auditorium Parco della Musica che vede tre serate tutte dedicate alla letteratura e alla voce degli interpreti.
A partire dal 26 novembre con Massimo Popolizio che con il tono perentorio delle sue corde ha letto il brillante II libro dell’Eneide interpretando tutta la tragicità dell’inganno del cavallo e la distruzione della città. Dal passato remoto all’infinito presente, il 27 novembre in scena c’è un inestimabile Valerio Aprea, duttile, flessibile, ironico, sarcastico, freddo e calibrato eppure tanto vicino all’animo umano da commuovere ed esaltare allo stesso tempo.
Valerio Aprea dice esattamente quattro parole e il pubblico già ride. Basta che pronunci qualche suono, qualche sillaba e già lascia presagire il puro divertimento, quello fatto delle cose di casa, degli aneddoti a cui tutti, in un modo o nell’altro, siamo affezionati, quello fatto di storie d’amore infrante su muri di cemento ma che, nonostante tutto, ci hanno fatto bene. Legge i testi acclamatissimi di un autore d’eccezione, Allegro Teatrale di Francesco Piccolo, premiato Strega 2014, e conosciuto per le sue formidabili narrazioni di vita quotidiana, venate di amara ironia e tragicomica verità.
Aprea si espande, da una parte all’altra del palco effonde la sua voce incalzante, quando racconta del fratello più piccolo, quello che deve stare dalla parte del muro sennò viene investito. Oppure quando ci affascina con la storia d’amore d’Agosto, quella settimana centrale del mese, al massimo dieci giorni, in cui Roma si svuota e tutto sembra molto più magico, anche l’incontro tra due persone. Monologo sul padre, che ce l’ha con i comunisti e dice la figlio “facile essere comunisti con i soldi di papà. Andate a farvi pagare il bollo da Berlinguer!”. Ed è lì che vuoi per il testo, vuoi per l’intonazione, suscita clamorose risate, perché fa sentire il pubblico parte di una storia tanto nota, anche sul finale che ammonisce “e io glielo vorrei dire a papà che mi sa tanto che il comunismo non arriverà mai”.
Ombra e luce, musica intervallata a poco silenzio, un trio d’eccezione a camminare con Aprea, Alessandro Chimenti alla chitarra, Daniele Leucci alle percussioni, Renato Vecchio ai flauti, lievi i suoni, discreti accompagnatori di questo breve viaggio. Per terminare su due pezzi d’eccezione. Uno notissimo sulle bottiglie di vino che ogni sera passeggiano per Roma. Per raccontare l’iter infinito delle bottiglie regalo, passate di mano in mano, di casa in casa, per andare poi a finire proprio nell’appartamento di quello che per primo l’aveva comprata. Scrosci di applausi e grida di approvazione per un reading che termina con “un bis non richiesto”, come dice lo stesso Aprea.
Non legge adesso, la sa a memoria. Vestito dell’asta e del microfono, in un cono d’ombra che ne esalta il pathos, ci racconta di una donna, al mattino. Truccata come si è struccati dopo una notte d’amore, vestita di un abito attillato poco adatto alle prime ore del giorno, in una strada desolata. Entra in un bar, prende un caffè. E’ felice, di quella infinita felicità sottile, impercettibile. E solo quando prende il suo prima caffè della giornata, versa lo zucchero, gira lentamente il cucchiaino nella tazzina, solo in quel momento finisce il suo ieri sera.
Aprea è immenso, di media statura, esile, con i capelli arricciolati sulla fronte, sembra un bambino. Come tale si muove sul palco, discreto lascia la platea e di lui l’eco che infonde gioia, pensosità e non si bene perché, impalpabile malinconia. A terminare questa breve rassegna sarà Galatea Ranzi, l’11 dicembre, con Diario di Guerra di Isotta Toso.
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