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Lettera al Direttore di una professoressa rappresentante della comunità armena
Gentile Direttore
Sono un'insegnante di italiano e storia della scuola secondaria di secondo grado di origini armene. Non ho potuto in quanto docente e in quanti discendente di un fiero popolo martire della chiesa cristiana non rimanere ferita dalle affermazioni rilasciate a mezzo stampa da un alto funzionario del MIUR, il prof. Luciano Favini, che nel commentare le possibili tracce dei temi della maturità ha testualmente affermato l'impossibilità di proporre "un tema storico sul genocidio degli armeni che va a colpire la particolare sensibilità della Turchia".
Lasciando stare i miei sentimenti di armena, da docente ho sempre cercato di far capire ai miei alunni come ai miei figli quanto sia prezioso saper ammettere le proprie colpe e che gesto meraviglioso sia chiedere scusa. Ho insegnato che nascondere la propria colpevolezza non renda automaticamente innocenti e che imparare a confessare da ragazzi forse un giorno renderà migliore la nostra società.
Ora, ricordando che il Parlamento italiano nel 2000 ha votato, al pari di numerose altre istituzioni internazionali, una risoluzione di riconoscimento del genocidio armeno, come devo commentare, come posso giustificare le parole di un alto funzionario della pubblica istruzione che si preoccupa di tutelare la sensibilità del negazionismo?
Como posso rimproverare un alunno colpevole che scarica la colpa sul vicino a cuor leggero quando nessun ministro riprende il prof. Favino che ritiene più giusto non urtare i sentimenti di chi alimenta una menzogna? Siamo davvero una tribù di così poca importanza noi armeni? Un milione e mezzo di morti, bambini e donne trattati come spazzatura non devono davvero aver mai uno sguardo di pietà da nessuno?
La verità caro professor Favino, caro Ministro Carrozza, è più importante di tutto, la si può negare, si può fingere che non esista, si possono pagare storici per riscriverla, ma rimane sempre verità. Ho visto commissari all'esame di maturità assegnare zero a chi si era permesso di fare una tesina sulle foibe, anteponendo bieche motivazioni politiche allo sterminio dei propri fratelli italiani per mano straniera e ora vedo funzionari preoccuparsi della suscettibilità del negazionismo e non di quella dei figli e nipoti di ex bambini violentati, resi orfani e profughi, zittiti e umiliati per 98 anni.
Ma cosa vogliamo insegnare?
Prof.ssa Barbara Grassi Najarian
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