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Assistenza familiare: il contributo dell'immigrazione
Secondo i dati più recenti messi a disposizione dall'Inps: in Italia sono 750 mila i lavoratori stranieri censiti che si occupano di assistenza familiare, ma si tratta di stime al ribasso, vista la presenza tutt'altro che marginale di situazioni di irregolarità: realisticamente si può pensare che le cifre siano vicine al milione e mezzo. Numeri a parte, la conoscenza delle persone che costituiscono la categoria occupazionale più vasta fra i migranti (il 21% del totale) è poca o nulla, in gran parte stereotipata, e da questa premessa è partita l'indagine sull'assistenza familiare in Italia, promossa da UniCredit Foundation in cooperazione con Agenzia Tu di UniCredit e realizzata dal Centro Studi e Ricerche Idos, presentata il 2 maggio presso la Sala Minerva di Palazzo De Carolis. Non una ricerca universale sul tema, ma un'esplorazione in grado di fornire statistiche rilevanti su un campione di oltre 600 collaboratori domestici nel centro-nord del nostro paese.
Le provenienze principali si confermano dall'est Europa, Romania, Ucraina e Moldavia su tutti, a seguire Filippine, Ecuador, Sri Lanka e Perù. La tipologia degli assistiti vede in prima posizione gli anziani (53,1%), perlopiù soli, per un terzo coinvolge invece famiglie, quasi sempre con figli o anziani a carico. Le mansioni dei dipendenti sono la cura delle persone (66,5%), della casa, per il 63,2%, in misura minore della cucina (33,3%) mentre decisamente poco diffuso è il compito di fare la spesa (7,1%). A stridere è soprattutto il livello di istruzione rapportato ad occupazioni che richiedono basse qualifiche. Il 26,7% ha almeno il diploma , il 18% ha frequentato l'università. Al contrario è scarsa la formazione specifica, visto che oltre il 73% non ne ha usufruito e comunque quasi il 60% non la ritiene necessaria.
Dal punto di vista anagrafico risulta schiacciante la prevalenza femminile, oltre il 90%, ma questa è una leggera distorsione dovuta alla ristrettezza del campione, come ammesso dal curatore dell'indagine Renato Marinaro. Così come è apparsa più alta l'età media, vicina ai 40 anni contro i più realistici 33 calcolati sull'intera categoria. Poco meno della metà è coniugato ed il 73% ha figli, quasi sempre rimasti nel paese d'origine. Ma circa il 50% non ha intenzione di iniziare le trafile burocratiche per il ricongiungimento, pensando ad un ritorno in patria anche se non necessariamente nell'immediato. Solo il 21% infatti ha in mente di rimanere in Italia, anche se è il 30% ad avere un permesso di soggiorno di lungo periodo, contro il 40% di biennali e il 12% di annuali.
Il fattore risparmio è primario, l'80% degli intervistati riesce a mettere da parte tra i 100 e i 250 euro al mese. Il 72% invia questi soldi come rimesse al paese d'origine, attraverso i classici money transfer (42%), canali informali come la consegna diretta (32%), o tramite banche (23,3%), presso le quali il 60% ha attivato un conto corrente.
Il modo più facile per trovare lavoro resta il passaparola fra connazionali, per il 61% dei casi. Poco meno del 20% ci è riuscito da solo, mentre gli uffici per l'impiego sono stati sfruttati soltanto dal 3,8%. Le ore settimanali oscillano perlopiù tra le 21 e le 40, sommandole con la fascia 41-60 si arriva oltre l'80%. Più rari gli estremi, il 6,4% è sotto le 20 ore, ma c'è un fin troppo cospicuo 4% che, al contrario, supera la soglia delle 60. Alla metà viene riconosciuta la modalità di riposo prevista dal contratto collettivo di una giornata e mezza, ma si arriva anche a situazioni limite di mezza giornata per l'8,4%. Il 50% riceve, come attestazione dello stipendio, busta paga e Cud, fondamentali per l'ottenimento dei documenti, ma il 17,2% ha dichiarato di non percepire nessuna delle due.
"Il sostegno dei nuovi cittadini nel frenare la decrescita è fondamentale", commenta Roberto Nicastro, direttore generale di UniCredit, proprio perché la famiglia è la prima delle istituzioni colpita dalla crisi. "Se non abbiamo avuto un cedimento enorme, a livello di equilibrio pensionistico, è grazie ai contributi versati dai lavoratori stranieri", ma per non vederla solo in termini utilitaristici, l'importanza è anche "nell'arricchimento socio-culturale portato dal loro inserimento".
Lavoratori domestici nel mondo Dal rapporto stilato dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro risultano esserci 52 milioni di lavoratori nel settore domestico in tutto il mondo, l'83% sono donne. La quasi totalità è assorbita tra Asia, area del Pacifico e Sudamerica e l'incremento negli ultimi 20 anni è stato di 19 milioni di impiegati. Ma l'inclusione nella legislazione a tutela dei diritti è sempre stata limitata e i casi di abusi e violenze, anche sessuali, troppo spesso impuniti, sono ricorrenti. Solo il 10% è lontano da una condizione di vulnerabilità, motivo che ha spinto l'Oil, nel giugno 2011, a promuovere la Convenzione n. 189, al fine di recepire alcuni pilastri fondamentali, quali il diritto di associazione, la contrattazione collettiva, la proibizione del lavoro forzato ed il divieto di discriminazione, rendendo noti diritti come il salario minimo, la fruizione di almeno un giorno di riposo settimanale e la regolamentazione dell'orario di lavoro. Le prime ratifiche sono state, nel 2012, da parte di Uruguay e Filippine, cui sono seguite quelle di altri paesi fra cui l'Italia, primo fra i membri considerati a sviluppo avanzato a farla propria.
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