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Lotta al cambiamento climatico: si potrebbero creare 18 milioni di posti di lavoro

Lotta al cambiamento climatico: si potrebbero creare 18 milioni di posti di lavoro
Autore: Remi Barroux - Redazione Ambiente
Data: 17/05/2018

Creare 24 milioni di posti di lavoro nel mondo, ecco quello che permetterebbe la lotta per ridurre le emissioni di CO2 -si’ da contenere il riscaldamento climatico al di sotto dei due gradi centigradi, cosi’ come previsto dall’accordo di Parigi del 12 dicembre 2015.

Nel rapporto “Posti di lavoro e questioni sociali nel mondo 2018: un’economia verde e creatrice di lavoro”, reso pubblico il 14 maggio scorso, l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) ha fatto una stima delle perdite e delle creazioni di posti di lavoro indotti da questa evoluzione dell’economia, che viene giudicata ineluttabile. Con sei milioni di posti di lavoro distrutti, il saldo indotto dalla generalizzazione della transizione verde sarebbe quindi di 18 milioni entro il 2030.

L’unica agenzia tripartita delle Nazioni Unite -che raggruppa i rappresentanti dei governi, dei lavoratori e dei salariati di 187 Stati membri- aveva già, nel passato, lavorato sulla questione dei lavori verdi e del lavoro decente. Nel 2013, nell’ambito della Conferenza internazionale del lavoro, che si tiene ogni mese di luglio a Ginevra, aveva prodotto un rapporto che indicava “dei guadagni netti in materia di lavori supplementari, tra il 2010 e il 2030, dallo 0,5 al 2%”.

Catherine Saget, economista alì’ILO e principale autrice del rapporto pubblicato lunedì scorso, dice che “non si tratta di contabilizzare i lavori verdi prossimi, ma di studiare i guadagni e le perdite in tutti i settori toccati dal mutamento dell’economia”. Per questo l’ILO stima che “l’azione che tende a limitare il riscaldamento climatico a 2 gradi, porta alla creazione di lavori per compensare largamente i sei milioni di lavori soppressi nel settore”.

Benefici in America, Asia ed Europa, perdite in Africa
Il beneficio netto si concentra nelle Americhe, in Asia e nella zona del Pacifico, così come in Europa, aumentando rispettivamente a 3 milioni, a 14 milioni e a 12 milioni di posti di lavoro. Al contrario, il Medio-Oriente e l’Africa ne perderebbero rispettivamente circa 300 mila e 350 mila (cioé -0,48% e -0,04% di ognuna di queste due regioni del mondo), “in ragione della loro dipendenza, rispettivamente, alle energie fossili e alle miniere”.
Sui 163 settori economici studiati, solo 14 subirebbero delle soppressioni superiori a 10 mila posti a livello mondiale. L’estrazione del petrolio e la sua raffinazione registrerebbero delle perdite superiori ad un milione di lavori. Nel settore dell’elettricita’, la creazione di 2,5 milioni di posti per le energie rinnovabili compenserebbero largamente la distruzione di 400 mila lavori nella produzione basata sui combustibili fossili.
L’economia circolare, con le attivita’ di riciclaggio, classificazione, riparazione, locazione e riutilizzo degli oggetti, darebbe vita a sei milioni di posti di lavoro. In questi ambiti, l’ILO insiste anche sulla necessita’ di assicurare la qualita’ del lavoro, molto spesso precario, pericoloso e senza protezione sociale nei settori informali.

Rafforzare le formazioni e le protezioni sociali
Piu’ difficile da quantificare, l’ammontare dell’agricoltura bio e di quella conservativa (che permette di mantenere e aumentare il potenziale agronomico dei suoli limitando gli ingressi, per esempio, e organizzando le rotazioni di coltivazioni), che dovrebbe anche consentire di assumere più persone.
In Europa, il lavoro agricolo e’ aumentato dell’1,1% con la conversione in bio. “Il passaggio a dei sistemi agricoli piu’ durevoli creerebbe dei posti di lavoro nelle fattorie bio di taglia media o grande e permetterebbe ai piccoli di diversificare le loro fonti di reddito, soprattutto se gli agricoltori dispongono di adeguate competenze”, scrivono gli autori del rapporto.
Per limitare gli impatti negativi e le riduzioni di personale a breve termine, dovute alle misure climatiche, bisogna imperativamente sviluppare elle “politiche appropriate”, incentrare sui redditi dei lavoratori, su una assicurazione sociale rafforzata e sulle formazioni necessarie ad accompagnare il cambiamento dell’economia.

Numerosi esempi di aiuti possibili sono presentati in questo rapporto, come il lancio, in Kenya, di un sistema che organizza dei trasferimenti di cash, nell’ordine di 50 dollari (42 euro) ogni due mesi, versati al 25% delle famiglie in caso di siccità. O il programma Bolsa verde, creato in Brasile nel 2011, che incoraggia la preservazione dell’ambiente aumentando il livello di reddito delle famiglie in condizioni di estrema poverta’. Queste dovrebbero fare delle attivita’ come l’uso durevole delle risorse naturali o il mantenimento dello status quo nell’estensione delle foreste.

Saldo positivo con la costruzione e i servizi
“I Paesi a basso reddito ed alcuni Paesi a reddito medio hanno ancora bisogno di aiuto per sviluppare la raccolta dei dati, per adottare e finanziare strategie in favore di una giusta transizione verso un’economia durevole sul piano ambientale ed una societa’ che includa ognuno, in tutti gli ambiti della societa’”, sottolinea Saget.

I Paesi con economie sviluppate non sono dimenticati. In Francia, l’organizzazione internazionale valuta che circa 2,1 milioni di posti di lavoro (che rappresentano l’85 dei lavori totali) “dipendenti direttamente dalla gestione efficace e dalla durablita' di un ambiente sano”, Nell’ambito dell’energia, le perdite potrebbero attestarsi sui 42 mila posti di lavoro, compensati dalla creazione di altri 155 mila. I settori che conoscerebbero un saldo positivo sono le costruzioni (86.500), il manifatturiero (33.400) e i servizi (32.000).

A livello mondiale, l’Agenzia delle Nazioni Unite studia anche gli impatti negativi del cambiamento climatico sull’economia. Nell’ambito dell’agricoltura, il riscaldamento si traduce con degli esaurimenti e delle perdite economiche secche. Gli autori del rapporto stimano che “lo stress termico provochera’ una perdita mondiale del 2% di ore di lavoro entro il 2030 a causa delle malattie”. Un argomento supplementare per l’ILO, che spinge gli Stati a sviluppare modelli economici conformi all’ambizione climatica fissata nel 2015 e alle norme che essa stessa perora per un lavoro decente.




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