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Ovunque nel Pianeta avanza il declino della biodiversita’, “riducendo notevolmente la capacita' della natura di contribuire al benessere delle popolazioni”. Non agire per bloccare e invertire questo processo, e’ mettere in pericolo “non solo il futuro che noi vogliamo, ma anche la vita che conduciamo attualmente”. Questo e’ il messaggio di allerta diffuso dalla Piattaforma intergovernativa scientifica e politica sulla biodiversita’ e i servizi ecosistemici (IPBES), riunita dal 17 al 24 marzo a Medellin (Colombia) per la sua 6a sessione plenaria. Creata nel 2012 sotto la tutela delle Nazioni Unite e raggruppando aggi 129 Stati, questa struttura e’ chiamata come “GIEC della biodiversita’”, riferendosi al Gruppo di esperti intergovernativi sull’evoluzione del clima, di cui e’ l’equivalente nel proprio ambito. La sua missione e’ di stabilire regolarmente la sintesi delle conoscenze disponibili sulla biodiversita’, sull’impatto della sua erosione e sulle linee d’azione possibili per preservarla. Quello diffuso e’ il risultato di un lavoro colossale, che si e’ spalmato su tre anni. L’IPBES ha diviso il Globo in quattro regioni: l’Africa, le Americhe, l’Asia-Pacifico e l’Europa-Asia centrale -con l’eccezione, quindi, dei poli e degli oceani. Ognuna e’ stata oggetto di voluminosi rapporti tra 800 e 1.000 pagine realizzati da piu’ di 550 esperti di 100 Paesi, a partire da piu’ di 1.000 pubblicazioni scientifiche, ma anche di fonti governative e non-governative, o anche delle conoscenze autoctone. Per ogni zona geografica, questa approfondita analisi e’ sintetizzata con un “riassunto a disposizione dei decisori” di una quarantina di pagine, stabilito parola per parola e votato dai rappresentanti degli Stati membri. E’ questo documento, che costituisce una sorta di consenso politico, che deve servire come base per l’azione dei governi, anche se non ha nessun valore vincolante. “Al centro della nostra sopravvivenza” “La biodiversita’ e i contributi apportati dalla natura alle popolazioni, sembrano, per molti, lontani dalle nostre vite quotidiane. Niente potrebbe essere piu’ lontano dalla verita’ -osserva il presidente dell’IPBES, il britannico Robert Watson-. Esse sono il solco della nostra alimentazione, della nostra acqua pura e della nostra energia. Esse sono al centro non solo della nostra sopravvivenza, ma anche delle nostre culture, delle nostre identita’ e della nostra gioia di vivere”. Si potra’ giudicare restrittivo questo approccio, che considera la natura solo per i servizi che essa rende all’umanita’, senza considerare che la sopravvivenza delle specie animali e vegetali e’ essa stessa preziosa. Ma l’oggetto di quattro rapporti e’ di mettere in guardia contro una caduta della biodiversita’ che “mette in pericolo le economie, i mezzi di sussistenza, la sicurezza alimentare e la qualita’ della vita delle popolazioni in tutto il mondo”. Nessuna delle regioni studiate viene meno ad una regressione spettacolare della propria biodiversita’, con proiezioni molto allarmanti. Africa “L’Africa e’ l’ultimo luogo sulla Terra con un largo ventaglio di grandi mammiferi, ma mai in passato ci sono state così tante piante, pesci, anfibi, rettili, uccelli e grandi mammiferi minacciati cosi’ come oggi, a causa di una serie di cause umane e naturali”, nota la sudafricana Emma Archer. Circa 500.000 Kmq di terre sono gia’ degradati di fatto grazie alla deforestazione, all’agricoltura non durevole, al pascolo eccessivo, alle attivita’ minerarie, alle specie invasive o al sovrariscaldamento. La sfida e’ immensa: alla fine del secolo, alcune specie di mammiferi e di uccelli potrebbero essersi ridotti a piu’ della meta’ rispetto ad oggi, e la produttivita’ dei laghi (in pesci) dovrebbe calare dal 20 al 30%, in virtu’ della deregolamentazione climatica. Asia-Pacifico In Asia-Pacifico, la biodiversita’ deve far fronte a delle minacce senza precedenti, che vanno dai fenomeni atmosferici estremi all’innalzamento del livello del mare, alle specie esotiche invasive, all’intensificazione dell’agricoltura, alla pesca in eccesso e all’aumento dei rifiuti e dell’inquinamento. Malgrado qualche successo per proteggere questi ecosistemi vitali -le aree marine protette sono aumentate del 14% in 25 anni e la copertura delle foreste e’ cresciuta del 23% in Asia del Nord-Est- gli esperti lamentano il fatto che non sia sufficiente per contenere il declino della biodiversita’ e dei servizi che coinvolgono 4,5 miliardi di umani che vivono in questi Paesi. Oggi, il 60% dei prati dell’Asia e'degradato, circa il 25% delle specie endemiche e' minacciato e l’80% delle coste inquinate dalla plastica si trova in questa regione. Se le pratiche di pesca vanno avanti allo stesso ritmo, la regione non avra’ piu’ riserve di pesci utilizzabili entro il 2048. Fino al 90% dei coralli, che rivestono una certa importanza ecologica, culturale ed economica, soffriranno di un grave degrado verso la meta’ del secolo, anche in presenza di un cambiamento climatico moderato. Americhe Anche sul continente americano, l’impatto della deregolamentazione climatica sulla biodiversita’ si intensifichera’ verso la meta’ del secolo, diventando un fattore di declino potente quanto il cambiamento dell'uso del suolo. Globalmente, le popolazioni di specie selvagge sono gia’ calate del 31% dopo la colonizzazione da parte degli europei. La foresta amazzonica e’ stata ridotta del 17% dalle imprese delle attivita’ umane. E le barriere coralline hanno perso piu’ della meta’ della loro superficie rispetto al 1970. A meta’ del secolo, il 40% della biodiversita’ originale potrebbe essere estinta. Gli autori notano che fino a qui, “i popoli indigeni e le comunita’ locali hanno creato una diversita’ di sistemi di policultura e di agroforeste” che hanno beneficiato della biodiversita’. Ma questa sinergia con gli ecosistemi e questi saperi locali sono anche loro in via di estinzione. Europa Infine, in Europa ed Asia centrale, la situazione non e’ piu’ positiva: il 42% degli animali terrestri e delle piante hanno registrato un declino delle loro popolazioni nel corso dell’ultimo decennio, cosi’ come il 71% dei pesci e il 60% degli anfibi. Inoltre, il 27% delle specie e il 66% degli habitat censiti, sono in uno “stato di conservazione sfavorevole”. La prima causa di questa ecatombe e’ nell’intensificazione dell’agricoltura e dello sfruttamento forestale, in modo particolare l’uso eccessivo di prodotti agrochimici (pesticidi, fertilizzanti). Risultato: la regione consuma piu’ risorse naturali rispetto a quelle che produce, obbligandosi ad importarle massicciamente da altre zone del mondo. Il rapporto sottolinea anche il ruolo del cambiamento climatico, che sara’ uno dei principali condizionamenti pesanti sulla biodiversita’ di Europa e Asia centrale nei prossimi decenni. Questi quattro rapporti confermano, anche se questa espressione non vi e’ stata ripresa, che la Terra sta per subire la sua sesta estinzione di massa: secondo gli scienziati, la scomparsa di specie si e’ moltiplicata per 100 a partire dal 1900, cioe’ un ritmo senza equivalenti dopo l’estinzione dei dinosauri di 66 milioni di anni fa. Sviluppare le aree protette Non c’e’ quindi speranza? Gli scienziati vogliono credere che sia ancora possibile agire per fermare il declino. E si appellano, alla rinfusa, allo sviluppo di aree protette, a restaurare gli ecosistemi degradati (essenzialmente le foreste), a limitare le sovvenzioni all’agricoltura e allo sfruttamento intensivo delle foreste, ad integrare la protezione della biodiversita’ in tutte le politiche pubbliche per stimolare a cambiamenti di comportamento o ad impegnarsi nel proseguire con le attivita’ di conservazione. In Europa, queste politiche sono per esempio fatte per salvare da una estinzione locale le popolazioni di bisonti o delle linci iberiche, ed a riabilitare le regioni boschive delle Azzorre, di Madeira e delle Canarie. Un quinto rapporto sara’ pubblicato il 26 marzo, sullo stato dei suoli del mondo, sempre piu’ degradati per l‘inquinamento, la deforestazione, lo sfruttamento minerario e le pratiche agricole. Nell’ambito della prossima riunione plenaria di maggio del 2019 …, l’IPBES presentera’ il suo bilancio mondiale della biodiversita’. Si trattera’ di una prima del genere dopo la valutazione degli ecosistemi per il millenario che, gia’ nel 2005, aveva allertato sul fatto che l’umano ha modificato gli ecosistemi piu’ rapidamente e piu’ profondamente negli ultimi cinquanta anni che non durante tutto il periodo di esistenza dell’umanita’. Sono passati tredici anni e la situazione è solo peggiorata. |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 22/11/2024 23:11:04 |
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