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Le non regole del web

Le non regole del web
Autore: Susanna Schivardi - Redazione Attualita'
Data: 10/10/2017

Se ne vedono di tutti i colori, ormai, sul web, anche sfumature e non solo di grigio. Appena nati, i social e le piattaforme hanno scatenato una forma di democrazia libertaria di parola e pensiero, dove tutti, e dico tutti, nessuno escluso, si sono sentiti in diritto di parlare, esprimersi, inorgoglirsi, inasprirsi, al limite della liceità.

I fondatori non avevano previsto le possibili conseguenze e all’inizio sembrava il paradiso della condivisione, tra foto inedite, fantasie spiritose, gatti immortali, giochi tra universitari. Ad un certo punto il popolo della rete prende il sopravvento e l’antico sentimento dell’odio, antico quanto il mondo, prende il posto di una composta disespressività, dando sfogo ai più biechi e bassi coiti ininterrotti che grazie ad internet hanno la sfortuna di rimanere indelebili, impressi nella rete ganglica del web dove nessuno può ancora mettere mano.

Non esiste una vera legislazione eppure tutti continuano a vomitare parole sconnesse, pensieri slabbrati, insulti inenarrabili, discrasie di menti malate inusuali e inospitali per qualsiasi forma di intelletto sviluppata e non passiva.

Da piazza in arena, l’odio si travasa da social a  social, in un inseguirsi di invenzioni pornografiche pur di aggirare la sensatezza. Shitstorm, hate speech sono solo alcuni risultati di questo mondo infernale dove ragazze normali si trasformano in leonesse della tastiera (cfr. Far Web di Matteo Grandi – Rizzoli), ragazzi di buona famiglia in cyber bulli, giovani fanciulle in porno divette per ricariche da dieci euro. Tutto in vendita, anche il cervello, che non controlla più gli impulsi e si lascia andare in una sfrenatezza incrostata e dura da incidere.

Non fa differenza che si tratti di Facebook o Twitter o Instagram, erroneamente pensato come oasi del web, il sito per foto dove invece si manifestano le peggiori invidie mosse proprio da coloro che pubblicando immagini di vite perfette ingenerano frustrazione e alimentano sofferenze.

Facebook si sapeva, avrebbe creato il caos mediale, un fiume di parole, l’immediatezza del pensiero che si fa scritto senza passare per il via della riflessione pacata. Il tutto amplificato e riprodotto in un genere e sottogenere che non conosce più differenze o disgiunzioni, dove tutti sono buoni o cattivi a seconda di un like o di un commento sbagliato. 

Ecco arrivare la valanga di thread  dove l’innesco da il via ad una baraonda di eccessi, volgarità, insensatezze fatali. L’web si trasforma  nell’habitat virtuale di dementi a cui nessuno ha mai concesso parola, ma anche di gente “normale” e votata alla vulnerabilità dello sconosciuto, in cui la violenza prevale e come diceva McLuhan "la violenza non è altro che un modo per recuperare un’identità perduta". Si innesca così un processo identitario in cui la comunità virtuale si ritrova, in cui esplode la necessità di condividere la bassezza e la povertà di linguaggio, per non sentirsi soli e dove i più esprimono il peggio di sé senza freni.

La rabbia incontra così il populismo spiccio in un sistema creato dagli utenti stessi. La rete premia gli estremi, come dice Matteo Grandi in Far Web, aver messo tutti in condizione di esprimere il proprio pensiero ha creato un effetto boomerang.

Un’altra definizione molto interessante è quella del filosofo Byung-Chul Han che parla di “sciame digitale”, un’entità priva di una vera anima che si unisce solo in maniera occasionale. Gli effetti sono quelli di una “società dell’indignazione”,  pronta a scagliarsi contro un bersaglio, a prescindere dalla ragionevolezza, solo per dare sfogo agli istinti più bassi, mossi da frustrazione e disillusione latenti e costanti. Il popolino della rete che si unifica perdendo i limiti del lecito, proprio qui si inserisce il vuoto normativo che a stento difende vittime del bullismo on-line o ancora peggio del revenge-porn, considerato un vero e proprio delitto di genere a scapito delle donne, vessate sul web come anche gli omosessuali, gli immigrati e tutte quelle categorie che ancora innescano disaccordo. Problema di educazione culturale che protrae i suoi meccanismi distruttivi anche nel generarsi di fake-news, di cui ci occuperemo nella prossima puntata.

Webeti o no, assecondando una geniale intuizione di Mentana del 2016, la strada della regolamentazione è ancora molto lunga. Nella confusione digitale che il web è capace di profilare e potenziare senza nemmeno troppa fatica, ci si deve difendere con grande intelligenza e non farsi trascinare da falsi idealismi o metamorfosi collettive in grado di autodistruggersi. 




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