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Renzi: un falso trionfo

Renzi: un falso trionfo
Autore: Lucio Giordano - Redazione Politica Italiana
Data: 01/05/2017

Bisogna ammetterlo: per Matteo Renzi le primarie di ieri sono state un trionfo. Alzi la mano infatti chi credeva che dopo la catastrofe referendum e l’addio della sinistra del partito, gli elettori del Pd si sarebbero messi in fila ai gazebo, votando in tanti per il nuovo segretario dem.

E questo nonostante la fretta di strozzare un congresso straordinario praticamente inesistente e la decisione di convocare le primarie nel ponte del primo maggio. A naso, sembravano davvero primarie clandestine. Lo stesso Renzi, scaramanticamente, aveva posto l’asticella molto in basso: un milione di persone, per non decretare l’insuccesso della consultazione elettorale. E invece  hanno risposto all’appello quasi due milioni di persone.

E il 71 per cento di questi quasi due milioni, poco più di un milione e mezzo, ha detto che l’ex sindaco di Firenze doveva diventare di nuovo il segretario di questo partito ormai geneticamente modificato.  Un partito che, inutile nasconderlo,  è ormai tutto di Renzi. Annichiliti gli sparring partners delle primarie di ieri: Orlando fermo al 21 per cento,  Emiliano addirittura all’8.  Dunque l’ex premier, da ora in poi, potrà fare del pd tutto quel che vuole.

Già, ma per farne cosa? In effetti,  il bicchiere mezzo pieno si ferma qui. Perchè, per il resto, appare evidente che dopo queste primarie, quello che era un partito di sinistra( centro) è ormai un partito di centro( destra). E in soli 4 anni il popolo della sinistra se n’è andato sbattendo la porta. I numeri sono da brividi. Quasi un milione in meno ha disertato i gazebo.

Rispetto a cinque anni fa, vittoria di Bersani, in un milione e duecentomila in meno. E, rispetto al 2007, addirittura in  quasi due milioni hanno rinunciato al rito delle primarie. Crolla poi, e in maniera eloquente,  l’affluenza nelle regioni rosse: dimezzati gli elettori in Emilia Romagna, Umbria, Marche, Toscana. Un dramma politico.

A conti fatti, quindi,  il partito personale di Renzi, nel Paese,  vale non più del quindici per cento. E allora, giusto ripeterlo: quel 71 per cento , a cosa servirà? Non certo per governare. Si scordi, l’ex premier, di tornare a Palazzo Chigi con questi numeri.

Il bicchiere mezzo vuoto di queste primarie mette in luce nitidamente che questa nuova Dc  dalla mascella volitiva, più grigia che bianca, può sperare solo di riunire i partiti che, annusandosi, somigliano a quello di Renzi: gli alfaniani e i verdiniani, che difficilmente da soli supererebbero lo sbarramento anche solo del tre per cento. E poi Forza Italia, che oggi non arriverebbe al dieci per cento. Tutti insieme, magari fondendosi in un partito unico (della nazione o come altro vogliate chiamarlo), arriverebbero a malapena al 30 per cento.

Forse meno. Troppo poco, appunto,  per avere la possibilità di governare. Anche perchè gli altri tre poli, almeno sotto un aspetto,  sembrano molto determinati: i 5 stelle, l’estrema destra di Lega Nord e Fratelli d’Italia, la sinistra che si sta faticosamente ricompattando, non sono intenzionati a fare accordi con chi ha governato, malissimo, in questi ultimi dieci anni. Tantomeno gli scissionisti del Pd, che proprio ieri hanno avuto la conferma che la loro base non seguirà Renzi in questa sua nuova e difficilissima scalata al potere.

Datemi retta: Matteo  si è ripreso completamente il partito ma stavolta non saprà davvero  che farsene. Tanto più se decidesse di far cadere l’esecutivo Gentiloni per andare ad elezioni anticipate. Un azzardo che diventerebbe la sua tomba politica. E, va da sè,  quella del Pdr. Crollato Renzi crollerebbe infatti anche il  partito.




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