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Recensione: 'I ragazzi del cavalcavia' - di Erika Z. Galli e Martina Ruggeri

Recensione: 'I ragazzi del cavalcavia' - di Erika Z. Galli e Martina Ruggeri
Autore: Recensione a cura dela nostra inviata Susanna Schi
Data: 26/04/2017

Succedeva vent’anni fa a Tortona,  un paesino del nord-ovest d’Italia, dove tira un vento freddo, tagliente, dove la nebbia copre tutto, anche i sogni. I fratelli Furlan in una notte di dicembre salgono su un cavalcavia e complice la noia iniziano a gettare sassi sulle macchine che passano.

Dopo vari tentativi colpiscono una Mercedes grigia, muore Maria Letizia Berdini che stava andando in viaggio di nozze col marito.

Da questa vecchia ma non dimenticata notizia di cronaca esplode questo spettacolo scritto e diretto da Erika Z. Galli e Martina Ruggeri, già vincitrici del Premio Hystrio per le Scritture di scena 2014, I ragazzi del Cavalcavia, interpretato da Alberto Alemanno, Maziar Firouzi, Francesco La Mantia, Daniele Pilli e Michael Schermi, è tornato in scena al teatro Vascello dal 20 al 23 Aprile non solo per raccontare, ma per far rivivere indistintamente la rabbia, il rancore, la frustrazione di una giovinezza perduta tra serate al bowling, amori impossibili, e tossicità decadente.

Lo stento, l’impossibilità di sdoganare una condizione passiva e immutabile, la ripetitività di tutto anche dei gesti, delle parole, delle solite litanie. Un teatro quasi epico, alla maniera brechtiana, che spiega, che indica, che vuole essere preciso, completamente privo di scenografia, per estremizzare gesto e parola in un unico momento di altissima disperazione.

La ricostruzione del dialetto del nord, con quelle consonanti dure, aspre, martellanti, poi la solitudine, la scena scura, con poche luci (di Gigi Martinucci) ad illuminare i passi fondamentali verso l’aspetto cruciale della vicenda, il male che si diffonde incurante di vittime e detentori, in un susseguirsi di drammi esistenziali fatti di poster di Baggio, miti di Bruce Lee, Ketty la bionda che se la tiene stretta con i perdenti, ma la svende al ricco del paese con la Porsche.

E poi loro, i fratelli che si cibano di falsi eroismi, di vaghe elucubrazioni vaneggianti, sostanza di incubi, incubi di grandezza e miseria, dove solo un mostro enorme dagli occhi di fuoco può vincere mangiando, masticando e rivomitando tutto lo schifo che circonda le loro esistenze. Occhi di bragia di un arido Cerbero del nuovo millennio, vestito da un grido di violenza inaudita  con radici profonde, pronte ad esplodere quando me no te lo aspetti. La sfacciataggine della disperazione che prende forma in un sasso gettato a caso capace di distruggere una vita con un tonfo.

Assordante e ineluttabile come il non-senso che pervade le pagine di questo spettacolo, accompagnato dalle musiche originali di Diego Buongiorno. Un testo duro, acidissimo e adatto solo ad un pubblico adulto.  

 

 




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