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 Epidemia di epatite E in Ciad, MSF chiede aiuto per fermarla

Epidemia di epatite E in Ciad, MSF chiede aiuto per fermarla
Autore: Redazione Esteri
Data: 12/02/2017

Un’epidemia di epatite E si sta diffondendo ad Am Timan, in Ciad, nella regione sud-orientale del Salamat. Lo dichiara l’organizzazione medico-umanitaria Medici Senza Frontiere (MSF).

Da settembre, MSF ha trattato 885 pazienti con sintomi di insufficienza epatica acuta e i numeri aumentano di circa 60 nuovi casi a settimana. Tra i segni manifestati dai pazienti, la colorazione gialla di pelle e occhi (ittero o itterizia acuta), che può indicare la presenza di epatite. I test per epatite virale eseguiti hanno permesso d’individuare 70 casi di epatite E. 64 sono stati ricoverati e 11 persone sono morte, tra cui quattro donne incinte.

L’epatite E si trasmette da persona a persona, spesso attraverso il consumo di acqua e alimenti contaminati da feci di persone infettate dal virus. Di conseguenza il rischio di epidemie è maggiore dove l’accesso all’acqua pulita è limitato.

“MSF chiede a tutte le organizzazioni umanitarie e di sviluppo presenti in Ciad di aumentare la portata e la rapidità dei propri sforzi per assicurare una risposta efficace all’epidemia di epatite E ad Am Timan,” dice Rolland Kaya, capo missione di MSF in Ciad.“Servono più attori per mettere in campo azioni di prevenzione, tra cui attività di igiene e potabilizzazione dell’acqua, specialmente ora che stiamo vedendo un numero sempre maggiore di casi nella regione del Salamat, e non più soltanto nella città di Am Timan.”

Dopo l’identificazione del primo caso di epatite E avvenuta cinque mesi fa, MSF ha più volte rivolto il proprio appello ad altre organizzazioni per una risposta collettiva a questa emergenza.

Fino ad oggi, le poche azioni di risposta messe in atto da altri attori sono state minime in termini di quantità, qualità e durata. Serve con urgenza un intervento più consistente, soprattutto nell’ambito dell’acqua e dell’igiene. Senza un immediato aumento degli aiuti da parte di altre organizzazioni e del governo del Ciad, MSF da sola non è in grado di contenere l’inasprirsi di questa epidemia.

“Come organizzazione medica, in genere non è compito di MSF intervenire su larga scala in attività di potabilizzazione dell’acqua, ma in mancanza di alternative per contenere il diffondersi del virus, siamo obbligati a colmare questo vuoto”, afferma Rolland Kaya, capo missione per MSF in Ciad.“Ancora una volta, invitiamo il Ministro della Sanità del Ciad a dichiarare che l’attuale intensificarsi dei casi di epatite E è un’epidemia, in modo da consentire l’avvio di una risposta adeguata”.

Più di 600 operatori di MSF stanno lavorando per identificare nuovi casi, trattare i pazienti e migliorare le riserve di acqua e le condizioni sanitarie di Am Timan. Tra le azioni messe in atto, la clorinizzazione delle torri idriche della città. La potabilizzazione dell’acqua è infatti un elemento fondamentale della riposta di emergenza per prevenire la diffusione di malattie trasmesse attraverso l’acqua, come l’epatite E.

Oltre a fornire servizi medici presso l’ospedale di Am Timan, MSF ha avviato una campagna su larga scala per disinfettare le vasche in 72 punti per la distribuzione dell’acqua nella città di Am Timan. Lo staff di MSF sta inoltre tenendo sessioni informative per spiegare l’importanza di lavarsi le mani col sapone e di usare sempre acqua clorinizzata.

MSF lavora in Ciad dal 1981. Prima dell’attuale epidemia di epatite E, MSF ha svolto regolarmente programmi medici ad Am Timan e Moissala. All’inizio di quest’anno, MSF ha lanciato un programma nutrizionale di emergenza a Bokoro dove, insieme al Ministero della Salute, MSF gestisce 15 ambulatori mobili e un centro di nutrizione terapeutica intensiva presso l’ospedale di Bokoro per curare i bambini malnutriti. A marzo 2015 MSF ha anche lanciato una risposta di emergenza nella regione del Lago Ciad per gli sfollati in fuga dalle violenze di Boko Haram. Le équipe a Baga Sola e Bol continuano a fornire assistenza alle comunità nei pressi del Lago Ciad.

- TESTIMONIANZA DI MEDICI SENZA FRONTIERE -

In Ciad, dove il fiume non porta acqua ma malattie mortali

 

come l’epatite E

 

Di Sara Creta, responsabile comunicazione di MSF in Ciad

Nell’angolo orientale del Ciad si trova la città di Am Timan, capitale della regione del Salamat. Il confine con il Sudan è a centinaia di chilometri e il fiume Bahr Azoum, che nasce dal Jabal Marra, uno stratovulcano situato nel Darfur, attraversa tutta la regione fino all’estremo punto meridionale del Ciad, al confine con la Repubblica Centrafricana. Il letto del fiume è segnato dalla stagione secca, che dura sette mesi l’anno, e la terra color ocra, completamente erosa e mossa dal vento, si sposta creando dune di sabbia fine. Alcune donne lavano i loro teli colorati nella grossa pozzanghera d’acqua che non si è ancora prosciugata e gruppi di ragazzi giocano a pallone sulla sabbia. Un via vai continuo di persone affolla il letto del fiume. Le taniche gialle costeggiano il pozzo e un gruppo di asini è in attesa di ripartire carico di altri recipienti d’acqua.

In queste zone, per la mancanza di acqua potabile, la popolazione deve prelevare l’acqua da fonti contaminate da batteri, escrementi, insetti e scarafaggi. Le scarse condizioni igieniche sono un terreno fertile per la diffusione di malattie trasmesse attraverso l’acqua, come l’epatite E.

Da inizio settembre, quando ad Am Timan sono comparsi i primi casi, un’équipe di Medici Senza Frontiere (MSF) specializzata nelle urgenze ha avviato un intervento per contenere l’epidemia. Medici, infermieri, logisti, esperti in potabilizzazione dell’acqua, epidemiologi e operatori comunitari percorrono le strade per individuare casi sospetti e sensibilizzare le persone su come evitare il contagio – lavarsi le mani col sapone, a quali pozzi rifornirsi - mentre i team di logisti disinfettano con il cloro le vasche di acqua nei punti di distribuzione e le torri idriche della città.

Fermare la diffusione dell’epatite è uno degli obiettivi del programma di MSF, che mira a potabilizzare l’acqua di tutte le pompe a mano e dei punti d’acqua dei quartieri di Am Timan, per un totale di oltre 10 milioni di litri ogni settimana. A inizio dicembre, il team di MSF ha costruito anche un nuovo pozzo sul letto del fiume, dove vengono erogati gratuitamente più di 400.000 litri di acqua potabile a settimana. Così gli abitanti del quartiere non devono più scavare nella secca del fiume per cercare l’acqua e dai villaggi vicini, distanti ore di cammino, arrivano donne e bambini per riempire taniche da riportare nelle loro case.

Nonostante questo intervento d’emergenza, ogni settimana contiamo 60 nuovi casi sospetti e le forze messe in campo non bastano più. Persone con i sintomi dell’epatite arrivano in ospedale ogni giorno, anche da villaggi limitrofi dove l’accesso all’acqua rimane ancora scarso. In ospedale, i pazienti vengono isolati per prevenire il contagio e curiamo i sintomi per ridurre le sofferenze.

Anche un ginecologo è entrato nel team di MSF all’ospedale di Am Timan. Le conseguenze dell’epatite per una donna in gravidanza sono molto gravi: contrarre il virus può comportare la perdita del bambino che si ha in grembo, con un aborto spontaneo o la morte in utero.  È successo a Zakya, una giovane mamma di soli 20 anni. Quando è arrivata in ospedale, incinta di nove mesi, non sentiva più il movimento del suo bambino. Zakya ha perso il suo secondo figlio a causa dell’epatite, ma l'equipe medica è riuscita a salvare lei.

Mentre tramonta il sole e il rumore dei generatori accompagna la chiamata alla preghiera che risuona tra le strade di sabbia della città, Hapsita, 30 anni, ritorna nella sua casa nel quartiere di Ridina, a qualche chilometro dall’ospedale regionale. Nel suo secondo trimestre di gravidanza è tornata per una visita di controllo. Il suo bambino è vivo, il battito è regolare e le sue condizioni fisiche sono migliorate notevolmente. Hapsita, rifugiata della Repubblica Centrafricana, era stata ricoverata perché positiva all'epatite E. Oggi è tornata a casa, ma deve sottoporsi a esami periodici per confermare che la gravidanza procede bene.

Hapsita, Zakya, Miriam, Fatima, Fadja, Achta e Khadija sono sopravvisute, sono ritornate nei loro vilaggi e nelle loro comunità, e oggi sono ambasciatrici delle buone pratiche d’igiene che possono limitare il propagarsi del virus.

Ma la loro parola e lo sforzo di MSF non basta. Serve con urgenza un intervento più consistente, soprattutto nell’ambito dell’acqua e dell’igiene. Senza un immediato aumento degli aiuti da parte di altre organizzazioni e del governo del Ciad, MSF da sola non è in grado di contenere questa epidemia.




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