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Foraggi radioattivi in Val di Vara, la valle del biologico

Foraggi radioattivi in Val di Vara, la valle del biologico
Autore: Claudio S. Martinotti Doria - Redazione Cronaca
Data: 07/02/2017

La Val di Vara l’ho esplorata interamente negli anni appena successivi alla scelta pionieristica, compiuta una ventina di anni fa dal compianto sindaco di Varese Ligure (capoluogo della Val di Vara ed anche il più esteso comune della Liguria, coi suoi 545 kmq), Maurizio Caranza, di convertire il borgo e gradualmente l’intera valle al rispetto per l’ambiente, ottenendo per primo in Italia la certificazione ISO UNI 14001 ed EMAS, fornendo in tal modo un modello di riferimento che fu presto emulato da altri comuni liguri ed italiani, che capirono l’importanza strategica di una simile scelta, non solo per migliorare la qualità della vita delle popolazioni locali ma per favorire un turismo ambientale e naturalistico, attratto anche dalla graduale conversione all’agricoltura biologica di molte aziende agricole e casearie della valle, organizzatesi in cooperative.

Grazie a queste scelte intelligenti e lungimiranti fu favorita la piena occupazione nella valle evitando ulteriori emigrazioni ed abbandoni. In breve avevo rilevato luoghi idilliaci ed amministrazioni lungimiranti, ambienti apparentemente incontaminati, cibo biologico e cucina tradizionale di elevata qualità (qualche incongruenza ed incuria l’avevo colta, ma non mi sembra questo il contesto appropriato per puntualizzare).

All’epoca e negli anni successivi alla mia esperienza in loco, la località era ormai nota a livello nazionale come la Valle del Biologico e non si pensava minimamente a quanto emerge in questo articolo, cioè alla contaminazione invisibile ma estremamente pericolosa provocata dalla radioattività depositatasi in valle dopo l’incidente di Chernobyl, che impatta in modo inquietante coi ricordi che conservavo dell’esperienza in valle e disillude duramente.

E’ ovvio che se non si fanno controlli mirati non possiamo che essere disinformati ed illuderci che le cose procedano nel migliore dei modi. Certo che ottenere certificazioni di qualità ambientale e di produzioni biologiche e poi riscontrare ad esempio che il foraggio con cui si nutrono le mucche è radioattivo, crea un certo scompiglio e fa perdere fiducia non solo nelle istituzioni (che già è ai minimi termini da tempo) ma anche nella filiera del biologico, che dovrebbe essere un poco più accorta e meglio organizzata nei controlli, prevedendo anche simili rischi e non limitandosi solo a ricercare residui chimici negli alimenti. Inoltre scoprire che in Italia importiamo frumento dall’Ucraina e quindi anche da zone limitrofe alle aree contaminate non è certamente indice d’avvedutezza e rassicurazione. Claudio

 

 

Varese Ligure (capoluogo della Val di Vara), primo comune italiano certificato ISO UNI 14001 ed EMAS

LE CERTEZZE DELL’ESPERTO E I DUBBI DEL  CITTADINO
Comunicato stampa di Mondo in Cammino sul riscontro di radioattività in Val di Vara

Fonte: http://www.progettohumus.it/public/forum/index.php?topic=2425.0

Considerazione in merito all’articolo pubblicato dal “Secolo XIX” e intitolato: “Radioattività, analisi Arpal sui terreni. L’esperto: «Nessun pericolo per le carni»”

Come di consuetudine di fronte a un problema che riguarda la contaminazione radioattiva (foraggio radioattivo somministrato a vacche di un’azienda agricola della Val di Vara), l’esperto di turno cerca di piegare i suoi ragionamenti alla politica  del non  “creare panico”, piuttosto che ispirarsi ad un atteggiamento di precauzione e preventivo.

Così facendo, e in maniera paradossale nel tentativo di supportare la propria tesi, l’esperto crea un nuovo allarmismo: quello rispetto ad un passato in cui, pare, non siano state assunte misure preventive e date informazioni adeguate ai cittadini.

Dice, infatti, l’esperto: “La radioattività nello spezzino dopo il disastro di Chernobyl è più alta che nel resto della Liguria. Nei giorni dello scoppio pioveva nella zona. Ma questo non ha correlazione con questa vicenda. A Rocchetta Vara abbiamo una stazione di controllo del cesio 137. Quando iniziarono i monitoraggi fu scelta la zona perché alta e pianeggiante”.
Sappiamo ora che nello spezzino la radioattività era più alta che da altri parti. Capiamo così l’alta presenza di tumori in Val di Vara come risulta dal Registro dei Tumori della Regione Liguria. Perché l’esperto, nella sua disanima di minimizzazione del rischio, si è dimenticato di riportare questi dati allo scopo di fornire una visione d’insieme?
In secondo luogo, preso da questo suo compito di minimizzare e tranquillizzare la popolazione, afferma: “Il cesio… resta più alto che in altre province. Intorno ai 5 mila becquerel. Siamo partiti da 26 mila”. Solo un errore? Secondo le leggi della fisica il decadimento periodico del Cesio dopo 30 anni dovrebbe assestarsi a 13.000 becquerel (come confermato dall’
AIPRI). Un motivo in più di preoccupazione e di indirizzo per verificare l’adozione di eventuali norme precauzionali e di maggiori controlli in quel territorio, non solo casuali, del momento o pianificati al minimo.

Continuando l’esperto conferma, in maniera maldestra come ovvia scusante, quanto sappiamo da tempo e converte i dubbi in certezza: “Lo stronzio 90 e il cesio 137 sono in tutta Europa dopo quell'evento”, cioè dopo l’incidente di Chernobyl. L’esperto mette in evidenza un problema globale e con esso l’implicita necessità di dedicare ad esso la giusta attenzione. In pratica ciò si traduce in una migliore pianificazione dei controlli e nell’analisi di una maggiore campionatura, unitamente alla revisione del concetto di norma sui livelli massimi di contaminazione alimentare tenendo conto del concetto di cumulo.

Questo implicito accenno ai controlli, conseguente alla diffusa contaminazione di tutta l’Europa – come afferma l’esperto – deriva dall’assioma che “Si trova ciò che si cerca”. Nell’articolo viene riportato: “Vero è che lo stronzio 90 non era mai stato ricercato con analisi puntuali sul foraggio”. Questa la dice lunga sui controlli. Soffermandoci a Chernobyl (senza parlare di altri fallout che si sono avuti negli anni fino ad arrivare a Fukushima), l’incidente ha liberato più di 70 radionuclidi. Senza volerli ricercare tutti, dovrebbe essere obbligatorio indagare la presenza di Cesio, Stronzio, Americio e Plutonio. Forse la realtà risulterebbe diversa da come viene presentata.

Infine l’articola afferma: “Il foraggio, come emerso anche dalle analisi botaniche, è compatibile con quell’area. Non è stato acquistato. Compatibile non fa rima con certezza. Ma senza sollevare sospetti, qualora fosse stato acquistato, quali problemi ci sarebbero stati? In teoria nessuno perché i controlli dovrebbero essere efficaci – in qualità e quantità - sia a livello locale  che in caso di importazione. Ma è sempre così? Non va dimenticato che grandi quantitativi di foraggio e grano vengono importati in Italia dai territori dell’Ucraina contaminati da Chernobyl.
Solo l’anno scorso sono state importate da questo paese 600.000 tonnellate di grano, quantitativo quadruplicato rispetto agli anni precedenti. E in Ucraina è in funzione una seconda Chernobyl nella
centrale a biomasse di Ivankov. Mondo in cammino, al proposito, sta preparando un dossier con documenti, dati, rilevazioni in loco.

In definitiva, come per ogni problema riguardante i cittadini, non si tratta di fare dell’allarmismo ingiustificato, ma di fare e dare un’informazione corretta e giustificata.
In ogni caso, è sempre meglio una precauzione in più, che il rischio di un danno che potrebbe manifestarsi certo: non lo richiede solo il buon senso e la ricerca della verità che ad esso si accompagna, ma l’etica  nei confronti del cittadino e delle future generazioni.

Massimo Bonfatti
Presidente di Mondo in cammino
www.mondoincammino.org

 




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