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Non dimentichiamo la condizione della Grecia...

Non dimentichiamo la condizione della Grecia...
Autore: Claudio S. Martinotti Doria - Redazione Attualita'
Data: 04/02/2017

Fino a pochi anni fa in ogni articolo che leggevo che riguardasse l’economia, la finanza, l’autonomia e sovranità degli stati, il FMI (Fondo Monetario Internazionale) era descritto in termini poco lusinghieri (per usare un eufemismo), quando non veniva additato al pubblico ludibrio, poiché fornendo prestiti agli stati indebitati, imponeva condizioni capestro che riducevano notevolmente la qualità della vita delle popolazioni, colpendo in particolare il welfare ed i diritti e le conquiste sociali dei lavoratori.

A leggere quest’ultimo articolo che vi propongo di seguito, la cui provenienza non può certo essere tacciata di simpatie e parzialità per il FMI, quest’ultimo sembra essere divenuto un campione di virtuosità e disponibilità umana, in confronto ad una nuova istituzione di stampo finanziario europeo, che è purtroppo passata in sordina presso l’opinione pubblica.

Mi riferisco al  Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM), denominato mediaticamente ed impropriamente Fondo Salva Stati (in realtà gli stati semmai li affonda, portandoli alla rovina). Questa nuova istituzione (ennesima dimostrazione che non c’è mai limite al peggio), sulla quale sarei pronto a scommettere che quasi nessuno sa nulla, soprattutto della gravità delle concessioni, privilegi e potere che gli sono stati conferiti dagli stati partecipanti, in pratica dovrebbe ricevere montagne di denaro da ogni stato partecipe, che alla bisogna, li riceverà indietro pagandovi sopra degli interessi.

Si, avete capito bene, gli stati conferiscono una cospicua parte delle loro entrate a questo Fondo per poi dover richiedere in prestito il proprio denaro pagandovi fior di interessi, ma la cosa più grave è che da quel momento in pratica lo stato richiedente il prestito perde la sua sovranità perché viene commissariato dall’ESM, che gli imporrà condizioni capestro per garantirsi il rientro del credito concesso. In confronto il FMI diventa simile ad un’organizzazione etica del commercio equo e solidale, come dimostra il caso della Grecia, di cui tratta l’articolo. Ma la cosa più grave, ed anche questi aspetti sono passati sotto silenzio mediaticamente e quindi la popolazione è disinformata, è che la leadership di questa nuova istituzione finanziaria europea è priva di qualsiasi controllo pubblico e politico.

In pratica detiene un potere immenso che sovrasta la politica ed impone condizioni unilaterali ed inappellabili e non è eletta da nessun organismo democratico ed è inoltre dotata di totale immunità ed impunità, può fare ciò che vuole senza rendere conto a nessuno, senza che nessuno possa indagare e perseguire i responsabili per eventuali reati commessi, non si può accedere agli atti, non si possono perquisire gli uffici, non si può confiscare la documentazione, non si possono perseguire penalmente i funzionari.

Neppure gli Ambasciatori ed i Consoli Generali che godono dell’immunità diplomatica godono di simili privilegi e poteri. Un tale disegno è stato certamente concepito per dare la spallata finale alla sovranità degli stati per consentire alla finanza di spogliarli di tutti i loro beni di valore e per ridurre la popolazione in condizioni di schiavitù. Grecia docet. Il rischio è che il prossimo paese a “collaudare” l’ESM potrebbe essere l’Italia, che è molto più appetibile della Grecia per i soloni della finanza internazionale, e con i politici insipienti che ci ritroviamo una tale ipotesi è tutt’altro che remota.

Occupati da altri problemi, ci siamo forse dimenticati della Grecia e dell’incerta situazione dei suoi debiti.

Occupati da altri problemi, ci siamo forse dimenticati della Grecia e dell'incerta situazione dei suoi debiti. Purtroppo per loro (e anche per noi) le loro sofferenze non sono per nulla finite e a scadenze prestabilite il problema si ripresenta. Entro il luglio prossimo Atene dovrebbe restituire ai vari creditori istituzionali stranieri ben sei miliardi di euro e, nel frattempo, il suo debito pubblico è arrivato al 180% del prodotto nazionale lordo. Ciò significa, in altre parole, che rappresenta quasi il doppio di quanto vale la sua economia annuale.

© AP Photo/ Petros Giannakouris

Tutti i programmi di rifinanziamento che hanno consentito, attraverso nuovi prestiti a tassi agevolati, di posticipare i pagamenti in scadenza prevedono che la Grecia riesca a finire di pagare il dovuto solo nel 2059. Lo sta facendo alle date concordate, grazie ai surplus di bilancio ottenuti da risparmi sulle spese, riforme strutturali (ad esempio con la riduzione delle pensioni, la diminuzione degli stipendi degli impiegati pubblici, una riforma delle leggi sul lavoro ecc.) e nuove tasse. La scadenza di luglio è la più vicina ma, prima della fine dell'anno, dovrà ripagare altri sette miliardi circa. Successivi versamenti importanti (dagli undici ai quattordici miliardi ogni anno) sono previsti nel 2019, 2036, 2037, 2039 mentre nelle altre annualità le cifre dovrebbero non superare gli 8/9 miliardi di euro nei dodici mesi.

Per un Paese di soli dieci milioni di abitanti e con un tessuto produttivo piuttosto ridotto si tratta di cifre molto importanti e, se si vuole essere sinceri con se stessi, è ben difficile immaginare che tutta l'operazione vada a buon fine.

Fino a poco fa i Governi greci avevano continuato a chiedere un taglio del debito, ma con scarso successo. Oggi, il dibattito è su come rendere sostenibili gli impegni concordati e proprio sulla sostenibilità degli impegni esiste la prima frattura tra il Fondo Monetario Internazionale e il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM). Il primo, conscio delle reali difficoltà, ha proposto una moratoria su tutti i debiti greci fino al 2040 ma i creditori europei insistono (l'ultimo meeting è dello scorso 29 gennaio) nel sostenere che la Grecia è in grado di ripagare i crediti ricevuti. Il dissidio tra le due controparti assume grande importanza perché sia il FMI sia l'Unione Europea sono entrambi creditori e le condizioni per il terzo programma di aiuti devono essere decise entro la fine di marzo. L'organismo finanziario internazionale ritiene che l'imposizione voluta dall'Europa, quella che impone ai greci di realizzare un surplus nel 2017 corrispondente al 3,5 percento del PIL, sia irraggiungibile e si rifiuta di partecipare a un nuovo piano di rifinanziamento se le condizioni non saranno rese più praticabili. D'altra parte l'Europa è in difficoltà ad acconsentire a causa delle opinioni pubbliche restie a venire incontro alle esigenze elleniche. Inoltre, il Governo tedesco aveva ottenuto l'autorizzazione dal proprio Parlamento a compartecipare alle operazioni di "bailout" solo se vi avesse preso parte anche il FMI. Senza quest'ultimo, Berlino dovrebbe opporsi a qualunque nuovo piano di aiuti anche se deciso e supportato da Bruxelles.

Nel 2015, grazie a un aumento delle tasse, Atene aveva realizzato un surplus dello 0,7 % e sembrerebbe che nel 2016 sia arrivata addirittura al 2 % (si badi bene: non si tratta di una crescita dell'economia locale, che è invece in costante impoverimento, ma solo della differenza tra entrate e uscite dello Stato). Nuovi aumenti dell'imposizione fiscale su una popolazione già allo stremo e con un ridotto potere d'acquisto sono politicamente impraticabili e non si riesce a capire come si possa creare un grande avanzo di bilancio nel 2017 senza nuovi licenziamenti nel settore pubblico e una riduzione generalizzata della spesa. L'aumento della disoccupazione che ne conseguirebbe, comunque, diminuirebbe ancor di più il potere d'acquisto generalizzato e farebbe calare ancora di più il PIL.

Tutti i soggetti coinvolti vorrebbero chiudere le discussioni sull'argomento prima che inizino le campagne elettorali in alcuni Paesi europei per evitare che il debito greco diventi materia di discussione elettorale, ma il tempo che resta è ben poco e, per ora, non s'intravedono soluzioni percorribili. In Olanda si voterà in marzo, in Francia in aprile e a settembre sarà la volta della Germania. In questa situazione, anche Atene non gode di stabilità politica sicura e una nuova stretta sull'economia farebbe aumentare il già profondo malcontento popolare con conseguente rischio di crisi di governo.

La maggioranza di cui gode Tzipras è di soli cinque deputati e il suo è pur sempre un governo composto da una coalizione eterogenea. Per cercare di mantenere quel che resta del suo consenso, l'ex "cattivo ragazzo" ha deciso di utilizzare una parte dell'avanzo di bilancio del 2016 per distribuire un bonus a tutti i pensionati, suscitando però le reprimende dei creditori. Bisogna mettersi nei suoi panni: aveva promesso alla popolazione che i sacrifici sarebbero stati temporanei e che l'economia si sarebbe stabilizzata e tornata virtuosa. Tuttavia, dopo tre anni di sofferenze, gli era indispensabile dare l'impressione che le cose stessero migliorando e quella piccola elargizione doveva servire a dimostrarlo.

Se ora fosse costretto alle dimissioni per l'abbandono di qualche deputato della sua maggioranza, si andrebbe a nuove elezioni e la campagna elettorale che la maggior parte dei partiti svolgerebbe sarebbe centrata sulla promessa di abbandono dell'austerità'. Si accentuerebbero i toni anti euro e anti Europa e il risanamento del debito diventerebbe ancora più improbabile. Non resterebbe che dichiarare il default e vedere la Grecia uscire dalla moneta unica.

Che succederebbe allora all'Euro e agli altri Paesi con alti debiti pubblici come l'Italia? La speculazione si scatenerebbe, ci sarebbe un forte aumento dello spread e anche noi saremmo costretti a considerare l'abbandono della moneta comune. Qualcuno che già lo chiede ne sarebbe contento, ma che ne sarà di tutti i detentori di mutui che si troverebbero ad avere debiti in euro da dover ripagare con una nuova lira svalutata di almeno il trenta percento?  E cosa faremo del nostro debito pubblico verso l'estero (circa il cinquanta percento del nostro debito totale)? Dichiareremo fallimento o lanceremo una "patrimoniale" per riuscire a non farci espellere dalla comunità finanziaria internazionale?

L'Euro fu, molto probabilmente, un errore in assenza di un'unità politica e fiscale ma, ora che c'e', o tutta l'Europa, in primis la Germania, capisce che sono necessarie maggiore solidarietà e lungimiranza tra gli Stati membri o "mala tempora currunt". Anche a Berlino.




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