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Su Liberland, il nuovo microstato libertario sorto nella primavera del 2015 sulla sponda ovest del Danubio al confine tra Serbia e Croazia ed a pochi km dall’Ungheria, avevo già fatto cenno in precedenti newsletter, riportando perlopiù articoli scritti da altri. L’argomento è talmente ghiotto per un appassionato di storia e geografia come me, che non posso esimermi dall’occuparmene in prima persona, come al solito da un punto di vista critico e pragmatico. Iniziamo con alcuni dati tecnici accennando anche alle origini. In primo luogo si tratta di uno stato o meglio “micronazione” autoproclamata, significa cioè che un gruppo di persone di sono insediate in loco, hanno delimitato i confini ed hanno reso pubblico al mondo (grazie alla rete) le loro intenzioni, senza alcun riconoscimento giuridico e diplomatico, almeno fino ad oggi, da parte di nessuno dei circa 200 stati che esistono al mondo e tantomeno dell’ONU. Il gruppo dei fondatori era guidato (lo è tuttora) da un attivista politico libertario di origini ceche di nome Vít Jedlička. La superficie attuale rivendicata dal gruppo di fondatori è di 7 (sette) kmq, un lembo di terra che si insinua perfettamente tra i due confini statali (in una specie di serpentina geografica), rivendicato dai due stati confinanti, Serbia e Croazia, e divenuto quindi “terra di nessuno”, almeno finché la disputa non sarà risolta, e si dubita possa accadere essendo trascorsi ormai oltre 20 anni dalla fine della guerra dei Balcani. La scelta quindi è stata particolarmente intelligente, non essendo molte nel mondo le cosiddette terre di nessuno. Per fare un esempio efficace, c’è ne una famosa tra la Corea del Sud e del Nord, “leggermente” militarizzata e pericolosa, dove un simile insediamento non sarebbe stato ne possibile ne opportuno, da tutti i punti di vista! J Di solito chi ha simili velleità libertarie di autonomia, finora aveva scelto o terre assolutamente inospitali, come l’Antartide, o piattaforme petrolifere abbandonate in acque extraterritoriali, con le prevedibili difficoltà di riconversione in insediamenti urbani e di approvvigionamento, o isole acquisibili regolarmente per le quali poi si devono richiedere particolari concessioni di autonomia agli stati sulla cui giurisdizione ricadono, oppure, similmente alle isole, si sono limitati a fondare o rifondare delle città, con particolari statuti di autonomia giuridica e politica. Cumulativamente tutte queste iniziative nel corso degli ultimi decenni si possono contare sulle dita delle mani in tutto il mondo. Quasi tutte sono fallite, rimanendo solo sulla carta o come un vago ricordo, oppure sono progetti solo in parte realizzati. Quest’ultima iniziativa, in ordine cronologico, ha maggiori possibilità di successo rispetto alle precedenti, sia dal punto di vista strategico che logistico, per una serie di motivi. In primo luogo è collocata in Europa, continente piuttosto popolato e connesso alla rete, per cui l’informazione perviene ad ognuno (se non direttamente, quantomeno col passaparola), e si può senza particolari difficoltà prendere contatto coi fondatori e loro rappresentanti ed effettuare sopralluoghi in loco. Poi è collocata in una terra di nessuno, contesa tra due stati, quindi, pur non essendo più nell’epoca del far west ci sono maggiori opportunità che il gruppo che l’ha rivendicata come diritto di insediamento umano e comunitario (con alle spalle una ormai numerosa comunità internazionale, ne parleremo in seguito), non venga cacciato con la forza, che l’area non venga occupata militarmente da uno degli stati che la rivendicano, anche per evitare che la situazione degeneri, avendo ormai puntati addosso gli occhi del mondo mediatico, che ne osservano l’evoluzione costantemente, e nessuno ha interesse a provocare incidenti internazionali, facendo pessime figure mediatiche e diplomatiche.
Dal punto di vista geografico, il nuovo microstato si collocherebbe come dimensioni appena dopo la Città del Vaticano ed il Principato di Monaco e prima di Nauru (Micronesia, 21 kmq), anche quest’ultima è una repubblica, seppur insulare, per cui Liberland diverrebbe la repubblica più piccola del mondo, nel momento in cui dovesse essere riconosciuta. Affrontiamo ora questi aspetti politico diplomatici ed anche anagrafici, che sono ovviamente correlati alle probabilità di riconoscimento. Allo stato attuale, in seguito ad interviste rilasciate dalla sua leadership e dalla documentazione che il sottoscritto ha ricercato in rete, pare che in poco più di due anni la risposta della comunità internazionale popolare (non le diplomazie, i governi, le istituzioni, ma la popolazione di internauti) sia stata molto positiva, potremmo definirlo un successo senza precedenti. Le adesioni pervenute al sito ufficiale https://liberland.org/en/main/ con richiesta di cittadinanza sono state finora ben 440.000 (quattrocentoquarantamila) di cui circa 300 sono state accettate. Pare che la selezione sia piuttosto severa, anche se non so con quali criteri oggettivi essa avvenga, essendo una selezione che si limita a valutare i contenuti di quanto gli stessi candidati compilano soggettivamente (che potrebbero essere in parte o in toto falsi e fuorvianti), senza contare il tempo che richiederebbe analizzare centinaia di migliaia di candidature, senza uno staff di proporzioni adeguate e molto qualificato. Di questi 300 già accettati, alcune decine sono stati incaricati di rappresentare Liberland nei propri paesi di residenza e provenienza (è assente l’Italia, presumendo che di italiani ce ne siano tra i 440mila candidati, significa che nessuno finora è risultato “degno” di essere accettato … possiamo anche capirli J). Alcuni di questi 300 si sono già recati in loco, cioè a Liberland, per sopralluoghi, per “trattare” un eventuale trasferimento residenziale, a tempo debito, quando cioè verrà approvato uno delle decine di progetti architettonici urbanistici che sono stati finora presentati, per trasformare quel lembo di terra non ancora antropizzato in una città autonoma o micronazione libertaria moderna e produttiva. In proposito al posto loro, non mi fiderei molto degli architetti e delle loro visioni e proiezioni avveniristiche ed utopiche (pare che siano una settantina i progetti pervenuti finora da studi associati ed agenzie da tutto il mondo) e terrei ben presente i dati storici del bacino idrografico del Danubio, per evitare di trovarsi con l’acqua alla gola, in tutti i sensi. Per ora è comprensibile che abbiano come priorità la ricerca di finanziamenti, che pare affluiscano copiosi, quasi come i progetti urbanistici, date un’occhiata ai disegni sotto riportati.
Pare che dispongano già di documenti rilasciati in proprio (quindi “autoreferenziali”) e che esibiscono alle dogane quando transitano, ma le guardie di confine li trattano con derisione ed un certo disprezzo, come fossero degli sprovveduti, fantasiosi, illusi. Ma la situazione si potrebbe ribaltare, perché a ben guardare sono in molti che potrebbero riporre fiducia ed interessi in una simile iniziativa, e non mi riferisco solo a singoli individui, anche facoltosi, ma anche a centri di interesse e potere. Nel mondo c’ bisogno di libertà, soprattutto dalle tasse eccessive, quando diventano vessazione, estorsione, ricatto, perfino schiavitù, come in Italia, ma non solo. E Liberland in proposito è stata chiara fin dai primordi, non ci saranno tasse di alcun genere, ognuno godrà in toto del frutto del proprio lavoro, gli oneri saranno solo volontari, ognuno contribuirà liberamente e volontariamente alle spese di gestione della micronazione. E non solo di riduzione o liberazione dalle tasse c’è bisogno nel mondo, ma anche di libertà di parola e comunicazione, che non è affatto scontata come sembrerebbe ad un osservatore superficiale. Basti vedere cosa è accaduto solo negli ultimi mesi con la Brexit, l’elezione di Trump ed il referendum costituzionale in Italia, dove i mass media omologati tutti in coro hanno fatto scelte di campo omogenee sbagliando in toto ogni previsione con sprezzo di coloro che la pensavano contrariamente, guarda caso tutti blogger, che operavano esclusivamente nella rete. Quindi ci sarà bisogno di uno spazio dove collocare tutta la tecnologia digitale necessaria a preservare questi spazi di libertà di parola ed opinione, consentendone la diffusione planetaria. Quello che fa loro difetto, o quantomeno giustifica l’attribuzione di individui fantasiosi ed ingenui da parte delle guardie di confine, è rappresentato dalla loro simbologia araldica ( bandiera e stemma sotto riportati), che personalmente trovo alquanto banali, infantili. Questa è la loro spiegazione: il giallo sta per libero mercato, il nero è uccello ribelle che va a guadagnarsi la libertà, l’albero invece simboleggia la prosperità e il sole dice che noi siamo persone buone e felici. In realtà tali simboli avrebbero significati ben più complessi, profondi e variegati che non quelli da loro attribuiti con tanta semplicità, ma è una questione culturale, e non si può pretendere che dei giovani, per quanto intraprendenti, dispongano già di una consapevolezza evoluta. Dal punto di vista politico e diplomatico, pare che sia stiano dando molto da fare, animati da un entusiasmo contagioso che si diffonde a macchia d’olio tramite i primi 300 “cittadini” le cui candidature sono cioè state accettate e che sparsi per il mondo stanno contattando istituzioni a tutti i livelli, non solo per far conoscere la loro iniziativa, il loro progetto di comunità libera o micronazione, ma per indurre altre piccole nazioni ad attribuire loro il riconoscimento ufficiale, e pare che siano già una decina gli stati disposti a compiere questo passo fondamentale. Se pensate che diversi stati autonomi, soprattutto collocati nel Caucaso, non hanno un numero così elevato di riconoscimenti ufficiali da parte di altri stati, per Liberland sarebbe un grosso successo se ottenesse un simile risultato nei prossimi mesi. In quanto alle motivazioni storiche ed attuali che inducono a simili progetti, c’è solo l’imbarazzo della scelta, e qui per non dilungarmi mi limiterò a poche citazioni. Probabilmente risale ai primordi della storia dell’umanità una simile motivazione a creare comunità libere, solo che non ne abbiamo traccia scritta, nessuna documentazione, in quanto la scrittura è piuttosto recente come invenzione umana e la maggioranza delle tracce scritte sono andate distrutte o sono ancora sottoterra in attesa di scoperte archeologiche, e quindi possiamo solo immaginarlo con un elevato indice di probabilità. Abbiamo delle certezze di tali motivazioni già nell’Alto Medioevo, pensate ad esempio ai Vichinghi che hanno colonizzato l’Islanda, che per primi hanno creato un’assemblea parlamentare “democratica” per condividere le decisioni politiche comunitarie o alle numerose comunità di villaggio montane (soprattutto nel Pieno Medioevo) che sparse nelle nostre Alpi si sono affrancate ottenendo statuti e privilegi precursori rispetto alle condizioni di estremo vassallaggio in cui versavano tutti gli altri villaggi e località. Sui liberi comuni, sorti soprattutto nella nostra penisola e nelle Fiandre, non occorre soffermarsi più di tanto, essendo alle origini della nostra civiltà occidentale, ormai purtroppo decaduta e degradata. Concludendo non posso che osservare queste iniziative, e continuare a farlo, con occhio benevolo, sperando non degenerino per interferenze esterne fuorvianti o per deviazioni interne alla leadership, magari indotta in tentazione dalle lusinghe del successo. Ciò che conta è che mantengano solida la rotta delle motivazioni primarie, sottraendosi alle spire di un sistema ormai globalizzato che rende schiave le persone con il debito ed il consumismo. Pertanto va bene che insistano sull’assenza di tasse per la comunità che si insedierà, ma speriamo non si facciano circuire dalla finanza, trasformandolo nell’ennesimo paradiso fiscale, tradendo in pieno i buoni propositi iniziali, che erano prettamente conviviali e libertarie. |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 22/11/2024 23:14:07 |
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