Per settimane, per mesi, mi sono chiesto per quale motivo i giornali finanziari di tutto il mondo, ma anche governi come quello della Germania, fossero entrati puntualmente a gamba tesa sulle vicende del referendum italiano. Cosa che apparentemente non li riguardava. Con quale diritto intromettersi nelle questioni del nostro paese? Nessuno.
Per lunghissimi mesi, poi, mi sono domandato per quale motivo Matteo Renzi tenesse cosi tanto alle riforme costituzionali e alla nuova legge elettorale, ingessando il parlamento su una cosa di relativa importanza.
Soprattutto mi ha sempre colpito la sua fretta nel portare a casa il risultato, perchè ricordo ancora, e molto bene, i canguri, i voti tirati a tarda notte per approvare l’italicum, mettendo la fiducia per ben tre volte. Ma il motivo di tanta ostinazione qual’era? Questo mi sfuggiva più di altre cose. Come se su riforma costituzionale e riforma elettorale dipendessero i destini, non solo dell’Italia, ma di un intero sistema economico e politico.Ho provato anche a vedere del buono in questa azione combinata dell’esecutivo. Niente.
Non ci sono riuscito. Troppi interrogativi continuano a martellarmi la testa.
Entriamo intanto nel merito e in rapida sintesi. La riforma è scritta male, è pretenziosa, non abbatte i costi della politica e se dovessi interrogare la mia pancia non mi fa stare affatto tranquillo. La svolta autoritaria, innanzitutto. Insieme, riforma costituzionale e Italicum che, giusto sottolinearlo, non è stato cambiato e chissà se verrà realmente modificato dopo il referendum, ci accompagnano verso il sempresidenzialismo. Incontestabile.Il tutto senza avere i contrappesi di altre democrazie consolidate. Brividi, sprattutto se si pensa al populismo di Renzi, Grillo, Salvini, Belusconi, Meloni, Alfano. Attenzione: solo leggendo in controluce la riforma si può arrivare a queste conclusioni perchè, in nessuno dei 16, 36 o 47 articoli modificati c’è scritto che si va verso un semipresidenzialismo. Sono gli effetti della riforma, in realtà.
Quanto ai costi: sul serio abolire il Cnel ci porta a risparmi consistenti? No. Si è calcolato che rinunciando al consiglio nazionale economia e lavoro si risparmiano 23 centesimi l’anno ad italiano. Nemmeno i soldi di un caffè. E poi ,si voleva abolire il Cnel?Bene, bastava spacchettare il referendum in cinque, sei, sette quesiti. Ma non era evidentemente questa l’intenzione della riforma Napolitano- Renzi. Il ricorso di Onida era dunque legittimo, ma decisamente tardivo. E poi, ripeto, la fretta. Anche qui non ho mai capito il perchè della velocità renziana e dell’interesse nel cambiare a tutti i costi una costituzione che, a conti fatti , andava bene cosi. Bastava semplicemente applicarla. E soprattutto non sono riuscito a capire l’ostinazione dell’ex sindaco di Firenze per una priorità che non era certo una priorità, visto che una riforma che non abbatte i costi e complica il processo democratico, può tranquillamente attendere prima di essere ( semmai) modificata.
Tanto più che dal 2008 il Paese si dibatte in una crisi economica gravissima. Piuttosto era su quella che doveva concentrarsi l’azione di governo. Renzi doveva insomma puntare a creare nuovi posti di lavoro, stabili, ben pagati , investendo in infrastrutture, nella messa in sicurezza del territorio, con piccole opere pubbliche che tenessero alla larga mafia e multinazionali, che non a caso puntano ad aggiudicarsi gli appalti delle grandi opere, del piatto ricco mi ci ficco.
La faccio breve e il più semplice possibile, soprattutto per i non competenti. Il filo rosso si snoda perciò attraverso la modifica del titolo V, cioè le competenze tra stato e regioni. Accentrare sullo stato scelte territoriali consentirebbe di prendere decisioni che apparecchierebbero un bel business per i grandi gruppi di potere. Ed ecco perchè è fondamentale la modifica costituzionale di più punti ma di questo in particolare.
L’accentramento dell’esecutivo porta ad effetti decisionali che ci conducono senza nemmeno immaginarlo ad un semipresidenzialismo di fatto. L’italicum serve a far si che una minoranza di nominati diventi maggioranza con tutto quello che ne consegue. Che poi bisogna vedere se ci sarà ancora Matteo Renzi, tra un anno, a fare il presidente del consiglio. A naso diciamo che la sua carriera politica si esaurirà tra pochi giorni, dopo la sconfitta nel referendum. Oltre a lui, sia ben chiaro, non farebbero dormire sonni tranquilli nemmeno Grillo, nè tantomeno Salvini, Berlusconi o la Meloni.
Ma è l’aspetto affaristico che dovrebbe mettere in allarme gli italiani e convincerli a votare no. L’insistenza del Financial Times o del Wall street Journal che, non più tardi di ieri, hanno ribadito che con la sconfitta del Si’ si andrebbe verso l’instabilità economica e finanziaria del Paese. E qui c’è più di un sospetto ed è legato alle mosse della Fed americana intenzionata a rialzare i tassi d’interesse e della Bce che non può continuare a drogare all’infinito i bilanci degli Stati europei con iniezioni di QE. La realtà è che rumors sempre più insistenti parlano di una nuova crisi finanziaria, anche questa creata ad arte, come quella che nel 2008 si è abbattuta negli Stati Uniti . Con che cosa si tenterebbe di risolvere la crisi? Con le privatizzazioni: elementare, Watson.
Adesso, che Renzi non sia uno statista ma un populista è assodato. Altrimenti non avrebbe alimentato questo clima di scontro , personalizzando il referendum e spaccando l’Italia su un semplice quesito referendario. Accozzaglia, serial killer, scrofa ferita. Dove siamo: in una nazione sedicente democratica o in un saloon del selvaggio west? Per carità: le colpe vanno divise equamente tra i sostenitori del sì e quelli del no ma Renzi ha le sue belle responsabilità per la rissa che si è scatenata nel Paese, anche tra amici e conoscenti che fino a qualche mese fa mai e poi mai avrebbero pensato di litigare e togliersi il saluto per l’esito di un referendum.
Ma non si può dire che Renzi sia uno sprovveduto. Anzi: tutto calcolato, personalizzazione e clima da far west incluso, utili a far accapigliare gli italiani e spingerli al voto il 4 dicembre. Il filo rosso che tutto unisce, compresa anche la modifica dell’articolo 117, è stato studiato a tavolino, d’accordo con la confindustria , le multinazionali, le banche d’affari come J.p. Morgan, apertamente schierate per il Si. Mossa dopo mossa, passo dopo passo. Perchè il fine ultimo della riforma è quella di ‘precarizzare’ ancora di più il mondo del lavoro, di creare le condizioni per un banchetto delle multinazionali, attraverso appunto le privatizzazioni. Ipotizzare scenari drammatici su un’Italia vittima di turbolenze nei mercati finanziari, fuori dall’Euro e magari fuori anche da tutte le galassie dell’universo, in fondo serve a questo. Serve a spaventare i cittadini più sprovveduti. Ma , tranquilli, è solo business. Uno sporco business, che punta a togliere sicurezza e protezione sociale .
Con la Grecia è andata bene.
L’operazione ora la tentano con l’Italia. Non a caso due Paesi simbolo, due musei a cielo aperto, appetibili se venduti a prezzi di saldo, banche incluse.Il 5 dicembre sapremo se avremo fatto cento passi indietro nella storia, tornando a dinamiche da medioevo, o se si preparerà un altro tribunale di Norimberga per crimini perpetrati contro l’umanità. Alla sbarra: le multinazionali, il mondo delle banche e della finanza internazionale. Gli alfieri del liberismo, che hanno rubato la speranza a tutti. Anzi, a quasi tutti.