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Riflessioni sulla condizione delle madri-lavoratrici

Riflessioni sulla condizione delle madri-lavoratrici
Autore: Susanna Schivardi - Redazione Attualita'
Data: 04/10/2016

Prendiamo spunto dalla lettera del 22 settembre apparsa sul Corriere online e indirizzata Beppe Severgnini di una mamma lavoratrice con due figli che si sente in colpa per non  essere all’altezza di tutti i ruoli che viene chiamata a ricoprire, tra lavoro in studio, crescita dei figli, occupazioni a casa, rapporti umani. A lei è stato risposto da Beppe Severgnini con grande cordialità ed empatia, sottolineando come le donne siano a torto messe in una posizione scomoda, dettata da una condizione maschile che continua ad avere la meglio.

li uomini lavorano e hanno figli ma non si sente mai parlare di padri-lavoratori come si parla invece di madri-lavoratrici. Esiste ancora un dislivello di gender che mina profondamente le possibilità a cui donne, anche laureate e preparate, debbono rinunciare col tempo. A parità di livello iniziale, la resa sul posto di lavoro per le donne non rimane mai costante, difficilmente arrivano ad occupare posti aziendali di rilievo, preferendo quelle che vengono definite  le cosiddette «funzioni di staff», ovvero di supporto all'attività aziendale come il legale, le risorse umane o l'information technology, piuttosto che le «funzioni di linea», quelle in cui si è responsabili di un conto economico o di un business (che sono la via maestra per diventare capoazienda).

Una delle risposte a questa lettera invece è molto meno morbida e accogliente, mettendo in rilievo l’inutilità dei sensi di colpa e ridicolizzando l’atteggiamento nei confronti di un marito che, non collaborando in casa, se ne sta ad aspettare la cena dopo che la moglie ha lavorato e si è occupata dei figli, senza nemmeno, per questo, sentirsi realizzata. Il ruolo del maschio, risulta evidente, in questi anni sta cambiando, come dimostra anche la normativa in merito di congedi parentali. Secondo i dati l’Italia è agli ultimi posti in Europa come flessibilità di periodi di congedo e retribuzione, mentre i paesi del Nord Europa mostrano una elasticità enorme, tutta a favore di una crescita serena dei figli e di un reintegro sostanziale per le donne, sul posto di lavoro.

Dati alla mano, solo per citare qualche esempio, in Svezia, il primo paese a introdurre i congedi parentali (1974) è tuttora uno dei più generosi ed egualitari: una coppia di genitori può prendere fino a 13 mesi fra i due all'80% della retribuzione. Il periodo può essere spezzato o preso unitariamente, con un ulteriore bonus di 90 giorni a paga ridotta; in Italia il periodo di congedo parentale viene retribuito al 30% per i primi tre anni del bambino, dopo non è retribuito e può essere preso fino a 8 anni del figlio per un massimo di sei mesi totali. Anche il papà ha diritto a un congedo parentale, basta che il totale con quello della madre non superi 11 mesi. Il congedo per malattia bambino non è retribuito e dai 3 agli 8 anni di età consiste in appena cinque giorni l’anno.

Per quanto riguarda l’orario di lavoro, rispetto ad altri paesi l’Italia si trova a metà strada, la media delle ore settimanali è di 40 ore, mentre nei Paesi Bassi metà dei lavoratori sta sotto le 30, mentre in Norvegia e in Irlanda un terzo dei dipendenti deve stare al lavoro 40 ore. Una mamma in Italia per la mancanza di strutture adeguate, obbligo di orari lunghi, impossibilità di intraprendere una carriera lavorativa di alto profilo a meno di non pagare interi stipendi a squadre di tate e babysitter, difficilmente può sentirsi adeguata alle proprie aspirazioni. In questo, il ruolo del padre-marito risulta fondamentale, un aspetto umano che non va tralasciato in quanto oggi i papà si mettono ai fornelli, si occupano della spesa e spesso rimangono la sera a casa se le mamme lavorano fino a tardi. Questo in una società che consideri davvero alla pari uomo e donna nei loro diritti e doveri. Mi chiedo quanto questa presunta parità sociale venga rispettata e riconosciuta, ma se a smentire le aspettative è l’autrice della lettera di cui sopra, allora la strada da compiere è ancora lunga.

Per rispondere a chi le ha contestato l’eccessiva premura nel voler stare accanto ai figli, sostenendo che presto questi ultimi preferiranno stare con gli amici piuttosto che avere una mamma onnipresente, è pur vero che il benessere e l’amore che si costruisce accompagnando i figli nello loro crescita è forse superiore alla soddisfazione che si ottiene sul posto di lavoro. È vero, a vent’anni partiranno con gli amici per l’estero e avranno le loro idee su tutto, ma il legame costruito nei primi anni, portandoli a scuola ogni giorno, consolando le loro lacrime e raccontando le favole della buonanotte è qualcosa che nessun aumento di stipendio e nessun applauso di fronte ad una platea potranno eguagliare. Il percorso è ancora lungo ma concordo con Beppe Severgnini che dice che a salvare il mondo saranno le donne anche se gli uomini fanno di tutto per impedirlo. Infine, finché non ci sarà una politica aziendale che aiuti la donna a conciliare famiglia e lavoro, imponendo orari e modalità flessibili, come il lavoro da casa – i mezzi ci sono ma non li usiamo – continueranno ad arrivare lettere come quella del 22 settembre a cui sono seguite migliaia di like a condivisioni, come dimostra una crescente insofferenza della condizione della donna nella società di oggi così come è strutturata.




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