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Lo hanno definito noir famigliare questo ultimo film di Pablo Trapero, scritto e diretto da lui e prodotto da Pedro Almodovar, Il Clan, in uscita nelle sale italiane in questi giorni e vincitore del leone D’Argento al Festival di Venezia l’anno scorso. La storia si svolge in un Argentina massacrata dalla dittatura e dagli scampoli successivi di una malavita che si guadagna da vivere con sequestri organizzati negli scantinati delle case di famiglia. I desaparecidos vittime governative sono qui esponenti di famiglie ricche a cui vengono estorte grosse somme di denaro in cambio della restituzione di figli o mogli o padri imbavagliati e torturati psicologicamente. La violenza, il male a cui siamo abituati dai libri di storia qui si mescola con una quotidianità scioccante, quella della famiglia Puccio, implicata in sequestri organizzati principalmente dal padre, Archimedes, un indimenticabile Guillermo Francella, che buca lo schermo con degli occhi algidi e impenetrabili anche di fronte alla caduta. La banalità della consuetudine si macchia del sangue delle vittime con un’enfasi potenziata proprio da un rapporto padre-figlio che incolla alla storia un fitto spessore di disagio e spossatezza. Alejandro, il bellissimo Peter Lanzani, il figlio maggiore, è un personaggio disegnato in maniera perfetta dalla scrittura di Trapero: un ragazzo sano, vincitore, pieno di sogni e distrutto dalla figura imperante del padre, che lo coinvolge senza che il giovane sia veramente convinto delle sue azioni. Il bene e il male prendono forma struggente in questo conflitto edipico che si concluderà con un finale inaspettato. La storia è vera e come tale traspira da tutti i pori segni di verosimiglianza e striature di drammatica verità, dove leggi morali e giustizia si confondono fino a sbiadirsi. La regia di Trapero non è estrema come nella sua consuetudine, in questo proprio per dare maggiore rilievo ai sentimenti dei personaggi, alla non soluzione dei rapporti famigliari, così estremamente compromessi da un dio superiore, il dio denaro mascherato di benevolenza. Montaggio schietto e lucido, frenetico in alcuni passaggi, incorniciato da una bellissima colonna sonora, piena di pathos ma anche straniante nei momenti più densi. Uno straniamento appunto architettato per smorzare la forza filmica e dare rilievo all’energia della cronaca e dei fatti realmente accaduti. Uno specchio fedele, una specie di documento prezioso per capire la tragicità di quegli anni e la violenza trattata con noncuranza da chi la commetteva, delitti organizzati in cantine apparentemente innocue, sotto la camera da letto dei figli che di notte si riempivano di incubi e delle urla strazianti degli ostaggi. Un incubo che nemmeno uno schianto al suolo può dissipare per sempre. |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 21/11/2024 11:48:30 |
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