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La recitazione di Dionysus, il dio nato due volte è potente ed efficace come quella già vista al Globe Theatre di Roma, lo shakespeariano esperimento condotto dal magnifico Gigi Proietti. Con un’impostazione molto fisica e la voce calibrata perfettamente sul cardine tragico della vicenda, le Baccanti di Euripide qui trionfano di vita propria, investendo lo spettatore di sudore e sangue, di bava e gestualità. A teatro si fatica tantissimo, poi per mettere in scena un’opera del quinto secolo avanti Cristo, l’impresa sembra ancora più titanica, visto che oggi di mondo greco si parla ben poco, anche se ne siamo intrisi fino al collo. Rivedere Daniele Salvo nei panni di Dioniso, Manuela Kustermann nuova Agave, Paolo Bessegato che recita Cadmo, Paolo Lorimer nei panni del vecchio Tiresia e Ivan Alovisio il furente Penteo, è stato come immergersi in un mondo irrazionale e crudele come mai sarebbe in grado di dipingere il cinema contemporaneo. La realtà supera in efferatezza la fantasia, e la malvagità non lascia scampo a nessuno. Il vecchio motto che dice all’uomo di non superare i propri limiti e solo così sarà felice, riecheggia quasi monito moderno di cui però nessuno si prende cura. La hybris odierna supera lungamente la timida velleità degli antichi, eppure oggi nessuno ascolta i moniti che arrivano dall’alto perché si sa, a volte, i messaggi divini risultano estremamente scomodi. Le novelle Baccanti di questo spettacolo pongono “una riflessione sul senso del divino nelle nostre vite e su ciò che, nella nostra quotidianità, viene rimosso. La parola antica è un grido proveniente da un altro tempo, un appello alla riflessione, al risveglio dei sensi, un’esortazione a guardarci dentro in altri modi (cit.)”. L’innovazione non comprende una scena elaborata, tranne il rialzo al centro del palco su cui si avvicendano i personaggi con un telo alle spalle che si muove all’occorrenza per smascherare altro spazio scenico, guardando a Tebe e al Monte Citerone, dove alla fine si consumerà la sciagura. La bellezza del racconto viene subordinata all’uso magistrale della musica, ideata da Marco Podda, con acuti di suoni molto forti e dirompenti che quasi superano il dramma per renderlo tangibile e scabro. Alcuni a soli come quello di Melania Giglio nei panni del secondo messaggero, rimangono impressi per la crudezza della voce e l’asprezza dell’enunciato. Passione, morte, desiderio e oltraggio si mescolano in un vortice di fine e desolazione, l’unica soluzione possibile ad un male estremo, l’aver sottovalutato la potenza del dio e averne fatto lo zimbello della città. Molto persuasiva la performance delle Baccanti, morbide, sinuose, anche mezze nude, ammalianti e provocanti. Sembrano riassumere la sintesi dell’ebbrezza e del peccato, della tentazione a cui è inutile resistere. Come le immagini che i media di oggi propongono, per affamare noi comuni mortali e spingerci mossi dal desiderio ad avere sempre di più, così in questa estasi estetica, il contenuto sembra perdersi in un mare di assurdità, dove solo il potere supremo può avere la meglio e vincere sui nostri umili e ridicoli propositi di resistenza. Mai sottovalutare un dio. Beato sarà colui che si rimetterà alla sua volontà. Così dissero duemilacinquecento anni fa. Così anche oggi sembra funzionare. |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 22/11/2024 22:56:06 |
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