Paula Cooper, figura simbolo della campagna contro la pena di morte negli Stati Unii, si è suicidata. Almeno è questo quello che ha affermato la polizia di Indianapolis, dove è stato trovato il corpo della donna, uscita di prigione appena due anni fa. A quanto risulta dalle informazioni, sul corpo era presente un solo colpo di una pistola.

La donna, che aveva 45 anni, era diventata il simbolo contro la pena di morte, quando a 16 anni era stata condannata per aver ucciso una donna settantottenne, insegnante di religione, con trentatre coltellate.

Era il 1986, quando a soli 15 anni, Paula e tre amiche, erano entrate nella casa di Ruth Pelke, professoressa di religione, per una rapina. La Cooper era rea confessa dell'uccisione della donna. Quella rapina aveva fruttato alla quindicenne e alle sue amiche solo dieci dollari e una vecchia auto. La giovane fu arrestata e nel 1986 le venne inflitta la condanna più grave prevista dallo stato dell'Indiana, la condanna a morte per iniezione letale. Per omicidi crudeli, infatti, l'Indiana prevedeva la condanna a morte dall'età di 10 anni.

L'opinione mondiale si mobilitò per salvare dalla pena capitale la giovanissima Paula. Anche l'Italia partecipò attivamente alla mobilitazione, attraverso il Partito Radicale italiano, Nessuno tocchi Caino, oltre al Parlamento Europea con una risoluzione con Emma Bonino prima firmataria. Per lei si mobilitò anche Giovanni Paolo II, chiedendone la grazia. In Italia furono raccolte due milioni di firme e presentate all'Onu per chiedere clemenza contro quello che era un atto di atrocità.

Due anni dopo la condanna a morte, la Corte Suprema americana, nel 1988, stabilì che non poteva essere inflitta una condanna alla pena capitale un minorenne al di sotto dei 16 anni, poichè la sentenza si rendeva essa stessa, crudele e quindi incostituzionale. Per questo motivo la Corte Suprema dell'Indiana commutò la pena a 60 anni. La condanna venne ancora ridotta arrivando a farle scontare 27 anni di prigione, per buona condotta.