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Uccidere con la scusa della psiche

Uccidere con la scusa della psiche
Autore: Il Direttore - Emilia Urso Anfuso
Data: 11/04/2015

All’improvviso, uccide. Segni particolari: persona normale, vita normale, passioni normali, abitudini normali. Talmente normale che se non compisse un’azione efferata nessuno si accorgerebbe mai della sua esistenza. E’ l’identikit di molte persone che “all’improvviso” da normali persone comunissime, si tramutano nel peggior incubo, e uccidono.

Ci sono casi e casi, ovvio. Ci sono situazioni che emergono solo a omicidio avvenuto. Ci sono persone la cui psiche tormentata rimane sconosciuta persino alle persone più vicine, familiari colleghi e amici, fino all’evento estremo.

Uomini e donne quasi alla pari nella via dell’omicidio. Spesso le donne divengono macchina di morte contro la prole. Gli uomini più spesso contro chi genera la vita. Poi ci sono gli omicidi di rabbia. Quelli in cui è subito palese la motivazione del gesto, l’ultimo terribile fatto di cronaca avvenuto presso il Tribunale di Milano è uno di essi.

C’è una cosa che accomuna tutti questi personaggi che si macchiano del reato di omicidio: la via dell’indulgenza che viene proposta attraverso la motivazione psicologica che dovrebbe spingere certi individui  a premere il grilletto o a usare con violenza bestiale armi da taglio di vario genere.  

La mamma di Cogne, l’omicidio di Sara Scazzi, i tanti mariti divenuti omicidi con maggiore o minore premeditazione, e quella di tante altre vittime della furia assassina: in ognuno di questi casi di omicidio, si è subito mosso un mondo pronto a trovare implicazioni psicologiche utili a fornire le motivazioni del gesto. Come se non possano esistere persone lucidamente in grado di compiere un assassinio o peggio, come se si volesse abituare la gente che un omicidio può trovare scusanti tali da giungere al perdono collettivo o almeno, all’indulgenza. Ha sparato si, ma… Ha ucciso si, ma…

Nella maggior parte di questi omicidi, si parla esclusivamente di chi ha compiuto il reato. Mai o quasi della vittima. Non sappiamo nulla di chi è morto ma apprendiamo tutto di chi, spinto da motivazioni variabili, decide di fare il salto dalla parte del colpevole.

Nella nostra società “moderata” e “liberale”, la cattiveria appare essere un criterio inaccettabile. Ma solo quando si parla di omicidio. Si tende a trovare motivazioni e non si accetta che nella nostra comunità possano esistere soggetti cattivi, perversi, anaffettivi, semplicemente animati da un qualsiasi motivo, solitamente molto stupido, che li spinge a esercitare la forma più aggressiva di supremazia contro un proprio simile.

Eppure viviamo in una sistema sociale in cui la cattiveria, l’animosità, l’anaffettività, la perversione e l’egoismo sono criteri ormai stabilizzati. L’omicidio però, ci chiama tutti a intervenire in qualità di opinione pubblica, e allora ecco che scatta il processo di spiegazione del misfatto, ampiamente supportato dal carrozzone mediatico che, per perverso che possa apparire, si giova alquanto di ogni singolo caso di cronaca nera. Pensate alla moltitudine di programmi televisivi che trattano questi argomenti, ai fiumi di articoli che inondano le pagine dei giornali, ai lunghi dibattiti che si susseguono in ogni angolo della comunicazione di larga diffusione. Anche l’omicidio è un filone, come tanti altri, e pone gli esseri umani di qualsivoglia estrazione sociale ad ergersi a titolari del diritto di giudicare.

Così facendo però, si crea un effetto cui pochi pensano: si permette a chi uccide di poter usufruire di ampie possibilità di remissione del peccato commesso grazie alle varie interpretazioni psico psichiatriche prontamente fornite anche da chi di psiche e di psichiatria non capisce un fico secco. Si contratta a priori, si cercano falle nelle anime di personaggi che un’anima non hanno. Si prosegue senza sosta per alimentare il sospetto che nessun essere umano, in ultima analisi, possa essere così perfido da uccidere.

E’ un modo che abitua alla remissione del reato, ammesso che ve ne sia la necessità in una nazione, la nostra, in cui la Legge da ampie possibilità di essere scagionati dai reati più turpi. Ma è proprio lì l’inghippo: si manipola la mente umana che pian piano trova una più accettabile spiegazione all’atto estremo di uccidere, e si concede così all’infinito la libera interpretazione degli accadimenti senza aprire la porta al dubbio che l’essere umano, mediamente, conserva in sé istinti omicidi.

Dovremmo dare più risalto alle vittime e minor spazio a chi le ha rese tali. Per questi ultimi, biechi protagonisti del tratto di storia umana in cui viviamo, dovrebbero bastare le aule di tribunale e non lasciare troppo spazio alla libera interpretazione delle normative che procura più errori di giudizio che sentenze accettabili.

Uccidere con la scusa della psiche. Chissà in quanti l’hanno premeditato, prima di dare sfogo agli istinti più bestiali, prima di divenire consapevolmente protagonisti mediatici del caso del giorno. Ognuno di noi sa bene come funziona questo gioco. Malgrado ciò tutti continuano a giocarlo, persino chi un giorno o l’altro, verrà prontamente analizzato per comprendere i motivi psicologici che l’hanno spinto a compiere un omicidio. D’altronde, come ho scritto all’inizio, l’omicida medio è la persona più comune cui si possa pensare…




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Data:10/08/2013
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