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Roma, dal Teatro Brancaccio al Teatro Vascello la Danza si rinnova

Roma, dal Teatro Brancaccio al Teatro Vascello la Danza si rinnova
Autore: Susanna Schivardi - Redazione Cultura
Data: 06/12/2014

La capitale si rinnova, in un periodo effervescente per offerta di spettacoli, in tutti i teatri della città, di danza contemporanea con eventi  e proposte di eccezionale livello. Sabato 29 novembre al Teatro Brancaccio di Roma, per Romaeuropa Festival, è stata la volta di Plexus, con e di Kaori Ito e la coreografia di Aurèlien Bory, fondatore della Compagnie 111 e creatore di spettacoli all’avanguardia.

Plexus è un termine di ampio respiro, come questo spettacolo proposto in tre serate a Roma. Disegnato apposta sul corpo di Kaori Ito, esile e flessuosa ballerina dalle gambe d’acciaio, si costruisce tutto su di una piattaforma a installazione che sospesa dal palco, fa da base per un viaggio attraverso lo spirito umano. Una pioggia di fasce elastiche simmetricamente disposte a formare un cubo con le due piattaforme sistemate agli antipodi, fa da contorno al corpo dinamico della ballerina, che si dimena, si contorce, cammina e sbatte i piedi, si incastra nelle lunghe fasce sulle quali si adagia e contro le quali lotta costantemente, in una sorta di metafora della vita, in cui tempeste dell’animo e tormenti della coscienza non danno tregua alla ricerca di risposte. Kaori si spoglia, si piega, si innalza fino al soffitto, perdendo gravità, in un’illusione ottica di grandissima resa scenica.

Sola, di una solitudine immensa, Kaori ci racconta il dramma umano, a ricordarci che nella duttilità di quello che la vita può offrirci un varco è aperto solo a chi, con tenacia, cerca una via di liberazione. Progetto ardimentoso e non meno simbolico di un altro spettacolo che il 4 e il 5 dicembre è presente al Teatro Vascello, Nowhere? Itinerari dell’agire umano, della compagnia EgriBiancoDanza, per la coreografia di Raphael Bianco e i danzatori Elisa Bertoli, Maela Boltri, Vanessa Franke, Vincenzo Galano, Vincenzo Criniti, Cristian Magurano, Alessandro Romano. In tre atti, Wings, The Master e Nowhere

I ballerini si liberano di ogni difesa contro il mondo e gettano al pubblico ludibrio paura e angoscia. In Wings, tre ballerine leggiadre si librano sul palco agitando un velo bianco che le avvolge e le avvinghia, come avviene per Kaori Ito quando, incastrata sul palco, ad un certo punto trascina con fatica un lungo drappo nero intrecciandolo tra le fasce elastiche che la rinchiudono come in una gabbia. Qui invece il drappo è bianco e la leggerezza fa spazio all’incalzante angoscia. La trappola arriva con The Master, dove quattro uomini si dimenano in uno sforzo eccessivo, si abbandonano alla fatica e una sorta di maestro samurai imperterrito li punisce, li comprime, li estenua. Sul finale, con Nowhere?

Il corpo di ballo si trasforma in un esercito di zombie, una schiera di morti viventi che marciano verso un sole che non esiste. Cadono terrorizzati e tra loro c’è la donna delusa che in una maschera affranta getta il suo sguardo nel vuoto, il matto che balla inconscio dell’imminente tragedia, la madre che urla strenuamente in una corazza di tendini e muscoli che la scarnificano di ogni sembianza umana. Carrellata di immagini umane che si susseguono fino a quando, l’ultimo ballerino, rimane sul palco nero e vuoto e guarda all’orizzonte come a cercare una speranza. E’ questo forse che l’arte vuole imporci? Una via, un tragitto, un percorso alternativo alle risposte che finora non hanno soddisfatto alcuna sete ma, anzi, non hanno fatto altro che alimentare false illusioni. 




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