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Le manifestazioni di piazza in questo periodo stanno aumentando di numero. La gente è stanca di molte cose e ritiene che, scendere in piazza a urlare lo scontento, sia una forma democratica di opposizione a un sistema politico ed economico che indubbiamente mostra la sua parte peggiore, che denota il sempre più scarso interesse nei confronti del motivo fondante degli stessi partiti politici: essere autorizzati e quindi delegati dall’elettorato a dialogare per esso con le istituzioni al fine di trovare soluzioni valide alle necessità prioritarie dei cittadini. Finalmente l’Italia sembra essersi destata, e tutti più o meno hanno di che dissentire nei confronti del mondo politico innanzitutto, ma anche di quello sindacale e imprenditoriale. Perno principale del dissenso civile è sicuramente il tema del lavoro, della precarietà e delle garanzie sempre più assottigliate nei confronti dei lavoratori. Nulla di male ovviamente a dissentire e a scendere in piazza, ma noto da molto tempo un problema, che rende del tutto inefficace questo metodo di dissenso popolare. Credo sia giunto il momento di spiegare una cosa che dovrebbe essere banale: fra reagire e fare la rivoluzione c’è una differenza enorme. Si reagisce quando ci si oppone duramente a un comportamento o a una linea di pensiero. Ecco quindi che si scende in piazza a manifestare la propria contrarietà. Altra cosa è fare la rivoluzione. Lo dice la parola stessa: rivoluzione. Rivoluzionare. Ossia, cambiare, sovvertire. Oggi si pensa di fare la rivoluzione mentre in realtà ci si oppone a qualcosa e sempre più spesso, sterilmente. Noto costantemente come i manifestanti, se intervistati, non sappiano dare un reale contenuto alla rabbia e quindi non riescono poi a chiedere concretamente qualcosa da mettere in atto da parte di chi governa la nazione. Ognuno è libero di far come gli pare, per carità. Ma ritengo del tutto inutile manifestare, scendere in piazza, urlare e scatenare l’inferno se non si hanno le idee ben chiare e proposte concrete da portare avanti al fine di risolvere le istanze che hanno scatenato la manifestazione di turno. Troppa gente si ferma a sterili: “Vogliamo il lavoro” “Basta col precariato” “Meno tasse per tutti” e via dicendo, ma nessuno che avanzi proposte, che suggerisca soluzioni, che sappia argomentare le motivazioni della rabbia. La cosa singolare, è che le stesse sigle sindacali non vanno oltre il sostegno al dissenso civile. Anche i leader dei sindacati nazionali si fermano a sterili richieste generiche, che difatti – la storia contemporanea lo conferma – non portano quasi mai all’ottenimento di ciò per cui si è programmato uno sciopero generale o una manifestazione cittadina. Ricordiamo quindi che siamo liberi di manifestare il nostro sdegno, e questo significa “reagire” ma se davvero vogliamo cambiare il sistema, fare cioè la “rivoluzione”, dobbiamo essere molto addentro alle problematiche che gettano nella crisi una popolazione, trovare per primi eventuali soluzioni e di conseguenza – attraverso esse – iniziare a trattare con le istituzioni, che possono solo in questo modo avere la certezza di governare un popolo pensante e non un gregge di pecore. |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 23/11/2024 01:37:24 |
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