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Giorgio Albertazzi arriva senza rumore, con il fruscio dei suoi passi lenti, il bastone a sorreggerlo, un cappello che gli copre appena gli occhi. Non scalpita, non freme prima di entrare in studio, sta lì solido nella sua immensa statura che nonostante l’età continua a svettare sopra tante teste molto più giovani di lui. Gli anni che non si sente addosso sono solo una scusa, per dire che ancora sa emozionare e stupire e incantare con le parole e lo sguardo. Il teatro iniziato negli anni cinquanta e’ solo uno dei tanti amori della sua vita, coronata da molteplici donne quanti i suoi successi. Lui stesso è ad ammettere che dietro ogni gloria c’e’ stato il volto di una donna, quelle gambe lunghe che, come ama dire “sono il segno dell’esistenza di Dio”. Protagonista nell’ultima edizione di Ballando, e’ stato accompagnato da Elena Coniglio, giovanissima e inebriata dalla grandezza dell’uomo e inaspettatamente del ballerino inesperto.
“Ballare con lui e’ stato emozionante, un’esperienza unica, perché quando sei con un uomo del genere non senti solo i passi, ma la sua anima”. Da passione per le scene a passione per le donne dicevamo, ne ha avute tantissime e da loro si e’ sempre lasciato affascinare. “Mi concedevo sempre, ogni volta che una donna si avvicinava, tentavo la fuga ma non ci riuscivo”. E il teatro? “Il teatro non e’ recitazione, perche’ come dice la parola stessa re-citazione, e’ la ripetizione delle parole di qualcun altro. Invece la parola in quel momento in cui la si pronuncia deve coincidere con il pensiero di quell’istante, altrimenti e’ necrosi e automatismo”.
Nel ’54 recita L’Idiota di Dostoevskyi, un successo ma anche un rischio perché dice, ridendo “mi chiedevo se quelli della Sila lo avrebbero capito”. Poi Gli Spettri di Ibsen e Philo Vance nel 1974, in cui dice di essersi divertito moltissimo, con Virna Lisi, in un esperimento da cinema americano degli anni ’30, senza primi piani. E tra il teatro e la televisione che cosa preferisce? “Il teatro e’ un elemento interiore, non ha a che fare con l’esterno, mentre il cinema e’ pelle, il teatro e’ psiche. La mia affezione rimane comunque la televisione”. Quando
L’Aquila fu sventrata dal terremoto, la sua presenza immensa si fece eco in quelle mura divelte con il III Canto dell’Infermo di Dante e fu un momento straordinario a rivedere il quale si commuove. Nel 1970 e’ Jekill che considera un’opera totale, emblematica, un personaggio che “fa risvegliare il lato e l’animale oscuro dentro ciascuno di noi”. Si e’ poi cimentato con la musica, quando recitò una canzone con E Noi Qui, sempre del 1970 “La mia ambizione e’ trasformare la parola, cerco la musica nella parola, come nella poesia, dove e’ importante il suono e non la parola in se’, ecco, e quel suono va trovato. La gente vuole poesia perché e’ molto piu’ sensibile di quanto sembri”.
Ricordando il suo D’Annunzio del 1996 dice con la solita intensità nella voce che lo contraddistingue “C’e’ bisogno della leggerezza dell’uccello che vola, non della piuma che cade”. E poi si lascia andare alle riflessioni sulla società e sul mondo come e’ oggi, come appare ai suoi occhi stravissuti. “Abbiamo bisogno di ritrovare il sorriso, e’ difficile, ma se riusciamo a sorridere forse il male fugge via. Altrimenti rimaniamo schiacciati, il segreto e’ questo. Sembra che il pianeta sia in rivolta e il modo di cavalcare questo collasso e’ anche dimostrato da come soffrono donne e bambini. L’uomo di fronte alla libertà della donna, come reagisce? Ammazzandola. Invece bisogna credere nelle donne, nella loro forza. Le donne e il sorriso salveranno il mondo”. In un tripudio di applausi si alza senza trepidazione. Solcato dai suoi anni e invaso di forza ed energia che ancora sprizzano dai suoi occhi gentili. All’uscita non indugia, vuole andare a teatro, al Quirino, dove in questi giorni, fino al 9 novembre reciterà Il Mercante di Venezia, Shakespeare, uno dei suoi immensi intramontabili amori. |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 22/11/2024 23:01:28 |
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