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Caso Moro: lo chiamavano dottor Franz. E sa la verita' su via Gradoli

Caso Moro: lo chiamavano dottor Franz. E sa la verita' su via Gradoli
Autore: Inchiesta di Marco Gregoretti
Data: 12/10/2014

Pubblichiamo su gentile concessione dell'autore, il collega Marco Gregoretti sito: http://www.marcogregoretti.it

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Sta per iniziare i lavori la Commissione Moro. Questo mio articolo del 2001/2002 racconta l’incontro con l’agente del Sid a Praga. Lo chiamavano dottor Franz e tutti credevano che fosse un dentista

Marco Gregoretti

Prologo. Cabras, terra di bottarga di muggine e di spiagge colorate, di boschi impenetrabili a picco sul mare e di cuniculi sotterranei scavati dai Fenici. È la Sardegna dell’oristanese: bella e poco uristica. Un sabato di settembre la sala del museo civico si popola di uomini con facce particolari, segnate dall’esperienza, circospette in ogni minima postura. Nascoste da Ray-Ban neri. Molti di questi, sebbene arrivino da diverse parti d’Italia, in passato si sono già incontrati. Si salutano con battute strane, chiamandosi per sigla. Efisio Trincas, il sindaco di Cabras, sta presentando alcuni scrittori locali. Quando pronuncia il titolo “Ultima missione”, l’autore, Antonino Arconte, e la sigla G-71, quelle facce di agenti segreti, di ex agenti segreti, di uomini del controspionaggio italiano, si contraggono come per trattenere un: «G-71, sei tutti noi!». ”Ultima missione” è il libro di memorie dell’agente segreto scovato due anni fa da GQ.

Più di 600 pagine sconvolgenti, con documenti inediti: da Gheddafi a Moro, da Bourghiba a Craxi, da Andreotti a Cossiga, racconta tutte le missioni segrete che lui (soldato della Marina militare, comsubin, gladiatore del super Sid) e altri militari in incognito hanno fatto in giro per il mondo per conto del governo italiano. G71 il suo libro se l’è scritto da solo, si è fatto da solo il progetto grafico, copertina compresa, e l’ha messo on line. Migliaia di copie vendute con il semplice tam-tam. Ammiratori in ogni continente, davvero. Posta elettronica intasata. E uno Stato, quello italiano, che lo perseguita e l’ha “cancellato” perché sa troppo e non vuole stare zitto. Ma questa è un’altra storia…

«Quello è del Sismi…»

Mescolato tra i tanti colleghi ed ex colleghi, vicino al buffet offerto dal comune di Cabras, c’è uno che ha l’aria di essere, oltre G71, il pezzo da novanta. Lo capisci da come tutti “gli spioni” si rivolgono a lui. È sicuramente sardo, ma può sembrare arabo o, perfino, non è uno scherzo, tedesco. Parla il dialetto sardo, si esprime in arabo, conosce un tedesco perfetto, il cecoslovacco, l’inglese, il francese e lo spagnolo. Per gli Stati Uniti è laureato in medicina e fa il dentista. Per l’Italia no: è un abusivo. I modi e il look non sono appariscenti, ma si percepisce il carisma. Avvicinarlo, pur essendo in una sala piccola, è difficile. Capita sempre qualcosa sul più bello: uno che lo chiama, un altro che “involontariamente” lo urta e il bicchiere cade per terra, il cellulare che squilla, ma nessuno risponde.

È lui, poi, che risolve la situazione: «So che le interessa sapere qualcosa sulle nuove Brigate rosse. Che poi sono le vecchie: non è cambiato nulla». Sussurra: «Sono Franz. Il dottor Franz. Per i servizi segreti di mezzo mondo questo nome di battaglia vuol dire qualcosa. Ma qui c’è troppa gente, non mi fido. Ci vediamo domani ad Alghero». Ma chi è il dottor Franz? «Un bravo dentista», dice lui. Ci vuole proprio una gitarella ad Alghero. Seduti intorno al tavolo della cucina, nell’appartamento di un amico che non c’è, Franz sembra più tranquillo. L’inizio del racconto è assai umano: «Sono entrato nei servizi segreti italiani per amore. Per amore di una donna dell’Est». Fino a quel momento Franz era un mozzo che lavorava sulle navi e guadagnava molto bene per i primi anni Settanta: un milione e mezzo al mese. «D’altronde dovevo mantenere una famiglia numerosa (mamma, due fratelli e tre sorelle), che dopo la morte di mio padre non aveva alcun sostegno».

«Ho visto Franceschini in Cecoslovacchia»

Girando per il mondo conosce la figlia di un colonnello della Stasi, che vive in Cecoslovacchia. «Appena rientravo da un viaggio in nave, la raggiungevo al suo Paese. Così ho imparato la sua lingua e soprattutto a muovermi con grande disinvoltura in uno Stato così vicino, ma anche così lontano». Nel 1974 la proposta indecente. «Ero in via Colli della Farnesina, a Roma. Stavo bevendo qualcosa al bar vicino all’ambasciata. Mi avvicinano due tizi che non conoscevo. Che, invece, di me sapevano tutto. Uno era Antonio La Bruna, incaricato dal Sid di ingaggiare personale civile. Non sapevo che fosse la Gladio. Mi chiedono se voglio collaborare. Se voglio entrare nei servizi segreti. “Ci pensi un paio di mesi”, mi dice La Bruna con garbo, “poi mi chiami a questo numero”».

Franz è un freddo. Passionale, ma freddo. Gli offrivano un milione al mese fisso per fare quella che lui riteneva una vacanza: vivere nel Paese della sua donna. «Dopo due mesi ho accettato. La Bruna mi ha convocato a Roma, in via XX settembre, presso l’ufficio decimo. E mi ha affidato i compiti: pedinare i terroristi che dall’Italia andavano in Cecoslovacchia per addestrarsi. L’ho fatto per cinque anni. Anche dopo il rapimento Moro. Ogni volta La Bruna mi chiamava da un telefono pubblico. Mi convocava. Mi segnalava tipo di macchina, targa e luogo di partenza… Neanche mia madre sapeva nulla».

Per esempio. Il furgoncino targato… parte da Padova alle ore… «Io mi mettevo dietro. Lo seguivo, fino a Linz, alla frontiera austriaca con la Cecoslovacchia. Avevo notizia di chi proseguiva il pedinamento dopo di me, per non rischiare di perdere i terroristi al posto di blocco. Oppure li prendevo io a Ceske Budejovice, la prima città in Cecoslovacchia e gli stavo addosso fino a Brno. I campi di addestramento erano a Carlovi Vari, oppure vicino a Brno, a Litomerice, a ovest di Praga. Ufficialmente erano delle terme. Già, perché magari, dopo qualche rapina fatta in Italia, dovevano riposarsi un po’…».

Una bomba! Francesco Cossiga ha appena detto, a proposito delle Brigate rosse, che non esiste alcuna connessione internazionale, che sono un fenomeno soltanto italiano. Ipotesi confermata anche dalle dichiarazioni di Mario Moretti e di Paolo Persichetti, l’ex Br recentemente estradato dalla Francia. Dottor Franz, ma lei è certo di quel che dice? «Io li ho pedinati e fotografati. Anche dopo il rapimento e l’uccisione dell’onorevole Aldo Moro. So da chi compravano le armi e l’esplosivo. Li ho visti entrare nei ristoranti popolari, mangiare senape e würstel. Li ho visti che si beccavano qualche cameriera. Non solo per copertura. Li ho visti parlare con i loro addestratori, tutti agenti del Kgb e con i terroristi della Raf, dell’Eta, e quelli libici. Noi seguivamo i loro. La polizia ceka seguiva noi. Come mai? Direi a Cossiga che ho lavorato per il mio Paese in condizioni difficili: pedinare in Cecoslovacchia un terrorista che ha la copertura del Kgb è quantomeno arduo. Non parlo a vanvera: il materiale scritto e fotografico io l’ho regolarmente spedito in Italia o consegnato ad agenti italiani. Uno, Tano Giacomina, è morto in uno strano incidente. Due mesi fa mi ha cercato Franco Ionta (il magistrato che indaga sul delitto Moro, ndr). Ho parlato con un maresciallo dei Ros, il reparto operativo speciale dei Carabinieri. Ma non è successo nulla».

Incredibile: sono documenti che provano l’esistenza di un collegamento tra colonne delle Br e servizi segreti stranieri. E nessuno fa niente. Nomi? «Niet». Franz, dai. «Guardi che è pericoloso. Perché io ho pedinato e seguito gente che non è mai stata arrestata…». Qualcuno di quelli arrestati può dircelo? «Per esempio Alberto Franceschini. L’ho seguito e l’ho segnalato. Quindi non è vero, come è stato detto, che lui arrivava dalla Germania dell’Est. Lui arrivava da Praga. L’ho visto recentemente, in tv. Com’è cambiato: sembra un professore».

Franz a Praga prende una casa in affitto da un dissidente: tra i suoi compiti c’era anche quello di aiutare gli oppositori o i perseguitati dal regime a scappare in Occidente. Per farlo rischia la vita. «Un giorno La Bruna mi dice: scusa, ma perché non metti su a casa tua uno studio dentistico come attività di copertura? Avevo molti pazienti. Anche la mia donna. Che essendo figlia di un generale della Stasi, mi dava un sacco di notizie… Per tutti diventai il dottor Franz. In realtà ero il responsabile della base di Gladio in Cecoslovacchia. La parola d’ordine era: ho male al dente numero…».

«Ieri si chiamava kgb, oggi Mafia russa»

Questo pezzo di racconto è da shock. Sono le 11 di mattina e Franz si è già fumato mezzo pacchetto di sigarette. Nella sua mente investigativa si susseguono i pensieri. Spegne l’undicesima cicca. E dice secco: «È da un mese e mezzo che hanno ricominciato a minacciarmi. A farmi certi discorsetti via e-mail. Fanno così, “loro”. Poi, bum-bum. E tu sei morto. Come è successo a quei due, D’Antona e Biagi. E Landi, quella specie di hacker che aveva scoperto troppo. Suicidato, ma va’… Io i miei figli voglio vederli crescere in diretta. E non dall’alto dei cieli. Non voglio fare una brutta fine ed essere consolato da un ministro che si dimette. Ora mi sono rotto».

Dietro la facciata aggressiva, strafottente e ironica, adesso si legge tanta paura. «Guardi, io lo so per certo: sia D’Antona che Biagi avevano ricevuto un sacco di minacce. Tutti e due stavano indagando sulla provenienza degli attacchi minatori. Avevano scoperto i mittenti. Sapevano chi sono i terroristi e chi li protegge. Ma sono stati fatti fuori». Franz racconta un fatto davvero inquietante che riguarda il presunto strano suicidio (giovedì 4 aprile 2002) del tecnico informatico Michele Landi. «Poco prima di morire aveva mandato un’e-mail a un mio amico che era nei servizi con me. C’era scritto che aveva scoperto la provenienza delle rivendicazioni dell’omicidio Biagi. Arrivavano dal computer di un ministero».

Ecco perché ha paura il dottor Franz: lui sa tutto quello che sapevano le tre persone uccise. E forse anche molto di più. Sa per esempio nomi e cognomi. Conosce le connessioni internazionali. Su un fatto il nostro uomo è certo: «Dietro ci sono sempre gli stessi. Ieri si chiamava Kgb. Oggi si chiama mafia russa. Il terrorismo non può vivere senza una potenza alle spalle. E il disfacimento dell’Urss ha fatto sì che fosse messo in vendita l’arsenale di una superpotenza» .

“Loro” sarebbero ex agenti del Kgb, che nel frattempo sono diventati miliardari della mafia russa, che partecipano al gioco mondiale della destabilizzazione finanziando e fornendo armi ai terroristi occidentali. «Che agiscono insieme ai terroristi islamici: niente è cambiato. Ho visto documenti esplosivi che lo dimostrano. Come quello che riguarda il mitico Sciacallo. Non ci sono nuove Br, nuova Eta, nuova Ira. Ci sono Br, Eta e Ira. Usano le armi di ieri e l’esplosivo di ieri: i kalashnikov e il Semtex, fabbricato, guarda caso, in Cecoslovacchia. L’unica differenza è che hanno stretto un patto d’acciaio tra loro». Tanta paura? «Sì, ma anche lei deve averne: le ho parlato di fatti che non ho voluto dire neanche ai Ros».




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