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Identikit dell'insegnante precario

Identikit dell'insegnante precario
Autore: Teresa Corrado - Redazione Attualita'
Data: 13/09/2014

Il precariato nella scuola è una malattia che ci portiamo dietro da sempre, come da sempre i governi che si sono succeduti in questi ultimi 30 anni, hanno dichiarato a gran voce di volerlo eliminare, di voler porre fine alla lunga lista di insegnanti che viaggiano ogni volta, di città in città, di scuola in scuola, escludendo anche quell’importanza di continuità che viene affidata all’istruzione. Promesse che in campagna elettorale hanno sempre riscosso successo, sia da destra che da sinistra, nonostante le differenti modalità di cambiamento che sono state proposte per l’eliminazione degli stessi.

I precari, infatti, sono quegli insegnati che hanno l’abilitazione all’insegnamento e che lavorano nella scuola attraverso le supplenze. Si comincia con le supplenze brevi, quelle di qualche giorno (prima si chiamavano supplenti anche per un giorno solo, ora devono essere minimo 5 giorni), per continuare con quelle mensili, fino ad arrivare, per chi da anni fa parte dei precari, alle nomine a tempo determinato per l’intero anno scolastico che si svolge, per loro, in buona parte, da ottobre a giugno.

Il precario è iscritto nelle graduatoria ad esaurimento, le famose GdE, spesso fa parte anche delle graduatorie di Concorso, ai quali ha partecipato non riuscendo a vincerlo e quindi ad inserirsi all’interno delle file dei fortunati che si sono aggiudicati il tanto sperato contratto a tempo indeterminato. Insegnanti che nella loro carriera di precari, continuano ad aggiornarsi, a prendere specializzazioni, anche perché queste possono garantire agli stessi dei punteggi maggiori nelle graduatorie. Sì, perché le famose GdE sono graduatorie aggiornabili generalmente ogni tre anni. In questi casi, alla riapertura delle graduatorie, i precari possono far valere come punteggio aggiunto, i servizi, cioè i giorni di insegnamento a scuola, fino ad un massimo di 12 punti per l’intero anno scolastico, i titoli, cioè i corsi svolti a spese degli stessi precari, come corsi di aggiornamento, o altri successi scolastici, che riescono a garantire ulteriori punteggi, in una lotta, quella precaria del precariato. E scusate il gioco di parole, ma di lotta precaria si parla. Gli insegnanti passano infatti, ogni anno da una scuola all’altra andando ad occupare quei buchi nelle cattedre che spesso non sono nemmeno occupate, ma vuote, cioè di nessuno.

Si arrivano a girare 10 scuole in 10 anni, una l’anno, senza mai ritornare nello stesso plesso, nella stessa cerchia. Anche questo ha un che di favorevole. In dieci anni si arriva ad ottenere l’esperienza diversa di 10 realtà differenti per territorio, personale scolastico e alunni. Poi ci sono i fattori sfavorevoli, il precario  sicuramente non ha mai potuto svolgere a pieno il suo compito. Si, perché ci vuole tempo per conoscere una classe, per amalgamarsi con essa e riuscire ad ottenere risultati e proprio quando ciò accade, l’insegnante deve ricominciare tutto d’accapo da un’altra parte, lasciando nella classe precedente un lavoro a metà. Sono pochi, infatti, quei precari che riescono a lavorare, l’anno successivo, nella stessa classe, sono solo i fortunati che si trovano in cima alla graduatoria, gli altri si accontentano di girare tra i posti messi a disposizione ogni anno.

C’è chi col precariato è andato in pensione. Ripenso a quella professoressa siciliana che aveva vissuto per tutta la vita da precaria, girando per le scuole della sua provincia, sperando di poter firmare un contratto a tempo indeterminato, dopo 40 anni di lavoro e che invece ha visto sparire la sua speranza. Come ripenso alla storia di un’altra insegnate, che ha firmato per un contratto a tempo indeterminato l’anno prima di andare in pensione, anche lei dopo una vita passata a girare per le scuole. Sono notizie che hanno fatto il giro dei giornali, ma che non sono singole, poiché accomunano moltissimi insegnanti di tutta Italia.

Il precario è anche l’insegnante che vive d’angoscia. Non sa in che scuola capiterà l’anno successivo, non deve perdere l’attenzione delle comunicazioni del CSA, altrimenti rischia di restare senza lavoro, senza stipendio e quindi senza sostentamento. Capita anche questo. Ogni anno, infatti, da agosto, si comincia a stare in trepidante attesa, seguendo comunicazioni, disdette perché se non lo si fa da soli, non arriva a nessuno di loro alcun richiamo, e quindi, nessuna comunicazione. A settembre, per non dire ad ottobre, si arriva  già stremati da mille preoccupazioni e dall’ansia.

Di questo gli insegnanti sono consci e poco propensi a vivere una vita che li porti, di anno in anno, a dover scegliere tra lavoro e famiglia, tra lavoro e spese di viaggio. In molti, infatti, spendono buona parte dello stipendio per raggiungere il proprio posto di lavoro, non potendo spostare, ogni anno, a settembre/ottobre, la propria famiglia. Oppure sono costretti a lasciarla per lavorare. Ci sono storie di mamme che lasciano al Sud, dove il lavoro manca e manca davvero, i propri figli ai padri o ai nonni, trasferendosi al nord, oppure viaggiano restando tutto il giorno sui mezzi di locomozione, per poter continuare a lavorare e a guadagnare qualcosa, sperando in un futuro migliore.

Questi sono i precari che spesso vengono bistrattati dagli stessi insegnanti di ruolo, oppure appellati come non volenterosi di lavorare. Sono persone che cercano di portare a scuola la propria professionalità, preparandosi nel tempo che hanno a loro disposizione e spesso sottraendolo alla famiglia, per amore della professione. Di questi precari, insegnanti pieni di doveri e pochi diritti (a loro non sono permesse ferie e permessi, ma non gli vengono nemmeno retribuite quelle spettanti) ne conosco tanti, meno sono quelli che, invece, riscaldano le sedie aspettando pazientemente “san paganino”.


 




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