Meriam Ibrahim, la cristiana ventisettenne condannata a morte lo scorso maggio in Sudan da un tribunale islamico con l’accusa di apostasia, è vittima di una nuova procedura giudiziaria.

Condannata a morte tramite impiccagione le sono state inflitte anche 100 frustate  giustificate dall’aver commesso adulterio, in quanto sposata con Daniel Wani, un sud-sudanese cristiano con cittadinanza americana, matrimonio non riconosciuto valido secondo i precetti della Shaira. La donna durante il processo ha avuto tre giorni di tempo per ritrattare il suo credo religioso ma in aula, dopo un lungo colloquio con un religioso musulmano, la donna aveva affermato: "Sono cristiana e non ho mai commesso apostasia". Meriam è infatti considerata apostata in quanto figlia di padre musulmano.

In carcere da febbraio scorso ha dato alla luce la sua secondogenita Maya il 27 maggio. Secondo quanto riferito dalla stessa Meriam in un’intervista alla CNN le condizioni in cui è avvenuto il parto erano molto difficili. Incatenata non le era possibile aprire le gambe e, sollevata dalle donne come racconta, ha partorito sul tavolo.  “Non so se avrà bisogno di aiuto per camminare” racconta Meriam, bisognerà aspettare qualche tempo ma è certa che alla sua bimba è accaduto qualcosa.

Intanto dopo l’annullamento della sentenza emessa da Abbas Mohammed Al-Khalifa, verdetto che ha visto grande partecipazione internazionale, Amnesty International l’ha definito ripugnante e si sono aggiunti appelli anche da altre ambasciate, ora Meriam è rifugiata presso l’ambasciata statunitense di Khartum, vittima di una nuova procedura giudiziaria. È stata dapprima fermata all’aeroporto dove stava per volare negli Stati Uniti con il marito, per aver presentato un documento del Sud Sudan considerato illegale dalle autorità sudanesi. In attesa di decidere sul da farsi è ora ospite  dell’ambasciata degli Stati Uniti a Khartum in attesa dei documenti necessari all’espatrio.

Scritto da Laura Fedel