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Grande successo al Teatro Quirino per la prima de L’importanza di chiamarsi Ernesto, regia di Geppy Gleijeses e con lo stesso attore napoletano nel ruolo di Jack, Lucia Poli interprete di Lady Bracknell e Marianella Bargilli nella parte maschile di Algernon, i più acclamati al termine di una prova maiuscola. Le repliche sono in cartello fino al 16 marzo. L’ultimo lavoro di Oscar Wilde venne anche considerato la più bella commedia di tutti i tempi, innescando ragionamenti sulla piega che il teatro inglese avrebbe potuto prendere senza lo scandalo sollevato dalla pubblica accusa di “sodomia” nei confronti dell’autore. Emerge più che in altre opere l’espressione mediante paradossi, a partire dal titolo. L’assonanza in inglese fra “Earnest” ed “honest” è altissima, la r non viene quasi pronunciata e anche la costruzione della frase, “The importance of being Earnest (honest)”, lascia maggiore ambiguità rispetto all’italiano, in cui il verbo sarebbe differente (essere/chiamarsi). Ma sull’onestà – almeno iniziale – di Jack ed Algernon non si può certo mettere la mano sul fuoco, entrambi fingevano impegni e fratelli/amici immaginari per fuggire dalla città alla campagna e viceversa. Così come lo scambio di battute ed aforismi viene vissuto in modo naturale, come se non vi fosse trovato alcuno spirito in esse, eludendo così ogni giustificazione all’eccentricità. E anacronistica è la figura di Lady Bracknell, stile vittoriano oramai fuori da un contesto storico pienamente avviato verso il XX secolo. Contraddizioni che si inseguono per tutto lo svolgimento della trama, compreso l’amore/odio verso un’alta società “criticata solo da chi non riesce ad entrare a farne parte” e in cui anche il solo fumare è un’occupazione. Se vogliamo piuttosto edonistica. “Il genio di Oscar Wilde esaltava l’importanza di non fare niente”, spiega il regista Gleijeses, “la pigrizia è l’unico divino frammento dell’esistenza degli dei che il paradiso ha lasciato all’uomo”. Wilde sosteneva che “dovremmo trattare seriamente tutte le cose frivole e con sincera e studiata frivolezza tutte le cose serie della vita”, qui i peccati “si traducono nella smodata ed egoistica passione di Algernon per i tramezzini al cetriolo”, continua Gleijeses nel comunicato, “ma anche quello è un mondo che va alla deriva”. Dopo tredici anni Gleijeses torna ad interpretare L’importanza di chiamarsi Ernesto, la lettura diventa più articolata dopo questo arco di tempo, “attraverso l’implacabile lente deformante si legge tutto il marciume malcelato dell’età vittoriana, quel moralismo omofobo detestato da Wilde e che lo avrebbe rovinato. Il nostro compito era continuare a giocare e far funzionare la macchina. Il martirio di San Sebastiano, scenografia nella casa di Algernon, esempio di estetica trafitta dai dardi del destino, come il destino crudele che trafisse Wilde”. Gleijeses spende parole d’elogio per le sue due protagoniste, Marianella Bargilli/Algernon, “deliziosa e androgina” e soprattutto Lucia Poli, “Lady Bracknell è una delle parti più scintillanti mai scritte per il teatro”, anzi più che parte “un monumento. Ora come tredici anni fa quel monumento è Lucia Poli, credo che forse Wilde l’abbia scritto per lei”. |
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I commenti: | |||
Commento 1) Delusione doppia, o tripla. In primo luogo per l'approccio della regia, lontana dalle prescrizioni di Wilde, che chiedeva agli attori di non essere farseschi né ammantati di realismo, ma solo di sana naturalezza: qui invece Gleijeses adotta un tono da dandy annoiato, sopra le righe, involontariamente "scarpettiano " nel tentativo di essere "british" (penosa l'enfasi sulla corretta pronuncia inglese dei luoghi), travolgendo, ed è la seconda delusione, parte della compagnia (la Bargilli en travesti, su tutti). Si salva, in particolare, la gigantesca Lucia Poli, perfettamente a suo agio nel ruolo della nobildonna schiava delle convenzioni e delle regole dell'alta società e le due ragazze, convincenti in ruoli fatti apposta per esaltare giovanili esaltazioni. La terza delusione viene dal pubblico del "teatrone" romano per eccellenza, il Quirino: strappato a viva forza dal salotto di casa nel quale si stordiscono di fiction pasteggiando e chiosando ad alta voce, venerdì sera si sono date convegno torme cafoneggianti, regine del commento ad alta voce, della battuta anticipata o ripetuta, del telefonino brandito ed usato come arma impropria, insomma tutto il repertorio che ogni frequentatore di questo genere di sale romane ben conosce e che lo spinge, una volta di più, a detestare ed allontanare dal proprio percorso futuro. |
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Commento di: gabpao | Ip:87.18.189.159 | Voto: 5 | Data 15/03/2014 00:29:11 |
Commento 2) Delusione doppia, o tripla. In primo luogo per l'approccio della regia, lontana dalle prescrizioni di Wilde, che chiedeva agli attori di non essere farseschi né ammantati di realismo, ma solo di sana naturalezza: qui invece Gleijeses adotta un tono da dandy annoiato, sopra le righe, involontariamente "scarpettiano " nel tentativo di essere "british" (penosa l'enfasi sulla corretta pronuncia inglese dei luoghi), travolgendo, ed è la seconda delusione, parte della compagnia (la Bargilli en travesti, su tutti). Si salva, in particolare, la gigantesca Lucia Poli, perfettamente a suo agio nel ruolo della nobildonna schiava delle convenzioni e delle regole dell'alta società e le due ragazze, convincenti in ruoli fatti apposta per esaltare giovanili esaltazioni. La terza delusione viene dal pubblico del "teatrone" romano per eccellenza, il Quirino: strappato a viva forza dal salotto di casa nel quale si stordiscono di fiction pasteggiando e chiosando ad alta voce, venerdì sera si sono date convegno torme cafoneggianti, regine del commento ad alta voce, della battuta anticipata o ripetuta, del telefonino brandito ed usato come arma impropria, insomma tutto il repertorio che ogni frequentatore di questo genere di sale romane ben conosce e che lo spinge, una volta di più, a detestare ed allontanare dal proprio percorso futuro. |
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Commento di: gabpao | Ip:87.18.189.159 | Voto: 5 | Data 15/03/2014 00:29:11 |
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