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Distruggi le case di un’intera generazione di un popolo e questo troverà in qualche modo la forza di andare avanti. Distruggi ciò che ha conseguito, le tracce della sua storia e della cultura ed è come se non fosse mai esistito. Su questo assunto di Frank Stokes/George Clooney si basa il film Monuments Men, ultimo lavoro dello stesso Clooney da regista, ispirato alla vera storia dell’omonima divisione dell’esercito americano incaricata di recuperare le opere d’arte trafugate dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale e proteggere quelle rimaste ancora intatte. Sembra quasi di rivivere l’inizio di Ocean’s Eleven nel vedere Clooney e l’inseparabile amico e collega Matt Damon cercare di riunire un team di esperti, solo che anziché della truffa come nella divertente trilogia di Soderbergh, si tratta di professionisti di architettura e storia dell’arte. Quasi tutti un po’ troppo avanti con l’età per rimettersi la divisa, si troveranno a tratti a vivere la guerra da veri soldati, ipotesi anche preventivata ma all’inizio solo come eventualità. Una vita umana può valere il salvataggio di capolavori della pittura e della scultura sopravvissuti a secoli e in quel momento a rischio? La questione pervade la durata della pellicola per trovare la netta risposta nel finale, magari scontata ma non per questo meno valida. A tre anni dalle Idi di Marzo Clooney torna con un film attesissimo anche per la presenza di un cast di tutto rispetto, detto di Matt Damon/James Granger, troviamo John Goodman/Walter Garfield – curiosamente Walter come il veterano del Vietnam nel Grande Lebowski, film cui più di altri Goodman deve il successo – Bill Murray/Richard Campbell (Ghostbusters, Lost in Translation), Cate Blanchett/Claire Simone (Babel, The Aviator, Il Signore degli Anelli) e Jean Dujardin (The Artist e il recentissimo The Wolf of Wall Street). Come spesso nelle grandi produzioni a stelle e strisce la ricostruzione storica lascia strada più che altro ad una storia avvincente, con momenti “epici” in un certo senso sproporzionati a quelle che si immaginano le reali potenzialità da “guerrieri” di direttori di musei ed istituti culturali. L’importante è avere un eroe – o un gruppo di eroi in questo caso – da supportare dalla poltrona del cinema, come vogliono i classici schemi della narrazione. E non sarà una tematica così poco nota come ritiene Clooney, ma se non altro la guerra viene mostrata da un’altra prospettiva che non sia quella squisitamente militare. |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 23/11/2024 00:23:28 |
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