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Auditorium Parco della Musica: piccola grammatica immorale della lingua italiana

Auditorium Parco della Musica: piccola grammatica immorale della lingua italiana
Autore: Gabriele.Santoro
Data: 24/01/2014

Per capire subito l’Andrea De Benedetti pensiero racchiuso nel suo libro “Val la più pratica. Piccola grammatica immorale della lingua italiana, spunto di partenza per la prima conversazione del “Caffè scientifico” nell’ambito del Festival delle Scienze 2014 in corso all’Auditorium fino al 26 gennaio, bisogna partire da un neologismo da lui stesso coniato: “neo-crusc”. Ciò che fa il verso a nuove correnti politiche, dai neo-con ai neo-dem, indica l’uomo medio della strada, che sulla lingua “ha un atteggiamento più rigido degli accademici della crusca”. Un po’ come la “Rai più papista del Papa”, quando fino al 1975 censurava il brano di Guccini “Dio è morto”, che invece veniva regolarmente trasmesso da Radio Vaticana.

Da ex docente di linguistica all’Università di Granada e con un passato di giornalista sportivo, De Benedetti, una volta abbandonato l’insegnamento, si è dedicato allo studio evolutivo – o involutivo, dipende – della grammatica e della sintassi  tra scritto e parlato, seguendo le nuove regole che una volta prese a modello dalla massa cominciano un processo di accettazione sociale. Ma senza condannare aprioristicamente, se pensiamo che anche parole come “roboante” sono deviazioni dall’originale, nel caso “reboante” o l’uso della preposizione “da” dopo il verbo diffidare, che in realtà richiede il “di” a seguito.

Il “che alla Massimiliano” La definizione, che prende il nome da un compagno di scuola di De Benedetti, serve per racchiudere una serie di sconfinamenti del pronome relativo “che”, usato in modo polivalente ed improprio al posto di altri, “fagocitandone le funzioni”. Non sarà così raro sentire frasi come “una conferenza che parla di” o “una scala che non si può salire”. Non suona neanche troppo male, ma sappiamo che per correttezza sarebbe stato meglio usare “in cui” e “su cui”. Nel parlato “progettiamo frasi a breve gittata, ci troviamo ad introdurre un periodo con il ‘che’ e poi cambiamo i piani. O riformuliamo da capo o più facilmente appendiamo il resto della frase al pronome erroneo”.

La soglia dell’accettazione si sposta continuamente, è elastica. Di base potremmo distinguere già fra scritto e parlato, ma poi è l’informalità il fattore di gran lunga più importante. Scrivere in chat con un amico ci consente di “non preoccuparsi della sintassi e dell’ortografia, cosa che non accade se ci si rivolge già ad un pubblico appena più ampio”. Chiaro come invece il linguaggio scientifico sia più sorvegliato.

Il congiuntivo è morto? Gramsci diceva che “non si crede con il congiuntivo”. Il verbo “credere” ha due significati, avere un’opinione o una fede. Nel secondo caso è chiarificatore il modo di esprimersi: dire “credo che Dio esista” sarà anche giusto, ma perde la carica di cieco abbandono che un fedele deve avere, risulta più scettico rispetto a “credo che Dio esiste”. A dispetto di quanto si può pensare “il congiuntivo non è mai stato così bene”, sicuramente meglio del trapassato remoto. “Già il fatto che Lapo Elkann abbia ricevuto il ‘tapiro d’oro’ da Striscia la Notizia per aver sbagliato un congiuntivo è la cartina di tornasole che il pubblico e quindi l’italiano medio ancora avverte l’errore e ci ride sopra”.

La punteggiatura Questo tema è invece rivolto esclusivamente allo scritto. La simbologia nel verbale è espressa dalle pause nell’intonazione, ma l’esplicitazione fonetica può avvenire solo graficamente. Due “patologie ricorrenti” sono l’abuso di puntini sospensivi e di punti esclamativi. “I primi ammiccano all’interlocutore, richiedono una partecipazione in cui il non detto diventa posticcio, è un darsi di gomito in cui si sottintende un capirsi al volo che non approfondisce il lavoro di cooperazione. I secondi danno un eccesso di enfasi tipico della comunicazione moderna, come se dire ‘ciao!’ fosse più caloroso che un semplice ‘ciao’”.

Il Trap L’ortografia è sempre stata sanzionata più della sintassi. “È più facile da monitorare e da correggere, soprattutto finchè il senso arriva”. Riscrivere frasi astruse dal significato oscuro è un lavoro quasi impossibile. Una decina - o anche più - di anni fa il programma Mai dire gol mandava in onda diverse interviste della leggenda degli allenatori Giovanni Trapattoni: dietro un linguaggio apparentemente colto, con termini forbiti come “alienazione, treno culturale, arco nazionale” - se vogliamo anche fuori contesto rispetto al calcio - c’erano “errori di assemblaggio di buoni ingredienti”. Come se le parole “navigassero a vista sul filo di un pensiero che non si riesce a cogliere”. Insomma, se lo scopo della comunicazione è trasmettere un concetto chiaro e questo non accade, magari qualcosa si è sbagliato.

Le regole della grammatica sono “il pragmatismo di una comunità di parlanti”. Prima si cristallizzano, poi tenderanno alla fluidità e quando si arriva al punto in cui “la maggioranza riconosce come buona” quella che in principio era un’aberrazione, ci si adegua, pur se all’inizio “a malincuore. I dizionari riportano come accettabile l’uso di ‘piuttosto che’ come sinonimo di ‘oppure’, ormai comune. Non si possono prescrivere le leggi di 30 o 50 anni fa, ma nemmeno si possono accettare norme anacronistiche non più aderenti alla fotografia della realtà attuale”.

 




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