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Agostino Ferrente e Giovanni Piperno portano alla seconda edizione de “Il mese del documentario” in programma dal 13 gennaio al 22 febbraio, il loro “Le cose belle” girato nella controversa città di Napoli. Il documentario è stato proiettato a Roma, alla Casa del Cinema, all’interno della rassegna sui documentari che si sta svolgendo in contemporanea in tredici città italiane ed europee: Roma, Bologna, Firenze, Milano, Napoli, Nola, Nuoro, Palermo, Torino, Barcellona, Berlino, Londra e Parigi e che decreterà il vincitore della seconda edizione de “Il mese del documentario”. Inoltre la partecipazione alla visione dei documentari in gara è gratuita e allo spettatore viene chiesto anche di esprimere un voto su quello che ha appena visionato. Il documentario “Le cose belle”, la cui prima parte fu girata nel 1999, quando i registi girarono un altro spaccato della vita di Napoli, intitolato “Intervista a mia madre”, racconta dei quattro ragazzi che avevano partecipato a quelle interviste e che adesso, dopo 13 anni, sono cresciuti e si sono scontrati con la realtà. I protagonisti, Enzo della Volpe, Fabio Rippa, Adele Serra, Silvana Sorbetti erano stati ripresi anni prima e attraverso le immagini, avevano espresso i loro sogni, desideri, mostrando la vita della propria famiglia e quello che svolgevano. Ragazzini che aiutavano anche nel lavoro i loro genitori, con famiglie non sempre facili. Uno spaccato della Napoli di un passato non molto lontano, con i suoi problemi. Il loro futuro lo aspettavano con incanto, ma consapevoli, per istinto e per educazione, che la catastrofe, sempre in agguato nella città, può essere un alibi per i napoletani a vivere una vita immutabile. È la vita stessa che gli presenta il futuro, sono i vissuti dei compagni, della famiglia, della strada in cui vivono e si muovono. Li rivediamo dopo tredici anni alle soglie della vita adulta, disincantati dai loro sogni, con quelle problematiche che sono presenti nella città. Eccoli scontrarsi, allora, con il carcere, le famiglie sempre più divise, il lavoro che manca, quella sicurezza economica che non permette una vita serena. Disincantati e delusi, Fabio, Enzo, Adele e Silvana, ormai non sognano più, ma cercano di affrontare la dura realtà della vita, affidandosi a quelle piccole cose, che spesso sono “le cose belle”. In fondo è quello che hanno insegnato loro i genitori: “la felicità non esiste, esistono solo momenti felici e bisogna godere di quelli” è l'insegnamento di uno dei genitori. Attraverso il documentario si vede il mutamento dei quattro protagonisti nelle loro vite, se prima c’erano occhi pieni di speranza adesso permane la rassegnazione e la delusione per una vita che resta immutabile nei luoghi di quella Napoli che, nonostante tutto, cerca di dare speranza, ancora, alle altre generazioni. Colpisce il cambiamento dei ragazzi, ma anche al rinuncia di uno di essi, Enzo, un ragazzo che ha una bella voce e che invece decide di abbandonare la musica e non cantare più. All’interno del documentario non viene spiegato il motivo, ma gli occhi del giovano mostrano una sofferenza e per la scelta che persegue fino alla fine del documentario stesso, quando finalmente lo si sente intonare di nuovo la “sua” canzone. A mutare sono anche i registi, non solo per la maturazione e la crescita professionale e umana, ma anche nello sguardo con cui, attraverso la telecamera, riprendono scene con malinconia in uno sguardo profondo. Il documentario è una sequenza di passato e presente, di speranza e delusione, di sogni e di lotta, alla ricerca di un posto nel mondo, qualcosa che non è rimasta negli occhi dei protagonisti, amareggiati e delusi dalla realtà della propria vita. Una realtà ben descritta, che il documentario affronta, come è giusto che sia, in modo naturale e che ha incontrato anche il favore del pubblico, uscito dalla sala sicuramente con una riflessione maggiore sulla situazione dei giovani napoletani di oggi, non diversa da quella di ieri. |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 22/11/2024 10:26:21 |
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