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Requiem per la Comunicazione

Requiem per la Comunicazione
Autore: Il Direttore - Emilia Urso Anfuso
Data: 09/12/2013

Mi stupisco sempre nel dover constatare come nella storia dell’umanità, si compia spesso un percorso dalle tempistiche un po’ bislacche. Per realizzare e quindi comporre certe cose, spesso è necessario che scorra molto tempo.

Pongo un esempio. Fino a circa 165.000 anni fa, l’Homo Erectus non articolava parole di senso compiuto. Qualche suono gutturale. Ma niente di più. Procedendo nelle fasi dell’evoluzione  l’umanità ha capito come utilizzare uno dei tanti strumenti messi a disposizione dalla casualità della creazione: le corde vocali. Prova oggi, prova domani, in un ragguardevole numero di secoli, l’umanità ha creato una delle più spettacolari opere a sua firma: la struttura vocale che compone parole di senso compiuto.

Una scoperta realizzata dall’Uomo. Dovremmo tutti collettivamente ottenere il Nobel per la Scienza, come legittimi eredi dell’Homo Sapiens, realizzatore della parola di senso compiuto, ma nessuno ci fila. Qualcuno - prima o poi - dovrebbe scrivere a Stoccolma per rivendicare il Nobel. Devo ricordarmene.

Riflettendo però, forse so la ragione per cui a oggi nessun riconoscimento collettivo è stato concesso in tal senso all’umanità. Presumo che, prima di concedere cotanto riconoscimento – a parte rare eccezioni di candidature recenti assai poco affini al concetto intrinseco della prestigiosa premiazione – la Commissione internazionale indaghi, verifichi, controlli. E poi, semmai, decida chi insignire del Nobel.

Ecco: credo che qualcuno della Commissione deve essersi accorto che, il lavoro realizzato in 165.000 anni, è stato distrutto quasi completamente nel giro di una manciatina di anni. Complici Internet, i cellulari, le “tavolette elettroniche” – come qualcuno si ostina a chiamare – e l’iper connessione comunicativa 24 ore al giorno sette giorni su sette, manco fossimo in un grande magazzino al centro di Tokio, l’umanità ha in breve perduta facoltà conquistate in secoli e secoli di tentativi per giungere persino alla perfezione.

Oggi, comprendere ciò che viene detto o scritto, almeno per me che il mezzo secolo l’ho passato da un anno e pretendo ancora di utilizzare quella che si chiama Lingua corrente,  è cosa ardua.

Come accade spesso, anche stavolta l’umanità ha perso un casino di tempo per conquistare qualcosa. Poi, una volta compreso l’utilizzo e le peculiarità della conquista, armeggiato per puro divertimento, tanto da giungere a livelli stratosferici di conoscenza al punto tale da generare miliardi di ore di discorsi e soliloqui, parole dette e persino scritte, e prodotto mirabili creazioni tecnologiche per meglio diffondere le conoscenze acquisite sul tema della Parola, d’un tratto ecco che – senza mostrare nemmeno di accorgersene – l’umanità si inerpica in un’altra avventura, un nuovo percorso, un'altra scoperta epocale come solo l’essere umano è capace di fare. Forse nel tentativo estremo di beccarselo prima o poi, questo Nobel collettivo. Che diamine!

La parola, che non è cosa astratta ma pregna ormai di ricchissimi contenuti, ciò che ci ha resi a un certo punto dissimili dai roditori, dalle mucche, dalle giraffe e i conigli e tutto l’armamentario in viaggio di piacere sull’Arca di Noè, nel giro stretto di un paio di governi nazionali (invero poca cosa in ordine di tempo) ha ceduto il posto…Ai grugniti. Ripercorrendo a ritroso con la velocità della luce, quei 165.000 anni che ci sono stati necessari per capire cosa diamine significasse  “Hoomma thhka kami” (traduzione: “Come ti chiami”) durante i primordiali tentativi di approccio dell’Homo Erectus con la Donna Erectas.

La veloce scalata realizzata dalla ricerca tecnologica nell’ultimo pugnetto di anni,  una volta fornitici i necessari e futuristici ausili (scatolette di plastica piene di altra plastica e di qualche filetto di Rame incollato con il sudore di qualche cinese che lavora a cottimo) e resi quindi tutti immediatamente schiavi e assolutamente ipnotizzati dalla possibilità di perdere in brevissimo tempo altre capacità conquistate a fatica – come scrivere tenendo in mano uno strano oggetto chiamato “penna” che si passa su cose bianche o colorate chiamate “fogli di carta” – ha compiuto un’incredibile passo a ritroso con la macchina del tempo, riportandoci agli albori della storia dell’uomo e dell’evoluzione compiuta faticosamente, e diciamolo: inutilmente.

Oggi che siamo nel Futuro - che quindi è già Passato - ora che tutto ci sembra possibile e inventabile, adesso che avremmo potuto esprimere appieno, attraverso la conquistata capacità di parlare, lo stupore di quanto abbiamo intorno, rispetto a 165.000 anni fa, dove al più si vedeva un albero di fichi ogni tanto e qualche animale di cui non conoscevamo il nome (per ovvie ragioni…) siamo tornati indietro. Sprovvisti della capacità di parlare. E persino scrivere. E di conseguenza, cogitare.

“Iper-comunichiamo” non si sa bene cosa, né perché, né con chi. Ma lo facciamo. Sempre e comunque, senza però emettere un solo suono. La velocità delle dita che battono su un pezzo di plastica è l’unico suono e l’unica virtù che appare rimasta in dote quasi a ognuno. A testa bassa per guardare la scatoletta infame stretta fra le dita, ci perdiamo la visione del cielo e la percezione di quei suoni che tentano invano di riportarci alla vita. Convinto ognuno di aver scoperto in sé capacità ignote all’uomo fino ad ora. Vallo a spiegare a tutti, ora, che eravamo esattamente così 165.000 anni fa. Solo che all’epoca c’erano gli alberi di fichi. Oggi i sindaci delle Città li estirpano dalle strade. Tante volte ci venisse in testa di cogliere un frutto naturale…

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Requiem per la Comunicazione by Emilia Urso Anfuso is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License.
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