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A tre anni dall’entrata in vigore della legge 38 del 2010, che garantisce l’accesso alle cure palliative ed alla terapia del dolore nel rispetto della dignità e dell’autonomia della persona, il bisogno di salute, l’equità, l’appropriatezza, la tutela e la promozione della qualità della vita in ogni fase della malattia, rimangono ancora diverse criticità. Oltre alla maggioranza dei cittadini (il 72%), anche buona parte del mondo di operatori e professionisti sanitari non è a conoscenza delle misure previste dal provvedimento, in più va aggiunta la difficile integrazione tra gli attori che intervengono nel percorso diagnostico-terapeutico, cioè medici di medicina generale (Mmg), ambulatori territoriali di terapia antalgica (spokes) e centri di riferimento per la terapia del dolore (Hub). La Asl Roma E si è fatta promotrice dell’evento del 23 novembre presso il complesso monumentale Santo Spirito in Sassia, occasione per favorire questa integrazione attraverso la costituzione di una rete assistenziale per l’accesso a questo tipo di cure. Per diffondere le informazioni è stata anche realizzata dalla Commissione Nazionale del Ministero della Salute una brochure con i dovuti ragguagli, sta “alle istituzioni”, dal governo centrale scendendo fino al singolo ospedale “far sì che il cittadino sia tutelato”, commenta Marco Spizzichino, membro della Commissione. La legge, “un’eccellenza europea” a giudizio di Spizzichino, “include raccomandazione che solo dopo sono state fatte proprie dall’Ue”, come la classificazione del dolore “come malattia e non come sintomo”. Avere una cornice del genere è importante, “poi sta ai tecnici” far raggiungere un’effettiva efficacia. L’articolo 8 indica la strada della formazione specialistica e post laurea, “abbiamo iniziato ad organizzare dei master anche verso infermieri e psicologi, necessari al riconoscimento della dignità ai medici palliativi”. Sull’assistenza domiciliare, anch’essa inclusa nella norma, ci sono stati miglioramenti, “ma non ancora sufficienti per dare risposte concrete ai pazienti”, continua Spizzichino. Dal 2007 al 2011 il numero di decessi per tumore è sceso da 55 a 49 mila, di cui 1/3 nel reparto ospedaliero di competenza. I dati non sono però omogenei a livello nazionale, con il Lazio sotto la media nelle dipartite nel reparto di medicina generale - il 47% a fronte del 53% italiano. Il consumo di farmaci oppioidi è al disotto del coefficiente europeo, “ma l’incremento diversificato di prodotti più forti è una risposta positiva”. Un aiuto arriva anche dalla Conferenza Stato-Regioni del 25 luglio 2012, che ha portato a stilare un documento utile per il monitoraggio e la valutazione del dolore grazie ad una serie di parametri qualitativi e quantitativi. “Il dolore è utile, fa prendere coscienza dei problemi. Poi cessa la sua finalità e diventa a sua volta un problema a se stante”, interviene Andrea Cambieri, direttore sanitario del Policlinico Gemelli. “Il paziente si fida se l’ospedale dà sicurezza nell’affrontare la gestione del dolore in maniera multidisciplinare”. Cioè considerando non solo la sfera biologica, ma anche quella psicologica e relazionale e l’influenza che la malattia ha sulla vita quotidiana. Uno studio su 1500 intervistati a campione rappresentativo ha dimostrato che la percentuale di chi soffre di dolori cronici in Italia è appena superiore alla media europea, con il 21% contro il 19% continentale. E sono soprattutto le donne ad accusarne, per il 56%. Si calcola che circa 15 milioni convivano con un dolore per 7,7 anni, il 20% di questi addirittura per 20 anni. E gli impatti sono devastanti, già che per il 50% sono un impedimento a svolgere le attività lavorative, con una perdita di produttività del 40%. Le artriti e le osteoartrosi incidono per il 34%, dolori lombari per il 15%. Le prime risposte devono arrivare dal medico proscrittore, che nel 58% dei casi è il medico di famiglia. Ma il feedback non è positivo, solo dal 14% degli utenti considera i trattamenti adeguati, il 68% si ritiene poco soddisfatto, il 14% addirittura per nulla, nonostante dopo la legge 38 il consumo di oppioidi sia salito da 1,4 a 4,8 dosi forti ogni 1000 abitanti. In troppi però hanno difficoltà nell’individuazione dei centri appositi, nel 2011 era il 72%, in un anno si è scesi al 56% grazie anche alle campagne di comunicazione della legge 38. L’importanza di fare rete “Bisogna ragionare su un linguaggio comune così ché tutti i nodi della rete possano comprendere cosa fare”, la considerazione del dott. Nardi. “La realtà regionale va valorizzata, così le professionalità, le storie, le capacità”. Tutti gli operatori dovrebbero essere in grado di controllare il dolore, “non si può demandarlo solo agli spokes e agli hub” che garantiscono la presa in carico delle maggiori disponibilità. Perché tutto funzioni sarebbe opportuno “allineare le competenze con una formazione che individui gli standard diagnostici e terapeutici”. Per un corretto accesso del paziente si partirebbe dal filtro fatto dal medico di base, “non è possibile girare per istituti sovraccarichi o non idonei, con riflessi sul morale” piuttosto pesanti. Ma nonostante la legge 38 venga riconosciuta come particolarmente avanzata, gli effetti reali non sono quelli sperati, “il diritto non è effettivo, ma mancato”, commenta lapidario il Roberto Arcioni, professore del Sant’Andrea. “Il ministero non ha posto dei codici e non è chiaro cosa il direttore sanitario debba trasmettere alle Asl. Ma non c’è nemmeno monitoraggio in questa giovane disciplina che ancora trova difficoltà ad avere una propria dignità”. Poi intervengono la miopia di alcuni amministratori che “si oppongono alla terapia del dolore, sconveniente nel breve periodo” e le difformità territoriali nel pagamento dei rimborsi. “Manca un controllo delle prestazioni che invece è previsto dalla norma stessa, spero non si arrivi al punto di parlare di una legge per far applicare la 38”. |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 22/11/2024 22:44:31 |
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