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“Bisogna essere leggeri come un uccello e non come una piuma”, sosteneva lo scrittore e poeta francese Paul Valéry. Già, perché la seconda finirà inevitabilmente con il subire l’attrazione della gravità a differenza del primo, che si libra in volo. Il tema della leggerezza, contrapposta tanto alla pesantezza quanto alla superficialità, primo argomento del ciclo di “Lezioni americane. Sei proposte per il nuovo millennio” di Italo Calvino - preparate per l’Università di Harvard nel 1985 ma mai realizzate per la morte del suo autore – è stato ripreso nello spettacolo di Giorgio Albertazzi in scena al teatro Ghione dal primo al 17 novembre. Il fardello di Perseo Partendo già dalla letteratura classica, nelle Metamorfosi di Ovidio si ha un primo riscontro di quanto in fondo la leggerezza e la pesantezza possano anche essere due facce della stessa medaglia: dal sangue della Medusa decapitata da Perseo nascerà il cavallo alato Pegaso – cosa se non un simbolo di leggiadria? Anche se a risultare prevalente è l’opposizione tra il carattere tutto sommato “leggero” dell’eroe, pur sottoposto a continue battaglie, e le pietrificazioni della gorgone. Ucciso il nemico, Perseo ne porterà con sé la testa, dato che il potere mortale dello sguardo non si era esaurito: il sacco con l’importante contenuto rappresenta il fardello di cui l’uomo si fa carico nel corso della propria vita. La scienza atomica di Lucrezio Il tema può estendersi anche all’ambito scientifico, l’esempio è il De rerum natura di Lucrezio, che anticipa la parcellizzazione in corpuscoli atomici delle realtà fisiche. Del resto nei secoli la scienza e la tecnologia si sono evolute in questo senso, soprattutto considerando i progressi nell’informatica. Se la prima rivoluzione industriale era caratterizzata dall’imponenza dei macchinari, ora il primato è del software, la parte invisibile, intangibile, che permette il funzionamento dell’hardware. Ma poiché una parte è necessaria all’altra, si torna sempre all’intreccio dicotomico fra leggerezza e pesantezza. Cavalcanti e Dante Basta un solo verso per notare come allievo e maestro possano distaccarsi in proposito. Guido Cavalcanti nel sonetto Biltà di donna scrive “bianca neve scender senza venti”, difficile pensare a qualcosa di più etereo di una neve che si deposita placida non spinta da alcun alito. Dante nel canto XIV dell’Inferno usa lo stesso fenomeno atmosferico ma come termine di paragone, “come di neve in Alpe senza vento”. Quel “come” esclude la presenza materiale della neve, ma a differire è soprattutto la base su cui questa andrà a posarsi, cioè la roccia montuosa, quanto di più duro possa trovarsi. A seguire il percorso di Cavalcanti verranno Cervantes e Shakespeare in una commistione fra melanconia e humor che caratterizza Don Chisciotte quanto Amleto. Poi, cosa resta? Per riprendere le fila del discorso rivolto al nuovo millennio, Calvino ricorreva al racconto di Kafka Il cavaliere del secchio. Nel 1917, in piena guerra, il protagonista esce con un secchio a caccia di carbone, bene praticamente introvabile. Il secchio gli fa da cavallo, sollevandolo dai piani alti fino alle Montagne di Ghiaccio, dove il narratore in prima persona troverà la morte. L’idea dell’evoluzione può aprire altre discussioni. “A cavallo del nostro secchio”, scriveva Calvino, “ci affacceremo al nuovo millennio, senza sperare di trovare nulla di più di quello che saremo capaci di trovarvi”. |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 22/11/2024 23:51:22 |
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