A parole, a statistiche, a dati analitici, a slogan elettorali, a intricati processi di politica europea e internazionale, la Germania appare essere la nazione fra le più fiorenti, civilizzate, socialmente avanzate ed economicamente stabili.
Chi oserebbe o lontanamente sospetterebbe il contrario fra le popolazioni d’Europa per non parlare di quella italiana, succube – ancora una volta – della Grande Germania? Pochi. Nessuno. Boh.
La verità – come diceva un mio vecchio conoscente che vecchio era anche di età e ora è divenuto una buonanima fra le tante – non la sapremo mai. Ma si può cercare di trovarne un po’. Almeno.
Vi elenco una piccola serie di parole. Spread. Crisi. Lavoro. Sviluppo. Economia. Welfare.
Sono su per giù, le parole che compongono la Grande Crisi Economica. In Europa e nel resto del mondo. Ma fermiamoci dentro i confini dell’Europa. E miriamo la nostra attenzione alla Germania e all’Italia.
Prendiamo il mercato del lavoro: notoriamente la Germania messa in confronto con l’Italia – anche perché il confronto Germania/Italia, oltre che sui campi di calcio, è il dato preso in considerazione più spesso in tutti gli studi e analisi europee, chissà perché… - ha una percentuale molto minore di disoccupazione rispetto a noi: il loro attuale 5,5% spara forte sul nostro ben più alto 12,5% (tassi annui - dati aggiornati al 31 Ottobre 2013)
Eppure, malgrado le percentuali mostrino in maniera “lampante” la miglior condizione della Germania rispetto all’Italia, c’è l’inghippo e si chiama Riforma Hartz.
La Riforma del mercato del lavoro realizzata nel 2005 da Peter Hartz, ha in pratica – con qualche anno di ritardo rispetto all’Italia – modificato drasticamente, fino a renderlo precario, il mercato del lavoro in Germania.
In pratica: Hartz sta alla Germania come Treu e Biagi stanno all’Italia. Hanno “riformato” i lavoratori.
Nel senso che l’hanno messi in catene attraverso “geniali” tipologie contrattuali che di fatto hanno creato dapprima il precariato – contratti a tempo determinato, a tempo e basta, senza garanzie di alcun genere – per poi scivolare mollemente – grazie ad altri colpi di genio come l’aumetata pressione fiscale sugli stipendi che farebbe correre inorridito qualsiasi potenziale datore di lavoro davanti alla richiesta di una “assunzione”.
In Italia, l’inizio del precariato lo dobbiamo alla Legge 196/1997 – pacchetto TREU – e alla successiva revisione attraverso la Legge Biagi del 2003 che in pratica “cesellò” la Riforma Treu applicando un obbrobrio con le 46 diverse tipologie contrattuali rese possibili attraverso il DL 276/2003.
Una nazione che accetti di subire 46 tipologie diverse di contratto di lavoro precario, è una nazione che sta confermando la propria schizofrenia. Dal basso. Perché di folli sarà sempre pieno il mondo, ma i matti andrebbero fermati, non sostenuti…
Tornando al tema centrale: fra il 2003 (per l’Italia) e il 2005) per la Germania, in entrambe le nazioni si sono poste le basi per massacrare di fatto il mercato del lavoro, a beneficio delle imprese e a palese distruzione dei cittadini adulti e lavoratori.
Però, guardando i dati statistici, la Germania “sembra” non aver problemi di disoccupazione pur con le stesse atipicità contrattuali. Come mai?
La Germania, contrariamente all’Italia che come vedremo tutto sommato appare più sincera di altre “Super nazioni”, rivela i dati che gli fanno comodo ma non svela l’arcano che sta affliggendo milioni di cittadini tedeschi. Si chiama “assistenza pubblica” come dire ua sorta del nostro scomparso Welfare.
In Germania si sa, esiste quella cosa che si chiama “reddito minimo garantito” che a parole a noi Italiani fa venire lacrime di commozione ma che per chi in Germania vive è divenuto un vero e proprio incubo. Vediamo perché.
L’osannato reddito minimo garantito, pari a circa 600 euro mensili, viene concesso a disoccupati, senza alcun reddito, senza altri mezzi di sussistenza e a persone che potendo dimostrare quindi la totale situazione di indigenza, si impegnino anche a partecipare a quelli che in Germania – come in Francia o altri paesi europei – vengono chiamati “programmi di formazione per la ricerca di un impiego”. E qui casca l’asino.
Il mercato del lavoro in Germania, attualmente è messo più o meno così: se sei fra coloro che sono stati ammessi a percepire il reddito minimo sei anche stato inserito nelle liste di lavoro precario che la Grande Germania ha pensato bene di organizzare in tal modo.
Lavori spot. Di qualsiasi genere. Dalla commessa nel negozio alla badante all’infermiere al meccanico.
Salario – per circa 15 ore di lavoro settimanale – 400 euro. Fissi. Qualsiasi mestiere ti venga chiesto di svolgere. Perché il cittadino non può scegliere. E se si azzarda a dire “No” una volta, esce dal giro e di lavoro non ne vedrà più nemmeno un’ombra.
Tutto ciò cosa crea? Pseudo contratti di lavoro che, se è pur vero che fanno innalzare le maledette statistiche che servono solo da biglietto di visita nei rapporti internazionali d’alto livello, abbassano notevolmente la quota di verità spacciata come verbo assoluto.
Inoltre: a questi cittadini, viene sottratta la “quota stipendio” di 400 euro dal reddito minimo di 600. Se la matematica non è un’opinione quindi, se io fossi cittadina tedesca senza il becco d’un quattrino preferirei starmene a casa a grattarmi la pancia e ad attendere la fine del mese senza dovermi sbattere da un capo all’altro della città a fare inutili mestieri a tempo che non solo non mi garantiscono un futuro ma – peggio che mai – non mi faranno mai realizzare una minima pensione in vecchiaia, ammesso che nel “civilissimo” futuro la parola “pensione” sia ancora applicabile anche a questo criterio oltre agli alberghi familiari a due stelle.
Tirando le fila di questo discorso e volendo ripristinare anche un po’ di buonumore e speranza fra i miei lettori connazionali: siamo certi di volerci sentir peggio e ancora bastonati dalla Grande Germania?
Ricordo un’ultima cosa: la Merkel, grande stratega al pari di tutti i grandi strateghi e statisti della storia germanica, alle precedenti elezioni politiche vinse grazie alla promessa di riformare il mercato del lavoro. Tacque – per ovvie ragioni di elettorato – su cosa intendesse per “riformare il mercato del lavoro”.
Alle recenti elezioni che l’anno rivista vincente, la Merkel è giunta a produrre una delle sue opere magistrali pur di restare appiccicata col sederone – non me ne voglia la Premier – sulla poltrona del comando: ha stretto alleanza persino con la Sinistra, storicamente antagonista ma opportunamente sfruttabile alla bisogna.
Italiani: siete proprio convinti che l’Italia è una nazione fallita, che fa schifo, con le statistiche peggiori al mondo sempre tutte al ribasso? Vorrei ricordare che, statisticamente, mangiamo in Italia un pollo mezzo a testa. Giuro solennemente che a casa mia i polli non entrano da circa un paio di anni. Giuro.
Ai link seguenti:
Testo integrale della Legge 196/1997
Testo integrale della Legge DL 276/2003
Riforma del lavoro Hartz
Non e' vero che la Germania sia migliore dell'Italia by Emilia Urso Anfuso is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported License.
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