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Sei nella sezione Cultura   -> Categoria:  Presentazione Libro
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Presentato il 10 ottobre presso l’Accademia Nazionale di San Luca il volume di Alfredo Passeri “Palazzine romane. Valutazioni economiche e fattibilità del progetto di conservazione”, sorta di manuale ricognitivo di circa 250 palazzine novecentesche nel panorama della capitale per apprezzare il loro valore, le qualità e le possibilità di recupero con interventi di restauro andando oltre la connotazione negativa dovuta alle speculazioni economiche – basti pensare al termine “palazzinaro”, usato in maniera piuttosto dispregiativa. Nate come ibridazione fra villino e fabbricato, il successo delle palazzine è stato decretato dall’utenza. “Sentivo di dover andare cauto sui giudizi”, racconta Passeri, “non tutti i palazzinari sono ignoranti, qualcuno ha fatto moltissimo”. Su tutti Passeri riporta l’esempio del conte Fossadoro, dal cui incontro in carcere con l’architetto Luigi Moretti nel 1945 nacque una collaborazione che porterà alla realizzazione della palazzina della cooperativa Astrea in via Edoardo Jenner e della palazzina del Girasole, in viale Bruno Buozzi, interventi fondamentali nella modernizzazione del tessuto urbano. Non solo Moretti, “quasi tutti gli architetti progettarono palazzine e non se ne vergognavano, le soluzioni stilistiche sono state una risorsa enorme”. A testimoniare la ricercatezza nel gusto anche un episodio del 1933, quando l’architetto Adalberto Libera venne contattato dalla Società Immobiliare Tirrena nonostante fosse arrivato terzo nel bando, “perché era affidabile”. Altri avevano una visione opposta, come Luigi Pellegrin che scelse di eliminare dal proprio curriculum le palazzine realizzate, “considerate opere minori”. Excursus storico L’osservazione comparativa con l’estero porta a riflessioni sulla peculiarità edilizia italiana e romana in particolare. “Fino al Seicento esistevano solo case unifamiliari e palazzi signorili”, ripercorre le tappe storiche Paolo Micalizzi, professore all’Università Roma Tre. È dagli anni Trenta del Settecento che cominciano ad apparire costruzioni assimilabili alle palazzine, “palazzi composti da appartamenti destinati all’affitto, subito malvisti come quello in piazza S. Ignazio, rinominato ‘del guadagno’ con disprezzo”. La svolta vera e propria dopo circa un secolo e mezzo, “fino allora il tessuto edilizio veniva definito prima di essere riempito, da quel punto è la sua tipologia che detta le regole”, arrivando ad una concezione anche di vivibilità degli spazi comuni. Il Regio Decreto del 1920 stabilì in forma temporanea la possibilità di realizzare palazzine in luogo di villini, per conseguire un maggior reddito, “diventerà poi permanente, contribuendo alla creazione di un modello quasi esclusivo, veicolo di sperimentazione e di aggiornamenti, via d’uscita dalla stagione dell’eclettismo che aveva prodotto un complesso quale il Coppedè. Si afferma un’architettura moderna”. Nella ricostruzione post-bellica seguirà però “un appiattimento linguistico con qualche eccezione come Luigi Moretti, ma il panorama è ormai un altro”. “Il libro affronta tutti i temi”, commenta Paolo Portoghesi, architetto e presidente dell’Accademia Nazionale di San Luca, “da quello normativo, all’estetico allo storico, base di un’operazione che responsabilizzi verso il salvataggio di un patrimonio”. I casi di conservazione sono rari, “dovuti all’entusiasmo degli architetti. Bisogna che il ministero dei Beni Culturali renda urgente la prima fase del recupero”. |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 23/11/2024 00:46:10 |
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