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Lezioni di storia all’Auditorium Parco : Roma citta' aperta

Lezioni di storia all’Auditorium Parco : Roma citta' aperta
Autore: Gabriele Santoro - Redazione Cultura
Data: 06/05/2013

 
"Negli ultimi mesi dell'occupazione tedesca, Roma prese l'aspetto di certe metropoli indiane dove solo gli avvoltoi si nutrono a sazietà e non esiste nessun censimento dei vivi e dei morti. Una moltitudine di sbandati e di mendicanti, cacciati dai loro paesi distrutti, bivaccava sui gradini delle chiese e sotto i palazzi del papa; e nei grandi parchi pubblici pascolavano pecore e vacche denutrite, sfuggite alle bombe e alle razzie delle campagne. Nonostante la dichiarazione di città aperta, le truppe tedesche si accampavano intorno all'abitato, correndo le vie consolari col fracasso dei loro carriaggi; e la nube disastrosa dei bombardamenti, che attraversava di continuo tutto il territorio provinciale, calava sulla città un tendone di pestilenza e di terremoto". Con questa citazione dal libro "La storia" di Elsa Morante si è aperta l'ultima lezione di storia del ciclo "Stranieri tra noi", dal titolo "Roma città aperta agli stranieri armati", tenuta il 5 maggio da Emilio Gentile, storico di fama internazionale ed uno dei maggiori esperti del periodo fascista.
 
5 maggio, data che ricorre: in quel giorno del 1936 si toccò l'apice di potere della dittatura fascista. In una piazza Venezia mai così gremita, Mussolini annunciò la conquista dell'Etiopia. Dopo quindici secoli Roma tornò ad essere una capitale imperiale, sia pur per soli cinque anni. Proprio il 5 maggio del 1941 il Negus fece rientro ad Addis Abeba con le truppe britanniche. E oltre ai domini coloniali, di lì a poco si sarebbe sfaldato anche lo Stato italiano.
 
"Fra tutte le invasioni della storia millenaria, nessuna è paragonabile a quella di nove mesi da parte dei tedeschi, dall'11 settembre 1943 al 4 giugno 1944", spiega Emilio Gentile. "Non si era mai avuta una tale concentrazione di terrore, massacri" e, a fare da contraltare, "speranze ed atti di eroismo". 1943 anno terribile: come fece notare un giornalista dell'epoca, pur dichiarandosi non superstizioso, il primo e l'ultimo giorno furono due venerdì e sommando le cifre 1,9,4 e 3 si ottiene 17, la disgrazia. Ma il 1944 sarebbe stato anche peggio.
 
"Uno Stato, l'Italia, diviso in due e senza capitale, una capitale senza Stato", la situazione di Roma si presentava così, senza nemmeno più elettricità e quindi mezzi di trasporto e di comunicazione. "Anche le biciclette erano vietate, perché usate dai partigiani per lanciare ordigni". Il razionamento dei viveri garantiva ogni giorno appena 100 grammi di pane, "preparato con gli scarti". L'ultima presenza di un'autorità, non temporale ma quasi, quella del pontefice. Pur fra gli interrogativi se il Vaticano avrebbe potuto contrastare o meno l'invasione, nei locali extraterritoriali di proprietà ecclesiastica venne concesso rifugio a circa 40 mila perseguitati, di qualunque colore politico.
 
La speranza si riaccese il 22 gennaio 1944, con lo sbarco ad Anzio del VI corpo della V armata anglo-americana, nel tentativo di aggirare la Linea Gustav che tagliava in due la nostra penisola. "L'euforia per la liberazione ritenuta ormai prossima fece abbandonare ogni cautela, gli esponenti della resistenza avrebbero voluto un'insurrezione ancor prima dell'arrivo degli Alleati, ma non accadde". Lo stallo durò a lungo, per la superiorità numerica dei tedeschi, che rafforzarono anche le forze di polizia, le SS, la Gestapo, bande di fascisti con il ruolo predominante di Pietro Koch, la questura di Caruso, "gente fatta venire dal nord, dalla Repubblica Sociale".
 
Dopo la distruzione dell'abbazia di Montecassino da parte degli anglo-americani, il regime cercò di sfruttare l'accadimento con una campagna di propaganda contro i cosiddetti "liberatori". Spuntarono manifesti con uomini di colore dall'espressione malvagia, intenti solo a distruggere e stuprare, con slogan come "potrebbe essere vostra madre o vostra sorella". In più si esaltava la Rsi, paragonata alla Repubblica Romana di Mazzini. Gli esiti furono contrastanti, dagli atti della polizia risultava una coscienza dei romani delle colpe nazi-fasciste nel portare ai bombardamenti sistematici degli Alleati. Al contrario una giornalista svizzera, sul suo diario, annotava una delusione nei loro confronti, "assassini di donne e bambini", e una crescita dell'ammirazione per i tedeschi. A conferma, da un documento dell'ambasciatore britannico presso la Santa Sede si leggeva che "il raid è stata una netta perdita per noi, un netto guadagno per i tedeschi".
 
Dopo l'attentato di via Rasella, costato la vita per rappresaglia a 325 civili, si sparse anche la voce che se i partigiani responsabili si fossero consegnati, sarebbero stati evitati tutti quei morti. Niente di più falso, visto che il feldmaresciallo Kesselring, comandante in capo delle forze di occupazione, una volta sotto processo, smentì questa ipotesi, anzi ammise che "l'obiettivo era far sparire più gente possibile e mettere tutto a tacere".
 
I mesi di combattimenti fecero divenire la Capitale un'ossessione per gli anglo-americani guidati dal generale Clark. Un ufficiale dichiarò che aveva sempre desiderato visitare Roma, ma che non si sarebbe aspettato di vederla dal sedile di una Jeep. Un altro, guardando il Colosseo, pensò che fosse stato bombardato anche quello, ma più di altre, la testimonianza di un soldato rifletteva un diffuso stato d'animo, "ci aggiriamo per Roma come fantasmi, senza entusiasmo, non c'è gioia. Sembriamo condannati a morte la cui esecuzione è stata rimandata".
 
Riacquistata la libertà, bisognava ricostruire la dignità, "Roma era un unico mercato dove si vendeva di tutto", continua Gentile, "depravata, corrotta, la prostituzione era l'unico momento di convivenza con gli anglo-americani, altrimenti disprezzati". Ma c'era anche voglia di ripartire, l'esempio è il film drammatico del 1945 di Mario Mattoli "La vita ricomincia". Charles Poletti, capo degli Affari civili della VII armata americana, pensò ad un programma radiofonico, sullo stile del presidente Roosevelt, per rieducare la popolazione alla democrazia. Nel frattempo rifiorì la stampa, con la nascita di una settantina di periodici, "tutti volevano raccontare la propria esperienza".
 

"L'Italia è formalmente vinta, ma non si sente tale", il pensiero di Benedetto Croce, "ed ha il diritto di stare tra i vincitori". Più realista Nenni, che parlò di un senso di "profonda amarezza, la libertà ricevuta sa di sale. L'Italia è stata suolo di un cozzo fra due mondi e non si può sfuggire ad un sentimento di umiliazione nazionale. Riedificare il paese non varrebbe senza una bonifica morale, senza armonia fra pensiero ed azione. Bisogna guarire dall'adorazione per l'io demiurgico. Va riconquistata la dignità, senza cui la libertà non è diversa da un'altra servitù".




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