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Quando si parla di Economia di un Paese, si parla sempre degli andamenti della Borsa, si pensa alle fluttuazioni del Mercato, o all'import/export, alla crisi più o meno fittizia, al Pil, allo Spread, al vattelapesca.
Ma l'Economia di un Paese è anche più semplice da percepire, pur se intricata, se si pensa – molto basilarmente – che ci sono, da un lato i cittadini che compongono la maggioranza del Paese, dall'altra, quei componenti che, pur facendo parte del Paese, non ne seguono regole, andamenti e criticità.
Partendo da questo presupposto, come è mai possibile parlare di Economia nazionale, se esiste all'interno della nostra nazione una suddivisione così drastica e netta fra cittadini della stessa nazionalità e che convivono nello stesso periodo storico?
Le spartizioni sociali nel nostro paese, sono amplificate da più fattori. Innanzitutto, facendo un passo indietro, la nostra economia per decenni ci è stata proposta come fiorente quando fiorente non era. A metà degli anni novanta, fu fatta trapelare una notizia che aprì le cataratte di una economia che basava le sue fondamenta sulla menzogna da tempo immemore. I famosi bilanci di Stato erano stati taroccati o comunque svelati sempre con benefici odi inventario.
Molti ricorderanno ancora il Governo Amato ed i primi tentativi di metter mano pesantemente nelle tasche degli italiani per rimettere i conti in pari. Conti poi, quelli del nostro Stato, che non potranno mai esser messi in pari, dal momento che le entrate sono e saranno sempre necessariamente, molto più basse delle abnormi uscite. A cominciare - appunto - dai costi esagerati della macchina di Stato e della macchina politica, che non accennano minimamente a voler essere ridotti.
Ma erano anni di "florida" economia, o meglio: gli italiani, veterani del risparmio a tutti i costi, ex contadini con le scarpe grosse ed il cervello fino, sapevano di poter contare sui "tesoretti" spesso occultati persino ai familiari. Si sono scoperte situazioni in cui brave massaie accantonavano da anni – tenendo all'oscuro tutta la famiglia – somme di tutto rispetto. Era l'Italia del "non c'è una lira" ma era risaputo essere più una nota di colore folkloristico che altro.
Inoltre, inutile prenderci in giro: l'America è sempre stata in Italia. Almeno per ciò che questa frase intende. In Italia, è sempre stato possibile aggirare le regole, reinterpretarle, far finta di niente, occultare tesori, esportarli... E dai gradini più bassi della scala sociale, fin su alla cima della piramide, questo andazzo ha in qualche modo consentito un metodo aberrante divenuto parte del tessuto nazionale. E' uno dei motivi per cui, ancora oggi, nonostante gli scandali ormai quotidiani, sciorinati su ogni cronaca nazionale ed internazionale, l'italiano medio più di tanto non reagisce. Si "indigna" perchè è ormai di moda. Ma non reagisce. Finisce tutto lì.
Perchè tutti, ma proprio tutti, abbiamo qualche piccolo o grande scheletro nell'armadio.
Ma ora, è il tempo dei resoconti. E a far di conto non sono più le brave massaie (a trovarne una poi...) ma le agenzie di rating, i governi più o meno tecnici, i partiti, le lobby e tutte quelle organizzazioni che ormai tengono in mano e gestiscono gli equilibri interni ed esterni del nostro Paese.
Se "loro" decidono che siamo in crisi, non ci sono altre vie. Siamo in crisi. E se anche la crisi fosse una peudo crisi armata per far si che pochi possano speculare ancor più traendo enormi benefici, poco importa. Quanti cittadini italiani sono davvero in grado di comprendere un accidenti di Economia, Finanza e compagnia briscola?
Ecco perchè, tornando all'inzio di questa riflessione, è bene fare un bagno di realtà almeno ogni tanto, e guardare ai conti della famosa serva.
L'Italia per quanto riguarda gli stipendi, è messa male in due sensi, che poi ridivengono uno. Da un lato gli stipendi dei lavoratori che stando alle ultime stime di Eurostat contenute nel rapporto "Labour market Statistics" sono addirittura al di sotto dei colleghi spagnoli. Si, è vero: in Spagna la parola "lavoro" sta perdendo significato purtroppo. Ma sta di fatto che, attualmente a parità di impiego, un italiano tira veramente a campare rispetto a chi vive peraltro in una situazione di palese criticità economica.
L'altro punto, è quello di coloro che, stante la crisi nazionale e non solo, stante l'assoluta urgenza di "rigore" – parola abusta sempre quando qualcuno vuole imporre qualcosa – stante tutto ciò che sembra stia facendo crollare tutta l'impalcatura del paese Italia, continua a percepire redditi da pseudo lavoro dipendente (da chi?) che schizzano – questi si – a livelli che fanno impallidire anche le nazioni meno pressate dalla crisi globale.
E c'è di più: nella sommaria identificazione dei cittadini "lavoratori" c'è sempre una nota che appare veramente "bizzarra". In Italia e nel resto del mondo occidentale, si fa una ulteriore differenziazione fra i soliti "noi" e "loro". La massa, è fatta anche di lavoratori. Che siano precari o meno poco importa. Ma creano una sorta di settore umano. "Loro" – che in effetti non sono collocabili in nulla che possa essere anche solo lontanamente accostabile alla percezione del significato della parola lavoro, non sono lavoratori. Ma percepiscono milioni di euro di stipendio. In un periodo ove si chiede il sangue a tutti, mentre i soliti noti non si sa bene cosa facciano e cosa intrallazino. E difatti, fateci caso, quando parlano dei "lavoratori" – quelli veri – sono solitamente scostati, distaccati, non facenti parte della categoria.
A questo punto: è possibile prima o poi, stabilire con netta precisione ruoli, modi, gestioni, reinterpretazioni e non per ultimo, una diversa presa in carico delle reali necessità del paese e di una più equa ricollocazione delle risorse economiche del nostro paese?
La speranza si sa, è l'ultima a morire. Ma io dico anche che, se non ci si mette una buona dose di volontà ed azione, da parte di tutta la collettività, moriremo disperati. Come chi di speranza vive. |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 21/11/2024 16:25:38 |
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