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Indignati italiani: intervista a Daniele Monteleone del Movimento 15 Ottobre

Indignati italiani: intervista a Daniele Monteleone del Movimento 15 Ottobre
Autore: Fabrizio Federici - Redazione Cultura
Data: 17/10/2011

 
Dopo la grande manifestazione nazionale di  Roma del 15 ottobre, purtroppo rovinata dalla guerriglia scatenata – come a Genova nel luglio 2001 -  da una minoranza di teppisti  e personaggi  a dir poco ambigui ( non più di duecento, infiltratisi in un corteo nonviolento forte, secondo i dati ufficiali, di più di 200.000 persone ), il movimento degli "Indignados" italiani riflette sul "Che fare?". Mentre arrivano anche critiche agli "Indignados": che alcuni accusano d'aver involontariamente offerto pretesti agli estremisti, per non aver discusso prima il programma della manifestazione con tutte le componenti del movimento di protesta.  D'un bilancio del 15 ottobre e delle prossime iniziative degli "Indignati" parliamo con Daniele Monteleone, giovane appartenente  al coordinamento nazionale del movimento.
 
D. Daniele, molto probabilmente c'è qualcuno, dietro le quinte ( da cercare in tutte le direzioni, non solo dell'area antagonista più arrabbiata, dai sedicenti "Black bloc" ai Centri sociali più estremisti) che sabato, qui a Roma, voleva un'altra Genova 2001, con un altro morto. Prevedevate in qualche modo gli scontri di sabato pomeriggio? E comunque, come pensate d'affrontare il problema degli estremisti nelle prossime manifestazioni?
 
R. Avevamo avuto sentore, sabato, che ci potevano essere tafferugli organizzati dai violenti, ma pensavamo che sarebbero esplosi molto prima di piazza S.Giovanni, all'altezza del Colosseo, e comunque non con questa gravità. Non sappiamo se questi teppisti son venuti di  iniziativa propria o di registi occulti: voglio far capire però che un gruppo di estremisti di questo genere, armati e incappucciati,  è davvero difficile da controllare. D'altra parte, il servizio d'ordine, in queste grandi manifestazioni, deve farlo soprattutto la polizia: che, in complesso, sabato ha agito in modo abbastanza responsabile e collaborativo. Noi, però, in futuro non tolleremo più infiltrazioni di individui di questo genere: che, se si ripresenteranno, provvederemo regolarmente a fotografare e denunciare.         
 
D. Ma come funziona questo vostro movimento senza capi,  ispirato a quello spagnolo degli "Indignados" del 2010- 2011,  e, per altri versi, a quello greco dal 2008 in poi e alla grande "Primavera araba"?
 
R. Tutti questi  movimenti nazionali, spagnolo, greco, italiano ( il paragone con la primavera araba si può fare solo in parte, perché lì è centrale la spinta alla  democratizzazione di regimi dittatoriali ) , in realtà sono cellule d'un unico grande organismo. Che un po' in tutto il mondo, dall' Europa agli USA, da Israele a Taiwan, dal Giappone al Canada, in più di 950 città ( con incidenti di questo genere solo a Roma),  sabato s'è mobilitato contro un sistema economico ormai degenerato, che non può che  peggiorare sempre più le condizioni di vita della gente. Il nostro è un movimento senza leader, perché ognuno di noi, in qualche modo, lo è: e procediamo con votazioni democratiche in assemblea, dove le decisioni quasi sempre vengono prese all'unanimità.
 
D. Non mi dirai che non avete mai dei contrasti interni, delle visioni diverse dei problemi…
 
R. Se questo accade, tutto viene demandato ad apposite commissioni, che esaminano i problemi per poi  riferire sempre all'assemblea. Il nostro è un movimento  di democrazia diretta:  direttamente ispirato a quella che è stata la "Rivoluzione gentile" dell' Islanda ( dove il popolo, nel 2010-2011, s'è rifiutato d'accollarsi i debiti contratti dalle banche, fra oscuri maneggi, con investitori stranieri ), e agli esempi di democrazia diretta di paesi come la Svizzera. Ma io guardo anche più indietro: ad Atene e alle altre pòleis della Grecia antica. 
 
D. A proposito di Grecia: è incredibile che oggi, in una crisi economica globale, siano quei pochi ricchi esistenti in Grecia, secondo dati ufficiali, a spendere ogni anno, in percentuale, molto più dei loro colleghi degli altri Paesi meno in difficoltà… 
 
R. In realtà è uno degli indicatori di quella che oggi definirei , per certi versi, la "terzomondializzazione" dell'economia delle stesse democrazie industriali: nel senso della graduale concentrazione della ricchezza nelle mani di elites sempre più ristrette. Per non guardar che all' Italia, oggi, anzitutto, il 56% dei nostri bambini vive sotto la soglia di povertà ( vedi anche il "Dossier povertà" della Caritas presentato il 17 ottobre alla stampa, N.d.R.): mentre pochi "feudatari" s'arricchiscono sempre più ( guardiamo cos'è successo,  ad esempio, con lo scandalo delle privatizzazioni, dove il patrimonio pubblico è stato letteralmente regalato a un elite di superfortunati).Bisogna fare finalmente qualcosa di concreto contro tutto questo, in sede nazionale e contro i giochi perversi della finanza internazionale: e se questa classe politica, ormai totalmente corrotta e incapace, non vuole andare in pensione, ce la manderemo noi.
 
D. Per certi aspetti, il vostro movimento ricorda quello "No global", o sbaglio?
 
R. Non siamo dei "No global": la globalizzazione dell'economia non è il primo problema dell'oggi. Oggi la situazione in realtà è peggiorata, qui sui tratta di lottare per i bisogni essenziali della gente, per una democrazia reale.



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