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Innamorarsi è la cosa più naturale, è un sentimento così potente da non poter esser sottoposto al vaglio della volontà. Inizia la fiaba, il primo sorriso, il gioco di sguardi che sottendono grandi promesse. Finalmente ci si conosce, ci si incontra, e la magia ha inizio. Passano mesi, a volte anni, e alla fine il sogno d’amore si corona col “per sempre felici e contenti” che ogni donna spera di raggiungere. Quanta perfezione in quell’uomo che ruba il cuore e i sensi, convincendo sé stessi e gli altri che la scelta non potrebbe essere diversa. Di solito la violenza, che sia fisica o psicologica, non esplode subito, è piuttosto qualcosa che cova nel tempo, come un cancro che infetta il corpo con lentezza e silenzio, fino all’esplosione senza speranza di salvezza. Non serve una scusa specifica per innescare i meccanismi di svalutazione e rabbia nei confronti della compagna. La colpa di ogni cosa è della donna, vista come il male assoluto, come colei che non è mai abbastanza bella, abbastanza donna, abbastanza madre o, per contro, è troppo in alto per essere raggiunta alimentando nel carnefice sensi di inferiorità che divengono armi letali nel rapporto. Tutto ha inizio con la squalifica lenta e graduale, con i silenzi, le liti senza spiegazioni, le assenze prolungate da casa, i rapporti intimi assenti o addirittura, in alcuni casi, pretesi come se a fianco non si avesse la propria donna ma una prostituta, o peggio, un oggetto da violare. I divieti divengono ogni giorno più marcati, fino a segregare completamente la donna in casa per impedirle di chiedere aiuto, finchè la sua volontà non sarà annientata completamente, tanto da non aver più forza per ribellarsi. Il triste clichè continua con una proiezione spietata delle frustrazioni sulla vittima, perché di vittima designata ormai si tratta, depauperata anche dell’aggettivo di donna. Non è necessario colpirla fisicamente per renderla vittima e ucciderla. La violenza psicologica, è una morte lenta, graduale, e la vittima subisce per anni abusi da un compagno disturbato che ha probabilmente a sua volta subito, quando era bambino, l’assenza o i maltrattamenti di figure genitoriali non adeguatamente competenti, che hanno fatto di quel bambino un mostro senza scrupoli. Come ampiamente documentato da grandi autori della psicologia, della psicanalisi e della pedagogia, il disagio di qualsiasi natura, non è insito nell’uomo, ma trae le sue origini da deprivazioni dell’infanzia. Noto è, infatti, che la mancanza di accudimento e di figure genitoriali stabili, rende l’individuo insicuro o violento. La violenza che egli sperimenta su se stesso, verrà quasi sempre esperita come modus vivendi in età adulta all’interno del nucleo familiare costituito. La deprivazione affettiva formerà un individuo arido e manipolatore, nella maggior parte dei casi narcisista e incapace di provare empatia e sentimenti veri, violento fisicamente e verbalmente. Non esiste per questi soggetti modo diverso per esprimere se stessi. Per contro, una madre castrante che impedisce il naturale distacco dei figli e la progressiva maturazione psichica, formerà adulti incapaci di vedere nella compagna ciò che davvero è, trasformandola in un ulteriore oggetto sul quale scaricare l’odio provato per la figura di riferimento, che ha impedito, con fini ricatti e altrettanto pungenti attribuzioni di colpe, la maturazione e la realizzazione della propria personalità in modo socialmente accettabile e psichicamente stabile. La prima cosa che ci si chiede è: come ha inizio tutto questo? E come si riconosce un narcisista maligno o un maltrattante psicologico? I segni sono tanti e spesso accompagnati da disturbi di personalità o sindromi complesse, quali ad esempio la Sindrome Bipolare, Sindrome Borderline, il Disturbo Narcisistico di Personalità, il Disturbo Istrionico, Disturbi d’ansia e Sindromi Depressive di diversa gravità, a volte accompagnati da abuso di alcol e droghe. La svalutazione inizia con la colpevolizzazione della vittima, facendola sentire sbagliata e rendendola insicura perfino della sua integrità mentale, con dubbi instillati quotidianamente e poco per volta per coprire malefatte e tradimenti. Nulla soddisfa il carnefice più del senso di frustrazione e impotenza che ingenera nella compagna coi suoi comportamenti, attingendo sempre più dalle risorse psichiche della stessa per soddisfare il suo ego e prosciugarla del tutto delle sue energie vitali, per poi, alle volte, buttarla via, cagionandone finanche il suicidio. Perché è questo ciò che fa chi abusa psicologicamente della donna. Si nutre della sua energia, la isola gradualmente da tutti, fondando in essa la convinzione che nessuno è indispensabile nel loro rapporto e, qualora la persuasione non funzionasse, l’alternativa è la coercizione che sconfina nella violenza fisica. Nessuno deve stare a contatto con la vittima, nessuno ha il diritto di interrompere il circolo vizioso che accresce il suo potere. Lei non deve essere salvata. Un'altra arma di cui il carnefice si serve è il maltrattamento sul piano economico. Vietare alla donna di lavorare costituisce un potentissimo mezzo col quale assicurarsi la sudditanza non solo psichica ma anche materiale della vittima. Da dove mai attingerà il coraggio per andare via? Come potrà mantenere se stessa e i propri figli non avendo mezzi di sussistenza e manipolata al punto da credere di non essere capace in nulla? Il distacco dal carnefice è la cosa paradossalmente più difficile da mettere in atto. Le violenze durano anni, e in quegli anni, ormai, gli effetti della manipolazione sono talmente devastanti da aver trasformato una donna piena di vita, di stima in se stessa e capace di provvedere al suo sostentamento, in una larva dipendente dal suo carnefice, che sacrifica fino all’ultima goccia della sua vita pur di salvare qualcosa che in realtà non esiste. Ci sono donne che a volte si salvano, ma tra queste ci sono anche le donne che finiscono sui necrologi perché il loro grido di aiuto non è stato ascoltato. La violenza domestica, che sia fisica o psicologica, può essere fermata solo non permettendo mai la propria sottomissione. Mai perdonare uno schiaffo, mai permettere per la seconda volta di farsi trattare come un oggetto, mai lasciar credere di essere disposti a tollerare tutto per un amore che amore non è. Loro non conoscono la pietà, non si fermeranno mai se il distacco non è immediato, deciso e definitivo. Prima di arrivare alle denunce, prima di arrivare al pronto soccorso, prima di essere pestate fino a diventare irriconoscibili e prima che sia troppo tardi, bisogna andare via. Mai concedere una seconda possibilità. I fiori devono essere un gesto d’amore e non costituire l’ornamento per una tomba.
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 22/11/2024 22:58:40 |
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