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Il processo ai tempi del Coronavirus

Il processo ai tempi del Coronavirus
Autore: Redazione Attualita'
Data: 03/03/2020

Nel verbale di arresto era «in attesa di esito tampone coronavirus». Nei corridoi del tribunale, il ragionamento era: se dall'ospedale hanno permesso di portare qui l'arrestato, significa che il test è negativo. In realtà non c'è stato nessun tampone. Senza sintomi né segnali sospetti, e con una radiografia, per i medici non serviva.

È il processo ai tempi del coronavirus con il dubbio che sparge il disagio, se non proprio l'allarme. Si chiedono chiarimenti e la carta (medica) dirimente. Tutto perché l'arrestato, per droga, in caserma dice che soffre di enfisema polmonare e gli manca il respiro. I carabinieri chiamano il 118 e lo accompagnano all'ospedale di Treviglio, dove lui rivela di essere stato in un bar di Casalpusterlengo, uno dei comuni della zona rossa, a inizio febbraio. Diventa un possibile caso sanitario, ma la visita lo esclude e la moglie dirà ai carabinieri che dal Lodigiano erano solo passati in automobile. Finisce lì per l'ospedale e per i militari. L'uomo rimane ai domiciliari, a Casirate (ha due bambini), in attesa di quella che sembra una direttissima tra tante. Ma sabato mattina, in tribunale, è un'altra storia finché non viene chiarito l'antefatto. Nel fascicolo ci sono i risultati del tampone? Certo. Invece no.

L'avvocato Marco De Giorgio, di Milano, è arrivato da tempo. Il suo assistito scortato dai carabinieri, anche. Ma è meglio far venire i colleghi del Radiomobile di Treviglio che hanno effettuato l'arresto, la sera prima, perché sanno meglio com'è andata. Dopo una direttissima, il giudice Alberto Longobardi ne celebra una seconda. Alla terza, il brigadiere svela l'arcano.

Ma nemmeno ora diventa un normale processo. Per scrupolo, all'imputato viene fatta indossare la mascherina (senza filtro). M.C., operaio di 44 anni, con precedenti, in cura per vecchi problemi di droga (da qui le iniziali), mezzo grammo di hashish, 12 di marijuana e 20 euro falsi in casa, nega. Dice che lo straniero visto dai carabinieri uscire da casa sua, e che riferisce di rifornirsi da lui, è il suo spacciatore. Ha l'obbligo di firma, la sentenza il 23 marzo. Chi lo spiega all'imputato precedente? È uscito dall'aula dicendo: «Che metta o no la mascherina in aula, noi eravamo con lui al piano di sotto». Nelle celle al piano interrato.




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