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Andrea Barbacane racconta suo zio, Lucio Battisti

Andrea Barbacane racconta suo zio, Lucio Battisti
Autore: Intervista esclusiva di Silvia Denti
Data: 29/11/2019

Andrea Barbacane è il primo (e unico nipote maschio) di Lucio Battisti. Raggiunta l’età matura, Andrea decide di assemblare dei ricordi di quando era bambino e poi ragazzo, comprendendo oggi più che mai, certi comportamenti del grande Lucio.

Ne è nato un libro, Il grande inganno, edito da Edizioni Divinafollia.

Ecco l'intervista esclusiva di Silvia Denti, che ha curato la prefazione del libro.

D- Andrea, tu sei figlio di Albarita Battisti, sorella del famoso Lucio. Come mai oggi, all’età che aveva tuo zio quando la morte lo ha vinto, decidi di parlare di lui in maniera così intima, portando alla luce alcuni dettagli del tutto sconosciuti della sua vita e anche su quella di tua madre, tuo padre e i tuoi adorati nonni?

R- Perché a 55 anni, dall’alto della mia esperienza di padre, marito e lavoratore, ho deciso di fare chiarezza e luce su degli aspetti riguardanti la vita di zio Lucio. Tutto è nato da un episodio accaduto in un bar di Roma quando due gruppi di ragazzi si rimpallavano un Lucio Battisti romanista o laziale: da lì è partito il chiarimento sui vari aspetti della vita di zio e la voglia di renderli pubblici.

D- Quando ti sei reso conto, da bambino, che eri il nipote di un genio della musica?

R- A circa dieci anni, quando ascoltavo per ore l’album “Il nostro caro angelo”.

D- Sappiamo che hai creato su YouTube un tuo canale con molti affezionati battistiani che ti seguono: perché proprio quello e non un social tradizionale?

R- È stata una pura casualità. Oltretutto, io non uso Facebook né altri social.

D- Il libro IL GRANDE INGANNO nasce per chiudere un cerchio o per aprire altre verità?

R- Diciamo per entrambe le situazioni, chissà… forse da questo mio diario a ritroso qualcuno potrebbe volere altri chiarimenti… ma è nato fondamentalmente per chiudere il cerchio pieno di molte imprecisioni su mio zio.

D- Andrea, come ben saprai, esisteranno le critiche, gli haters ormai fanno moda, attaccano morbosamente qualsiasi persona, famosa o meno. Li temi?

R- Assolutamente no. Io racconto fatti realmente accaduti, non parlo di fantascienza, fatti, episodi, che ho vissuto in prima persona.

D- Se tuo zio fosse ancora in vita pensi che sareste amici?

R- Domanda improponibile, poiché c’è stato poco rapporto zio-nipote, ma dall’alto dei suoi 75 anni e dei miei 55 chissà… è bello immaginarlo.

D- Allo stesso modo, se Lucio fosse ancora qui avrebbe fatto pace con tuo padre, Luigi Barbacane?

 R- Lo escludo categoricamente.

D- Perché hai voluto intitolare il libro inserendo la parola inganno?

R- “Il grande inganno” è un titolo che pone il lettore di fronte a rivelazioni che gli fanno vedere un Lucio Battisti diverso da quello che immagina, ovvero non solo un genio della musica, ma anche e soprattutto un uomo; dopodiché il lettore stabilirà se questa nuova visione gli è di gradimento oppure no.

D- Quanto è stata importante tua madre Albarita per il fratello famoso? Credi che i fans di tuo zio abbiano subìto un’immagine distorta dell’artista? E perché?

R- No, mia madre è stata completamente ininfluente nella vita artistica di mio zio, lo è stata di più nella vita privata, tra loro si confidavano, si aggiornavano sulle loro vite. Certo, come ho spiegato nel libro, molto di Lucio è stato interpretato in maniera distorta, forse si voleva vedere quel che si preferiva o che faceva comodo a chissà chi. Un artista viene spesso descritto per quello che si capta di lui, ma è chiaro che dietro l’artista vive l’uomo, coi suoi pregi e difetti.

D- Non pensi mai di riallacciare i rapporti con tuo cugino Luca Filippo?

R- No, non lo vedo dal 1977 e me ne dispiace, avremmo dovuto provarci anni fa… e credo sarebbe stato magico e avremmo portato avanti il legame parentale come tutti i nuclei familiari della terra. Però oggi penso che sarebbe un’operazione senza alcun senso.

D- Cosa vorresti dire a tutti i piccoli gruppi di persone che disquisiscono sui pezzi di tuo zio (ve ne sono tantissimi sui social) sentenziando verità che non sono nemmeno provate, sulla sua vita, su Mogol, su Panella e sulla moglie?

R- A costoro dico semplicemente che se hanno qualcosa di cui disquisire con argomentazioni valide si può aprire una discussione, altrimenti meglio tacere e ascoltare il genio in religioso silenzio.

D- Secondo te, Grazia Letizia Veronese, oggi come oggi, si è pentita di aver tenuto il marito lontano da voi familiari stretti?

R- Assolutamente no, era un suo obiettivo, tra l’altro raggiunto.

D- Se potessi tornare indietro, con la mente di oggi, faresti qualcosa di concreto, di eclatante per tenere zio Lucio accanto a voi?

 R- Sì, può essere, con la maturità sorgono altre energie, motivazioni, ecc.  Però le domande, volte a ciò che si sarebbe potuto fare e che naturalmente non è possibile, sono fuori luogo rimangono sogni. Non si vive purtroppo di rimpianti, la vita è un continuo andare avanti, ed è forse questo il suo fascino.

D- I tuoi figli ascoltano la musica di zio Lucio?

R- Mia figlia Camilla, la più grande, sì; mio figlio Matteo ama altri generi musicali, poi col tempo… chissà.

D- Quale è la tua canzone preferita del repertorio con Mogol? Quale quella con Panella?

R- Del repertorio con Mogol due su tutte: “Mi ritorni in mente” e “Prendila cosi”; del repertorio con Panella “Che vita ha fatto” dell’album “Don Giovanni”.

D- Se Lucio fosse rimasto in vita, secondo te, avrebbe esperimentato altri parolieri?

R- Conoscendolo è una possibilità che non mi sento assolutamente di escludere, Lucio amava spaziare e sperimentare nuove sonorità, credo che sarebbe stato capace di stupirci ancora e ancora.

D- Ricordi l’ultima volta che hai abbracciato (o ti ha abbracciato) zio Lucio?

R- Sì, lo ricordo nitidamente. È stata l’ultima volta che con mio padre, mia madre e mia sorella siamo stati presso la sua villa a Molteno in occasione delle vacanze pasquali. Se non ricordo male era il 1976.

D- C’è qualcosa che avresti voluto dire a tuo zio e non hai fatto in tempo? Se sì, cosa?

R- Tanto avrei voluto dirgli! Oggi, dall’alto dei miei 55 anni, una su tutte: “Zio, andiamo insieme in palestra oggi pomeriggio?”.

 




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