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In soli due giorni, su Facebook, ho potuto verificare gli effetti provocati dalla totale mancanza di capacità critica di una folta schiera di italiani. Dopo la sentenza di condanna a 12 anni per due dei carabinieri coinvolti nel fattaccio che tutti conosciamo, anche su Facebook – divenuta ormai agorà 3.0 – l’opinione pubblica si è spaccata, tracciando in tal modo una linea netta tra chi è ancora in grado di mantenersi lucido e chi no. Ho scritto anche io qualche post, permettendomi di rammentare a tutti un elemento: il povero Stefano Cucchi è morto in maniera atroce, da quanto emerge dagli atti, ma era pur sempre persona dipendente dalle droghe e a sua volta spacciava. Viveva ai margini della società, e conduceva un’esistenza che lo poneva costantemente a rischio: della salute, della vita, di cadere nelle mani sbagliate e persino in quella di uomini che pensano di poter abusare della divisa che indossano. Nessuno mai deve permettersi di picchiare qualcuno, men che meno in caserma. Ma ciò che accade non è sotto il nostro controllo, e non possiamo fermare le mani di chi le ha lunghe semplicemente attraverso l’indignazione. Forse, dopo questa sentenza, alcuni saranno molto più attenti a ciò che fanno. Auguriamocelo tutti, e non solo per la salvaguardia dei delinquenti che finiscono agli arresti: il potere esercitato da certi individui in divisa deve essere abbattuto perché può abbattersi contro chiunque. Nessuno lo dimentichi. Torniamo però al tema centrale: quanti di voi sanno, per esempio, che Stefano Cucchi fu ricoverato ben 17 volte al Pronto Soccorso nel corso degli anni, per curare ferite, fratture e lesioni di vario genere? Se le procurò a causa di liti e aggressioni che avvenivano, con costanza, nel mondo di cui aveva deciso di far parte. Per anni ho scritto: attenzione, se si sceglie di far parte del mondo della delinquenza, o se – più in generale non si conduce un’esistenza basata sulle sane pratiche, che garantiscono maggiormente l’incolumità, non ci si può poi lamentare o stupire che possano accadere certi fatti. Con ciò, lo ribadisco, non ammetto i pestaggi in caserma, ma è folle pensare che se si conduce uno stile di vita ai limiti poi non possa accadere di tutto. Infatti a Stefano di tutto è accaduto nel corso dell'esistenza. Fino all’incontro fatale con chi pensò di poter esercitare un potere assoluto sul suo corpo e sulla sua vita. Probabilmente, l’unico a saperlo e ad averlo messo in conto fu lui. Possiamo per caso cancellare certi individui con la spugna? E’ lo stesso criterio di chi, donna o uomo che sia, pretende di condurre una vita spericolata, fatta di incontri sessuali col primo venuto, di giri di bevute e di droga, magari insieme a esimi sconosciuti, per poi urlare allo scandalo quando avviene uno stupro o un’aggressione, se non – ancora peggio – un omicidio. Ma su quale pianeta vive certa gente? Non possiamo cancellare il male solo dichiarando che non debba esistere. Dobbiamo esser noi a scegliere: la sicurezza personale non si ottiene a botte di slogan. È lo stesso concetto che ho riportato nel mio recente libro Violenza: manuale di prevenzione e autodifesa. Se non si vuole rischiare, si devono limitare i rischi al minimo. In special modo oggi, nella società in cui viviamo, ormai sfrondata da qualsiasi regola di civile convivenza, di rispetto e di educazione. Tutti coloro che, oggi, santificano Stefano dimenticando la scelta di vita che aveva fatto, compiono comunque un errore di critica. Ho dispiacere per la sua vicenda, umanamente. Non posso accettare che accadano situazioni simili, perché sono situazioni che possono accadere a chiunque se non vengono arrestate con vigore. Per il resto, aggiungo solo una cosa: alla famiglia Cucchi fu erogato un risarcimento danni dall’Ospedale Pertini, pari a 1,340 milioni di euro. Quanti di voi, però, conoscono la clausola inserita nell’accordo? I Cucchi si impegnarono a non presentarsi come parte civile contro i medici e gli infermieri, a patto di poter continuare la loro battaglia contro i carabinieri. Da Repubblica del 2 Novembre 2013: A questo punto giudicate voi: si trattò di risarcimento del danno – e quindi ammissione di colpa? – oppure si concordò una sorta di compenso per garantirsi l’immunità? Sta di fatto che il primario dell’ospedale Pertini, Aldo Fierro, e altri tre medici sono stati prescritti dal reato di omicidio colposo, mentre un quinto medico – Stefania Corbi – è stata assolta “per non aver commesso il fatto”. A voi, ora, la sentenza finale su tutta la vicenda. Mi fido della vostra capacità critica. ©Tutti i diritti riservati. La diffusione è concessa esclusivamente indicando chiaramente il nome dell'autore e il link che riporta a questa pagina
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 21/11/2024 12:38:18 |
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