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Da molto tempo accade una cosa che sta modificando alquanto la percezione sul settore del giornalismo. Da un lato, i quotidiani sono spesso costretti a titolare gli articoli in maniera tale da attivare l’attenzione dei lettori, ormai abituati a una tempesta comunicativa - mi riferisco al web – che ha praticamente abbattuto l’interesse e la capacità di seguire e comprendere gli accadimenti. Dall’altro, proprio i titoli che si è costretti a scegliere per attrarre l’attenzione dei lettori, realizzano un ulteriore problema: in molti leggono il titolo e lì si fermano. Non vanno oltre. Non leggono ciò che viene dopo. Ritengono di aver compreso tutto per il solo fatto di essersi fermati all’inizio di un percorso. Il caso del quotidiano Libero – con cui collaboro – è da manuale: molti ottimi pezzi, scritti da validi colleghi, sono attaccati impietosamente per esser titolati in maniera da smuovere gli animi su un tema. Si può esser d'accordo o meno con certi contenuti, ma il problema resta: oggi, per far leggere le persone è necessario smuoverle, scrollarle, esortarle. In ogni caso, ogni quotidiano ha una linea editoriale, ha una linea di pensiero. Se non si è d'accordo con quella linea di pensiero, si sceglie di leggere altro se proprio non si può fare a meno di suonarsela e cantarsela da soli, invece di cercare di comprendere le varie opinioni sui fatti. A casa mia, ogni mattina, sono sempre entrati più quotidiani. Mio padre aveva le sue idee politiche. Ma voleva comprendere anche le idee altrui. Mi ha insegnato molto. Se costoro, parlo dei lettori, invece di fermarsi alla prima casella – il titolo – avessero anche la compiacenza di sprecare un poco del loro preziosissimo tempo per andare oltre, per leggere il pezzo, così da avere una serie di elementi utili alla comprensione, forse – e dico forse – si creerebbero un minor numero di attacchi, di campagne di odio, di estenuanti maratone sui social al fine di condannare questo o quel titolo. Devo dire una cosa: se i lettori fossero rimasti lucidi, nel senso di non farsi travolgere più di tanto dalla forsennata tempesta comunicativa, in special modo sui social network, oggi il settore del giornalismo non dovrebbe sopperire a questa crisi di interesse verso l'informazione con metodologie atte a far fermare il lettore, per pochi minuti pur di far leggere un testo. Il web ha distrutto molte cose. Tra le tante, il giornalismo. Lo dico e scrivo da anni, da quando fondai questo quotidiano, 13 anni fa: il web ucciderà il giornalismo e la comunicazione. E’ ciò che è avvenuto, e tra le motivazioni c'è questa "libertà di espressione e comunicazione" data dal web, che in troppi hanno assimilato come la libertà di comportarsi da giornalisti pur non essendolo. O di diffondere castronerie col botto - le famose fake news - confondendo totalmente i lettori, incapaci troppo spesso di capire cosa stiano leggendo. A parte questo, sarebbe fondamentale per i lettori porsi una domanda: cosa diamine posso capire dalla lettura di un titolo? L’azione conseguente dovrebbe esser quella di avere la curiosità di andare a leggere l’articolo con attenzione. Invece no. È chiedere troppo. Eppure, molti eviterebbero figure barbine, evitando commenti che chiariscono peraltro che quei commenti sono stati scritti senza nulla aver letto del pezzo in questione. Ecco fresco un esempio: ieri è stato pubblicato il mio nuovo editoriale dal titolo: “Reddito di cittadinanza: una cagata pazzesca”. Prontamente pubblicato anche su Agoravox Italia, su cui vengono ripubblicati i miei editoriali da diversi anni, ecco la conseguenza di intestardirsi a fermarsi alla lettura del titolo: non aggiungo altro. Ecco una perla: un tizio che mi offende e oltraggia il mio cognome
"Denunciata" per cosa? Per aver citato, nel titolo e nell'articolo, una frase di un film di Fantozzi? Non ho offeso nessuno. Mai. Non mi sembra che lo stesso stiano facendo certe persone nei miei confronti. Molti italiani sono scontenti di questa misura. Non solo: molti italiani avrebbero gradito misure economiche diverse, a sostegno del lavoro, dei disabili... Misure che non sono prese in considerazione. Non si deve dire? Non si deve scrivere? Esiste solo la ragione di chi pensa di rappresentare la maggioranza del paese? Tirate voi le somme.
Concludo con un articolo pubblicato poco tempo fa: Caos di cittadinanza. Esiste una parte di popolazione che no, non è esattamente contenta di ciò che sta avvenendo, di come non è stata messa in grado di comprendere il meccanismo del RdC. Se a chi sostiene fortemente questa misura, a dispetto di quella fetta di popolazione che non la apprezza, non piace che sia data voce anche a questi cittadini, mi spiace. Esistono anche loro. E dar loro voce si chiama Democrazia. ©Tutti i diritti riservati. La diffusione è concessa esclusivamente indicando chiaramente il nome dell'autore e il link che riporta a questa pagina |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 21/11/2024 07:08:41 |
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