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La virtuale rete informatica, regina e re nello stesso tempo, che chiamiamo comunemente INTERNET, veicola (anche) i social network, la più sconvolgente arma a doppio taglio della comunicazione mai apparsa nel nostro beneamato pianeta. Personalmente, i temi, dicasi meglio post e thread che compongono questi social, li definisco “fragile sostanza”, e questa definizione è probabilmente poco approssimativa se teniamo conto del transitorio - ma accattivante nello stesso tempo - contenuto estetico che presentano in tempo reale ai nostri occhi, senza inoltre avere un ordine temporale stabilito o in via di definizione. Questa stessa esplicitazione, sebbene rimane assolutamente personale e che potreste voi gentili lettori approfondire nel capitolo “La fragile sostanza” che compone il saggio “M ā s h āʾ A l l ā h (X X I c e n t u r y s c h y z o i d m a n)” di mia recente pubblicazione, tuttavia, rischia di essere inesatta e impropria se andiamo a considerare non l'estetica e la velocissima sparizione dai contesti che i suddetti articoli virtuali presentano, addirittura fuorviante in considerazione dell'enorme bacino di persone a cui essi si propongono senza ostacoli e/o filtri e censure. Tutt'altro che fragili, insomma. Gli atti terroristi, i più efferati, pur non avendo io fonti precise da citare per mancanza dei mezzi che mi possano permettere ricerche specifiche, nella maggioranza dei casi vengono perpetuati soprattutto in funzione dei social: propagandare e diffondere oltre ogni limite temporale e di spazio, potrebbe essere uno slogan appropriato da citare per i movimenti di questi violenti. Dare colpa ai social, quindi, sembrerebbe ovvio ma è controproducente farlo, e lo è solo perché essi hanno una struttura che li avvantaggia in ogni caso: ricordate la sempre attuale e corretta riproposizione di chi - per esempio- sostiene l'industria delle armi anche in aperte circostanze di “uso improprio”? (Sparatorie in aula magna oppure accidentale colpo in salotto, per dare un idea...) “La pistola non uccide, è la mano della persona che preme il grilletto...” è sempre una frase a effetto che convince: no? Ecco, anche i social sono in fondo un'arma, anche un'arma mi si permetta di aggiungere. Questo però, e in riferimento ai social, non è sufficiente: da un lato imputare “Facebook” piuttosto che “Twitter” o “Telegram” serve a nulla, ed è, come scritto poco sopra, controproducente. Ciò non toglie -ed ecco il punto- che i profitti, gli esorbitanti guadagni e le provvigioni per i loro affiliati, anche grazie a tassazioni piuttosto “ballerine” e soprattutto permissive di alcuni Stati come i nostri partner Lussemburgo e Irlanda per fare qualche nome,, debbano essere obbligatoriamente “rivisti” per queste Corporazioni: la società civile attraverso i Governi nazionali in mancanza di accordi immediati internazionali, attraverso Leggi e Norme precise, devono farlo ora affinché essi stessi -i social- affrontino il problema dall'interno delle loro “macchine di guerra”, rendicontando e destinando fondi in maniera esplicita per correggere quei meccanismi, quegli algoritmi che amplificano l'urlo bestiale del terrore globale. Sono divinità, piuttosto che maestri, a creare consenso, e nella stessa misura si rendono veicolo disponibile, tali tecnologiche supremazie dovrebbero produrre resistenza attiva contro quelli che utilizzano - con successo inusitato - il mezzo telematico in funzione del terrore. La percentuale degli attentatori e del loro potenziale attivo, compresa quella massa di violenti emulatori e odiatori (haters) che generano calunnie (fake news) certamente si ridurrebbe (Non dimentichiamo che una vita spezzata è sempre -i social insegnano proprio questo- un numero). La domanda -se non fosse chiaro- rimane esattamente questa: quanto in percentuale spendono per “la sicurezza” questi amati e odiati social network? Dobbiamo sperare facciano oppure obbligarli a fare quello che ogni società civile insegna da tempo immemore ed è ben scritto nelle Costituzioni degli Stati? *Lucaa del Negro, autore del volume Ma sha' Allah
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I commenti: | |||
Commento 1) Le Corporazioni multinazionali che gestiscono attivamente queste attività globali, includendo a titolo informativo anche "eBay" e "Amazon" per fare qualche altro nome "pesante", accrescono i loro costanti guadagni producendo gli utili nei mercati dei singoli Paesi al di fuori della Sede legale in cui esse si sono stabilite: per non passare come idealiste e anacronistiche polemiche queste considerazioni, una seria proposta legislativa dovrebbe prevedere una tassazione e solo per gli utili prodotti nel singolo Paese sottoposta come qualsiasi altra attività alle tasse di quello stesso Paese, ne più ne meno di ogni altra attività. IVA e tutto il resto dell'Italia -per esempio- sulle merci e servizi venduti in Italia e non tassazioni lussemburghesi e/o irlandesi. Sarà così tanto assurdo chiedere questo? |
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Commento di: Lucaa | Ip:151.51.217.73 | Voto: 10 | Data 04/04/2019 08:50:09 |
Commento 2) Le Corporazioni multinazionali che gestiscono attivamente queste attività globali, includendo a titolo informativo anche "eBay" e "Amazon" per fare qualche altro nome "pesante", accrescono i loro costanti guadagni producendo gli utili nei mercati dei singoli Paesi al di fuori della Sede legale in cui esse si sono stabilite: per non passare come idealiste e anacronistiche polemiche queste considerazioni, una seria proposta legislativa dovrebbe prevedere una tassazione e solo per gli utili prodotti nel singolo Paese sottoposta come qualsiasi altra attività alle tasse di quello stesso Paese, ne più ne meno di ogni altra attività. IVA e tutto il resto dell'Italia -per esempio- sulle merci e servizi venduti in Italia e non tassazioni lussemburghesi e/o irlandesi. Sarà così tanto assurdo chiedere questo? |
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Commento di: Lucaa | Ip:151.51.217.73 | Voto: 10 | Data 04/04/2019 08:50:09 |
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