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I casi di femminicidio, in Italia, sono in calo. Nel 2018 le vittime sono state 121: -7% rispetto al 2017. Nei primi due mesi del 2019 sono stati commessi 11 i femminicidi contro i 19 dello stesso periodo del 2018, con una percentuale che corrisponde a -42%. È un dato positivo? Certamente, perché è in atto una riduzione dei casi. No, se pensiamo che la gente continua a morire per mano di qualcuno che decide il giorno della sua morte. Da anni l’argomento accende il dibattito politico e scalda gli animi dei cittadini. A ogni nuova vittima si alza il coro della riprovazione generale. Eppure, ultimamente, due sentenze hanno fatto storcere il naso a un mucchio di persone, che oggi si chiedono se la giustizia stia dando i numeri. La prima è quella relativa all’omicidio di Olga Mattei, la 46enne che viveva a Riccione e che il il 5 Ottobre del 2016 venne strangolata, per gelosia, da Michele Castaldo, un operaio di 57 anni che la donna frequentava da circa un mese. In primo grado l’uomo era stato condannato a 30 anni di galera, ma in secondo grado la pena è stata ridotta a 16 anni dalla Corte di Appello di Bologna. Il motivo di tanta clemenza da parte del giudice Orazio Pescatore ha lasciato molte persone basite: l’uomo avrebbe ucciso a causa di una “tempesta emotiva”. Interessante interpretazione. Un omicidio a caldo raramente può essere commesso senza trovarsi in uno stato di “tempesta emotiva”. Manco un killer freddo come il ghiaccio, probabilmente, riesce ad azzerare l’emotività nel momento in cui tira il grilletto o strangola un essere umano. Siamo esseri umani, mica burattini di legno. La riduzione della pena è stata calcolata in maniera bizzarra. In primo luogo si è partiti da una pena di 24 anni e non di 30, come da condanna inflitta in primo grado. Condanna già “ammorbidita” dal rito abbreviato, perché il giudice aveva deciso in prima battuta per una condanna l’ergastolo. Inoltre, appare contraddittorio un fatto: il giudice da un lato ha riconosciuto l’aggravante dei futili motivi, dall’altro ha smontato i futili motivi, adducendo – a scusante dell’omicida – il fatto che l’uomo fosse una sorta di sfigato in campo sentimentale, uno che non ne ha mai imbroccata una con le donne. Il giudice, sommerso dall’indignazione collettiva e accusato di aver tirato fuori il vecchio criterio deldelitto d’onore, si è detto stupito da tanta riprovazione e ha dichiarato che il lavoro di un giudice consiste nel “valutare la personalità dell’imputato nel suo complesso”. Giusto, a patto che non si cada nell’errore di voler troppo analizzare, psicologicamente, l’omicida, come accade con sempre maggior frequenza. Passiamo alla seconda sentenza. Questa volta è stata emessa dal Tribunale di Genova e ha come protagonisti una donna, Jenny Angela Coello Reyes, uccisa - per gelosia - a coltellate dal marito, Javier Napoleon Pareja Gamboa. L’uomo, dopo aver appreso che la moglie continuava a incontrare il suo amante, pur avendo assicurato che la storia fosse finita, ha perso la trebisonda e l’ha accoltellata più volte al petto, uccidendola. Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a 30 anni di carcere. Ma ecco che il giudice decide di dimezzarla a 16 anni. Anche in questo caso il reo aveva chiesto, e ottenuto, il rito abbreviato, che consente un risparmio di un terzo della pena. A parte questo però, è la motivazione della sentenza che ha fatto urlare allo scandalo: il giudice, pur ammettendo la gravità del fatto, ha concesso a Gamboa le attenuanti generiche, perché a suo parere l’uomo «Non ha agito sotto la spinta di un moto di gelosia fine a sé stesso – come recita la sentenza - per l’incapacità di accettare che la moglie potesse preferirgli un altro uomo, ma come reazione al comportamento della donna, del tutto incoerente e contraddittorio, che l’ha illuso e disilluso nello stesso tempo». Insomma: secondo l'interpretazione del giudice se una donna viene uccisa un motivo ci sarà pure. Gamboa non avrebbe quindi ammazzato la moglie in quanto cornificato bensì in quanto fatto fesso a causa del tradimento reiterato. Un delitto perpetrato per sopraggiunta intolleranza attenua la colpa? in alcuni casi, e per certi giudici, si. Nel senso che se un essere umano è portato al limite estremo della sopportazione, può arrivare alle estreme conseguenze. Non tutti gli esseri umani sono capaci di resistere a certe situazioni. Può apparire un ragionamento incoerente, ma tant'è... Queste due sentenze, però, non devono far pensare che la giustizia sia contro le donne e a sostegno di chi le uccide. Il nostro ordinamento giuridico prevede alcuni provvedimenti, come il patteggiamento e il rito abbreviato che consentono uno sconto di pena. Inutile girarci intorno. Inoltre, sarebbe bene che le donne vittime di violenza imparassero a denunciare e portando prove a sostegno delle denunce, così da supportare le forze dell’ordine nel loro lavoro di indagine. Spesso queste prove mancano, e non si permette di stabilire con certezza gli accadimenti. Usare la testa, invece di perderla, fa sempre la differenza. ©Tutti i diritti riservati. La diffusione è concessa esclusivamente indicando chiaramente il nome dell'autore e il link che riporta a questa pagina |
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 21/11/2024 17:07:37 |
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