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Italia: un'estate di tragedie. Evitabili...

Italia: un'estate di tragedie. Evitabili...
Autore: Claudio Martinotti Doria - Redazione Cronaca
Data: 23/08/2018

E’ decisamente un’estate che lascerà il segno questa del 2018, e forse non sarà la più incisiva, potrebbero seguire altri periodi ancora più truci e cruenti nel far pagare alla popolazione il conto del degrado della società italica. Era appena avvenuto il crollo del ponte Morandi a Genova, che ha provocato decine di morti, che solo pochi giorni dopo in Calabria, lungo il corso del torrente Raganello nel massiccio del Pollino, sono morte decine di persone annegate e/o traumatizzate dall’urto contro le rocce per un’onda di piena improvvisa.

 

Nel riferirmi al degrado italico intendo comprendervi concettualmente tutto quanto vi è connesso, dalla corruzione all’ignoranza, dal parassitismo all’ipocrisia, dalla pusillanimità all’ignavia, dalla protervia alla superficialità, ecc., atteggiamenti, comportamenti, motivazioni che non sono prive di ripercussioni e qualcuno, prima o poi, dovrà inevitabilmente subire le conseguenze di un approccio alla vita e alla convivenza civile (incivile) di tale guisa. E non saranno conseguenze piacevoli.

 

Alcuni di voi si domanderanno cosa centra il degrado della società italica con un’onda di piena di un torrente in Calabria?

 

Per degrado, repetita iuvant, intendo la sua accezione più ampia, quindi anche quello culturale.

Intendiamoci, non giudico e non mi sento certo di biasimare o colpevolizzare le vittime o coloro che l’hanno scampata per il rotto della cuffia dalla tragedia calabrese, anche perché alcuni avevano addirittura una guida qualificata al seguito. Infatti sarebbe obbligatorio disporre di una guida per inoltrarsi nei canyon o gole del torrente Raganello, che sono suggestive, affascinanti ma anche pericolose, in quanto strette e accidentate.

 

Ma molte delle persone che erano presenti nei pressi al momento dell’onda di piena non disponevano di una guida, perché come avviene sistematicamente in ogni parte d’Italia, in particolare nell’Appennino, i bagnanti si accostano ai torrenti come fossero piscine o spiagge naturali, magari con gli infradito, che è risaputo essere ottime calzature, ideali per muoversi rapidamente in caso di pericolo, tra i ciotoli e le rocce. Purtroppo a essere maestre di vita spesso sono eventi traumatici, nei quali l’apprendimento avviene in maniera traumatica e in forma indelebile, rimane scolpito nella memoria.

 

14 anni fa decine di milioni di persone in tutto il mondo hanno capito che quando ci si trova in una spiaggia e l’acqua del mare si ritrae non è per ritrosia o timidezza, ma è perché sta per abbattersi uno tsunami. E questo apprendimento traumatico è avvenuto perché i media di tutti il mondo civilizzato ha per mesi trasmesso quelle immagini.

 

L’evento accaduto in Calabria purtroppo non avrà questa risonanza mediatica, e nonostante il numero molto elevato di vittime (per eventi simili), temo non si apprenderà quanto sarebbe doveroso, e cioè che i torrenti si chiamano in tal modo proprio perché hanno un carattere “torrentizio” e che i corsi d’acqua raccolgono l’acqua di un bacino idrografico (o imbrifero), che per quanto di piccole dimensioni topografiche e porzione di uno più ampio, come quello di un torrente, può comunque per la sua conformazione convogliare una massa d’acqua impressionante a valle, proporzionalmente alle precipitazioni che sono avvenute a monte.

 

Per cui, anziché le previsioni meteo del luogo dove ci si reca a mettere i piedi a mollo nel torrente, ci si dovrebbe informare sulle condizioni meteo a monte, cioè se in montagna dove nasce e scorre il torrente il cielo è sereno o sta piovendo. E questo è particolarmente importante soprattutto d’estate quanto i temporali possono essere appunto estivi, cioè molto localizzati, improvvisi e violenti.

 

Non dubito che le guide siano qualificate ma temo che la loro preparazione sia prevalentemente tecnica e turistica, cioè basata sull’assicurare la sicurezza ai turisti e fruitori e descrivere loro aspetti naturalistici, ma in quanto ai veri pericoli ne sappiano poco, perché si baseranno probabilmente sulla propria esperienza, che inevitabilmente è modesta e insufficiente, a meno che siano anziani, cosa di cui dubito fortemente, perché se ne starebbero a casa. E siccome certi eventi particolarmente cruenti e traumatici avvengono una o due volte in un secolo, se non si ascoltano i “vecchi” e non si fanno ricerche storiche e documentali, difficilmente si è veramente preparati e consapevoli dei rischi che si corrono.

 

E’ un tragico paradosso che in una società ipertecnologica come la nostra, nella quale anche i bambini sono dotati di uno smartphone per cazzeggiare, non lo si utilizzi per scopi che potrebbero salvarvi la vita, come appunto informarsi sulle condizioni meteo a monte di un corso d’acqua dove vi state azzardando a trascorrere alcune ore, senza il minimo sospetto che possa divenire “torrentizio”, che significa che in pochi minuti potrebbe arrivare un’onda di piena similmente all’apertura improvvisa di una diga che riversi decine di migliaia di metri cubi di acqua a valle.

 

E potete immaginarvi l’effetto del passaggio di una simile massa d’acqua in gole strette pochi metri, quale velocità e distruttività possa raggiungere. Ed essendo il torrente Raganello di soli 17 km non ci sarà scampo per nessuno che si trovi nel suo alveo.

Anche da noi, nell’Appennino Ligure Piemontese nell’area denominata delle Quattro Province, tra Piemonte, Liguria, Lombardia ed Emilia, vi sono torrenti che hanno queste caratteristiche, solo che l’alveo è più largo, ma la loro trasformazione in caso di piogge intense e prolungate è comunque impressionante.

 

Il Borbera ad esempio, che da il nome all’intera Valle, Alta e Bassa Val Borbera, in alcuni tratti è largo quasi quanto il fiume Po, e d’estate nei periodi di siccità l’acqua quasi non si vede, ridotta ad un rivolo il alcuni tratti, si vede solo la mole enorme di ciotoli e sabbia che costituisce il suo alveo. Ebbene a volte si trasforma in un fiume in piena con le acque che scorrono impetuose come se a monte una diga avesse aperto di colpo tutte le paratie e avesse riversato milioni di metri cubi di acqua a valle. L’alveo per quanto possa essere largo, basta appena per contenere questa immensa massa d’acqua che scorre impetuosamente a valle trascinando con sé tutto quello che incontra, sradicando anche alberi ben radicati.

 

Simili tragedie in passato erano già accadute colpendo improvvisati e sprovveduti campeggiatori insediatisi negli alvei dei corsi d’acqua torrentizi, o addirittura, e in questo caso con l’aggravante della colpevolezza civile e penale, si trattava di campeggi più o meno autorizzati, posizionati in luoghi dove non avrebbero dovuto insediarsi per il pericolo che rappresentava il luogo, pericolo ovviamente sottovalutato o neppure considerato. Questi eventi si ripropongono periodicamente perché nel nostro paese non vi è memoria storica, anzi non vi è proprio memoria, ma solo business. Non ci si documenta, non ci si informa, si mette la propria vita nelle mani del Fato, e infatti quando avvengono le disgrazie si attribuisce appunto alla fatalità ogni responsabilità. Forse è giunta l’ora di cambiare registro e di assumersi delle responsabilità e di attribuirle a chi si è appurato ne abbia, con tutte le conseguenze del caso. Perché gli eventi tragici non sono mai casuali. Se uno si mette alla guida ubriaco e causa un incidente non è fatalità. Se si campeggia in un alveo di fiume o peggio vi s’insedia un intero campeggio, non è fatalità se avviene una tragedia. Se crolla un ponte non è per il nubifragio, i fulmini o la fatalità.

 

Dovremmo ripartire dal presupposto che la vita umana, ogni vita umana, è preziosa e inviolabile, che la tutela della sua incolumità è il primario dovere e missione di ogni istituzione pubblica e base della convivenza civile, e che pertanto ogni atto deve essere indirizzato a questo scopo e chi sgarra deve essere severamente punito, in tutti i modi, civile e penale, deve cioè risarcire i danni arrecati e scontare una pena detentiva effettiva. Altrimenti di civile la nostra società non possiederà che la definizione, fittizia e ipocrita




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