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Auditorium, Festival delle Scienze: i linguaggi. Storia semiseria della nascita di una 'frase'

Auditorium, Festival delle Scienze: i linguaggi. Storia semiseria della nascita di una 'frase'
Autore: Luca Nasetti - Redazione Cultura
Data: 25/01/2014

Parla come mangi. Detto ormai in disuso e sdoganato, da oggi si deve dire “parla come pensi”. Luoghi comuni popolari invero, il cui significato è noto ai più (non a tutti, perché molti sempre più spesso si dimenticano di usare il filtro posto alla base del cervello e danno sfogo a pensieri non proprio politically correct).

Sta di fatto che le scienze di oggi preferiscono affermare (con qualche ombra di dubbio, tra un po’ vedremo quali), che i linguaggi e le lingue naturali non seguono regole convenzionali per strutturare una frase, ma che queste abbiano un collegamento diretto con il nostro cervello (per chi lo sappia usare, è ovvio).

Ovvero, il pensiero di un uomo e non di un animale - badate bene - sembrerebbe la causa principale di ogni nostra articolazione linguistica - più o meno - veritiera. La scoperta è stata discussa ampiamente ieri (23 gennaio 2013, ndr) nel primo incontro del Festival delle Scienze dedicato ai linguaggi che si svolge all’Auditorium, da tre eminenti professori e linguisti: Andrea Moro (Pavia), Luigi Rizzi (Siena) e Philippe Schlenker (Usa).

Ora, senza nulla togliere all’interesse scientifico e pratico delle ricerche esposte e senza entrare nel merito della teoria (manca la competenza accademica), possiamo fare l’unica cosa che ci rimane da fare: descrivere con innocua ironia i paradossi linguistici derivanti da quella conclusione. Cioè, dimostreremo che la teoria dei linguisti è valida e verosimile perché è valido e verosimile anche l’altro luogo comune che va tanto di moda: “collega il cervello prima di parlare, perché evidentemente non sai cosa stai dicendo”.

Giochiamo un po’. Allora, a quanto pare chiunque conosca il significato di una frase sa anche in quali condizioni essa è vera o falsa. Quindi se dico un’idiozia dovrei anche rendermene conto da solo, senza che qualcuno me la spieghi. Purtroppo nella realtà non è sempre così. Ci sono persone che dicono un’idiozia ma credono invece che sia la verità. O almeno sperano che chi ascolta creda sia la verità (ma questo è un altro discorso).

Di esempi se ne potrebbero elencare una barca. Si potrebbe partire dalla politica, ma meglio rimanere in silenzio, perché dovremmo citare almeno un episodio relativo a tutte le coalizioni presenti oggi in parlamento per par condicio, compito lungo e noioso, meglio lasciar perdere. Andiamo avanti: la tv.

Mi ritornano in mente quei tre concorrenti (dico tre, uno due e tre) di un noto quiz tv della Rai che hanno sbagliato la data in cui Adolf Hitler venne nominato cancelliere del Reichstag. 1933 secondo i manuali di storia, ’48, ’64 e ’79 secondo le loro brillanti menti. Si certo, lì è questione di storia direte voi, se uno non lo sa non lo sa (scusate, ma questo è davvero un alibi di burro), ma santi numi ragioniamo un attimo: che tu (concorrente) sia nato nel ’48, nel ’64 o nel ’79 importa poco che non sappia quando Hitler si sia insediato nel parlamento tedesco, perché se è vero quello che dici allora vuol dire anche che il dittatore è più o meno tuo coetaneo, il che porterebbe a concludere che tu hai vissuto di persona la Seconda Guerra mondiale (ammesso e non concesso che tu sappia che almeno sia accaduta), cioè che mentre vedevi gioioso e felice l’Italia che batteva la Germania nel mondiale dell’82, dall’altra parte piangevi perché la Germania stessa invadeva Roma con le SS, ma solo per invidia perché hanno preso tre pappine da Rossi, Tardelli e Altobelli.

Ecco, classico esempio di “non sai quello che dici”, quindi “non sai quello che pensi”, ma lo hai detto comunque, quindi il tuo cervello non è stato la causa dell’idiozia che hai sparato, ma solo una convenzione sociale: se ci azzecco bene, altrimenti l’importante è partecipare. Ora, la teoria dei linguisti dice anche che siccome il linguaggio verbale è molto ambiguo (posso cioè interpretare in modi diversi una stessa frase), quello dei segni per i sordo muti invece supera questi problemi, cioè rende visibile i significati della lingua parlata.

Ora, non voglio mettere il dito nella piaga, ma visibile era anche il finto interprete che avrebbe dovuto tradurre nel linguaggio dei segni il discorso del presidente Usa Obama e degli altri leader mondiali alla cerimonia in ricordo di Nelson Mandela, lo scorso 10 dicembre allo stadio di Soweto, e invece ha fatto dei segni a caso.

Non è stato neanche in grado di tradurre termini semplici come “grazie” o “Mandela”. Quel genio si è inventato di sana pianta tutti i gesti che ha fatto. Ora, quale mente diabolica non è stata in grado di capire che quel signore aveva il cervello disconnesso dalle proprie braccia e mani? Alla domanda non voglio neanche trovare risposta. Non serve. Sarebbe inutile. Quindi linguisti di tutto il mondo, sappiate che le chiacchiere stanno a zero: alla gente interessa solo il “detto”, e non il modo in cui si dice. Per questo me torno a parlare come mangio, perché in fondo le tradizioni sono anche la nostra cultura.

 




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