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Sud Sudan: migliaia di sfollati sono a rischio colera e malnutrizione

Sud Sudan: migliaia di sfollati sono a rischio colera e malnutrizione
Autore: Redazione Esteri
Data: 07/06/2017

La malnutrizione e un sospetto focolaio di colera dilagano fra gli sfollati nelle foreste vicino a Pieri, in Sud Sudan, secondo l’organizzazione internazionale Medici Senza Frontiere (MSF).

Più di 27.000 persone hanno abbandonato le proprie case a Yuai e Waat a partire da metà febbraio a causa degli scontri fra l’Esercito di liberazione del popolo sudanese (SPLA) e i gruppi d’opposizione. Gli sfollati che hanno trovato rifugio nell’area di Pieri hanno riferito a MSF di civili colpiti con armi da fuoco, uccisi e stuprati, oltre che di case incendiate e rase al suolo. Costretti a fronteggiare una disperata carenza di cibo, acqua e rifugi, molti fra gli sfollati vivono adesso sotto gli alberi e mangiano foglie per sopravvivere.

MSF risponde all’emergenza fornendo assistenza sanitaria di base e cure contro il colera e la malnutrizione. Se le condizioni in cui versano queste persone non miglioreranno e se non sarà loro garantita una migliore e più regolare assistenza umanitaria, mette in guardia MSF, la situazione è destinata a peggiorare ulteriormente. 

“Sono scappato di corsa, senza avere il tempo di portare nulla con me,” racconta William, 41 anni e padre di cinque figli, che è fuggito da Yuai il 15 febbraio. “Stavano sparando nel villaggio. Hanno ucciso donne, ragazze, tutti. Le donne sono anche state stuprate. Hanno bruciato alcuni tukul (capanne di fango), hanno preso il bestiame e distrutto persino i pozzi.”

William e la sua famiglia temono adesso che anche Pieri venga attaccata. Fin dal loro arrivo, hanno trovato riparo sotto un albero in un villaggio a due ore a piedi da Pieri, vivendo di foglie e dei pochi aiuti alimentari distribuiti dalle organizzazioni umanitarie. La settimana scorsa, uno dei figli di William è morto, molto probabilmente di colera. Aveva cinque anni. 

I primi casi sospetti di colera sono stati registrati il 9 maggio, quando si è osservato un aumento generale nel numero di pazienti affetti da diarrea acquosa. MSF ha aperto un’unità di trattamento a Pieri, dove le équipe hanno finora assistito più di 30 pazienti, oltre ad allestire punti di reidratazione e di acqua clorata.

MSF impiega adesso un’équipe di personale medico locale, che gestisce tre cliniche sanitarie per l’assistenza di base intorno a Pieri. Questi operatori sono fuggiti dall’ospedale di Yuai insieme al resto della popolazione della città.

A metà maggio, MSF ha registrato una crescita nei livelli di malnutrizione fra i bambini sotto i cinque anni, il 32 per cento dei quali soffriva di malnutrizione acuta, mentre il 12 per cento era affetto dalla forma acuta severa della malattia. MSF ha distribuito razioni alimentari per i bambini malnutriti ma è necessario assicurare ulteriori rifornimenti sia agli abitanti di Pieri, sia agli sfollati nell’area.

“Due settimane fa abbiamo ricevuto del cibo”, racconta Elisabeth, 45 anni, arrivata da Yuai, “ma non è sufficiente e dobbiamo condividerlo con le persone che non erano registrate per la distribuzione. Quando non c’è cibo, mangiamo le foglie degli alberi”.

L’insicurezza in cui versa quest’area rende difficile l’accesso degli aiuti da parte delle organizzazioni umanitarie. Allo stesso tempo, la scarsa assistenza rende il bisogno di aiuti ancora più urgente.

“Tutto questo accade in un’area con scarsa disponibilità di aiuti, una rete molto limitata di centri di assistenza sanitaria di base e dove la situazione umanitaria era già deteriorata”, dice Michael Keizer, vice capo missione di MSF in Sud Sudan. “Con l’arrivo della stagione delle piogge, fornire assistenza umanitaria diventerà ancora più difficile, mentre i bisogni delle persone cresceranno”.

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Testimonianze degli sfollati: “Hanno ucciso, stuprato e saccheggiato, poi hanno bruciato le nostre case.”


William Nyuon Kuolang, 41 anni, ha cinque figli, con i quali, fino al mese di febbraio, viveva a Yuai. Da quando gli scontri fra l’Esercito di liberazione del popolo Sudanese e i gruppi d’opposizione li hanno costretti a fuggire, William e la sua famiglia vivono in un villaggio vicino a Pieri.

 

“Sono fuggito da Yuai il 15 febbraio a causa dei combattimenti. Degli uomini armati ci hanno attaccati alle due del pomeriggio. Sono stato costretto a scappare di corsa insieme alla mia famiglia. Non c’è stato il tempo di prendere nulla. Avevo in braccio uno dei miei bambini e correvo.

Stavano sparando nel villaggio. Hanno ucciso tutti. Le donne sono anche state stuprate. Hanno ucciso mia sorella e i suoi due bambini, così come mio padre e mio zio. Hanno bruciato alcuni dei tukul, hanno preso il bestiame e hanno persino distrutto i pozzi della comunità. A Yuai io avevo un grande orto e un po’ di bestiame. Ho perso le mie mucche e le capre. A Yuai si stava bene. C’erano le medicine. Ma quando hanno attaccato la città, hanno preso le medicine e anche i vestiti. I bambini sono rimasti senza medicine e senza vestiti e adesso dormono sotto gli alberi.

Vengo a Pieri tutti i giorni, anche se devo camminare per quattro ore. Vengo a cercare cibo per i bambini e per conoscere le ultime notizie sul conflitto. Non vivo a Pieri con la mia famiglia perché ho paura che la città sia attaccata. La settimana scorsa sono venuti e sono restati qui per tre ore. Ci sono stati degli spari ma nessuno è morto.

A Yuai avevo abbastanza cibo per sfamare la mia famiglia. Adesso ho soltanto il cibo delle distribuzioni e le foglie degli alberi. Quando mangiamo le foglie, ci fa male lo stomaco. Penso che sia per questo che abbiamo la diarrea. Uno dei miei bambini è morto di colera una settimana fa. Si chiamava Nyadel e aveva cinque anni. Io sapevo che a Pieri non ci sono abbastanza medicine e pensavo che sarebbe guarito, quindi ho deciso di aspettare. Il giorno dopo era morto

 

Elisabeth Nyamoun, 44 anni, ha otto figli e sei nipoti. Da quando è fuggita da Yuai tre mesi fa, vive sotto un albero a Pieri insieme alla sua famiglia. 

 

“Vivo a Pieri da tre mesi. Sto in città, sotto un albero, in un terreno che appartiene a qualcun altro. Tutta la mia famiglia è a Pieri. Siamo fuggiti dai combattimenti. Degli uomini armati sono arrivati e hanno ucciso le persone. Non è la prima volta che sono stata costretta ad abbandonare la mia casa. L’ultima volta fu nel 2013. Vivevo a Malakal e quando siamo stati attaccati mi sono trasferita a Yuai. Adesso sono di nuovo sfollata.

Quando siamo fuggiti abbiamo perso alcuni bambini perché era impossibile correre con loro. Quindici persone che conoscevo sono state uccise e altre dieci colpite dai proiettili. Erano bambini, donne e uomini. 

Il 16 febbraio alcune persone sono tornate a casa in cerca di cibo. So che 30 donne sono state stuprate e due ragazzine sono state uccise. Avevano 15 anni. Volevano portare cibo, vestiti e altre cose di cui avevano bisogno con loro fuori da Yuai. Alcune donne, dopo, sono andate a Lankien per ricevere cure mediche ma molte di loro non hanno raccontato a nessuno quello che hanno subito, neanche ai loro mariti.

Abbiamo tre problemi qui: non ci sono case, non c’è cibo e sta arrivando il colera. Mangiamo soltanto le foglie degli alberi e il cibo che riceviamo dalle distribuzioni. E’ difficile procurarsi cibo. Abbiamo ricevuto una busta di sorgo sufficiente più o meno per 12 giorni. Ce n’è rimasto ancora un po’ ma le persone che non sono registrate per le distribuzioni vengono a elemosinare cibo da noi. Vengono dai villaggi qui intorno e io do loro del cibo.

 

Alcune persone sono disorientate, perché non mangiano e non bevono. Nessuno ha uno stipendio e nessuno può comprare legna da ardere. Io, quando non ho nulla da vendere, non ho neppure i soldi per comprare al mercato. L’acqua viene dai pozzi e non basta per tutti. Non posso tornare a Yuai finché tutti i soldati non se ne saranno andati. Il nostro tukul è stato bruciato ma vorrei tornare”.

 

 

Nhiaan Chaar,* 29 anni, lavorava come farmacista per MSF a Yuai. Dopo essere fuggito insieme a sua moglie e ai loro tre figli a febbraio, è venuto a Pieri, dove, insieme ad altri operatori di MSF, lavora nelle cliniche mobili per fornire assistenza sanitaria di base nell’area. 

 

“Sono nato e cresciuto a Yuai. Poi, nei primi anni Novanta, i miei genitori decisero di trasferirsi a Khartoum, a causa del conflitto e anche perché non c’era più cibo. Sono tornato da Khartoum dopo la firma degli accordi di pace del 2004/2005. Mi sono sposato a Yuai nel 2009. Mia moglie è originaria di Pieri. A quei tempi possedevo tanto bestiame. Adesso ho soltanto sei mucche. Stavamo molto bene a Yuai. Non c’erano combattimenti, era bello e pacifico.

Ho iniziato a lavorare per MSF nel 2011 come operatore comunitario e poi, nel 2014, sono diventato farmacista. Si lavorava bene e avevamo molti pazienti. Eravamo in trenta, compresi 17 operatori sanitari.

Ci hanno attaccati alle due del pomeriggio e hanno sparato. Quando siamo arrivati in ospedale, quella mattina, il nostro supervisore ci ha detto di tornare a casa perché fossimo insieme alle nostre famiglie in caso la situazione peggiorasse. E’ stato in quel momento che abbiamo sentito gli spari e abbiamo detto anche ai pazienti di tornare a casa.

Gli uomini armati hanno preso tutto dalla clinica, tutto. Hanno ucciso chi non riusciva a scappare di corsa: gli anziani e i disabili.

Appena arrivati a Pieri, noi dell’équipe di MSF abbiamo iniziato a lavorare, fornendo medicinali a chi ne avesse bisogno attraverso cliniche mobili. Quando è possibile, MSF fa arrivare qui i medicinali, altrimenti siamo noi a dover andare incontro all’équipe di MSF altrove se l’aereo con i rifornimenti non può atterrare.

Stiamo veramente facendo la differenza, anche se non abbiamo materiale per le iniezioni e non possiamo curare malattie come il kala-azar. A volte è triste non poter aiutare qualcuno soltanto perché non abbiamo i medicinali. Molti bambini si ammalano a causa delle condizioni igieniche precarie. Per questo è importante aiutare la nostra comunità a ricevere medicinali e assistenza.

Circa 32.000 persone vivevano a Yuai ma adesso sono fuggiti tutti. Alcuni sono andati nei campi rifugiati in Uganda, Kenya o Etiopia. Anch’io potrei andare ma non voglio lasciare Pieri perché qui sono utile.

La situazione alimentare a Pieri è molto complicata. Non si trova nulla al mercato quindi chi non ha niente non può neanche comprare. La maggior parte delle ONG sono andate via. Io sostengo tre famiglie: mia moglie e i nostri figli, mia sorella con suo marito e i loro quattro bambini e anche la famiglia dei miei suoceri. Loro non hanno soldi. Come potrei andare via?

La gente ha paura del colera. Vengono alla clinica per qualsiasi disturbo, pensando che si tratti di colera. La settimana scorsa sono morte 23 persone nella comunità e questa settimana altre tre. Io penso che siano morte di colera. Noi spieghiamo ai pazienti come proteggersi ma la gente ancora non sa come comportarsi.

Mi piace Yuai e non voglio continuare a vivere qui a Pieri. So che parte della mia casa è stata distrutta e che hanno preso tutto, compresi i miei averi, ma voglio tornare lo stesso.”

 

*Il nome è stato cambiato per proteggere la persona.

 

 




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