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Alitalia: la nazionalizzazione e' la strada giusta

Alitalia: la nazionalizzazione e' la strada giusta
Autore: Lucio Giordano - Redazione Attualita'
Data: 29/04/2017

Innanzitutto smentiamo la tesi che sta circolando in questi ore: i dipendenti Alitalia hanno sbagliato a votare no al referendum. Non è vero. Non sono stati autolesionisti. Anzi.

Hanno semplicemente capito che non era più tempo di chinare supinamente la testa, come hanno fatto per venti anni. Loro e tantissimi altri lavoratori italiani.

Perché accettare lo stato delle cose porta inevitabilmente a perdere tutto . I risultati, inutile illudersi, si ottengono solo attraverso la lotta.

Solo reagendo alle soperchierie. Prova  ne sia che nel ventennio fine 60 fine 80, quando ci si batteva compatti contro datori di lavoro avidi ed egoisti,  si sono ottenute conquiste inimmaginabili nel mondo del lavoro. Del resto, i dipendenti Alitalia non sono nati ieri. In questi dieci anni ne hanno viste di tutti i colori, ad iniziare dallo stop alla vendita dell’azienda, ai francesi di Air France.

All’epoca  Berlusconi, con l’appoggio della Lega nord, bloccò l’affare. Giusto, sbagliato? Di sicuro fu sbagliata la soluzione: mettere insieme una cordata di imprenditori per rilanciare la compagnia di bandiera italiana. L’ex Cavaliere ha tutti i difetti di questa terra. Ma non è stupido: quella mossa furba gli servì infatti per vincere le elezioni del 2008 . Sappiamo poi  come è andata. La cordata si è rivelata una cordata a dir poco  di incapaci, come il il 99 per cento della attuale classe dirigente italiana e non solo italiana.Poi la vendita ad Etihad: peggio che andar di notte. 

Ed ecco allora la proposta per  salvare Alitalia, un pesante piano di tagli al personale.  Come sempre, come tutte le volte a pagare dovrebbero essere i lavoratori e non i manager dalle liquidazioni milionarie .Ma i dipendenti della nostra compagnia di bandiera stavolta hanno detto basta.

Dietro ogni licenziamento, c’è una persona con una storia, una  famiglia. C’era scritto a chiare lettere anche su uno striscione all’ingresso dell’aeroporto di Fiumicino. E senza lavoro un essere umano non è niente.  Niente futuro, nessuna pianificazione quotidiana.  In definitiva, ora che si è avvitato su se stesso a causa della spietata globalizzazione senza regole che stiamo vivendo da vent’anni a questa parte, il sistema è da svitare. Punto.

Poche storie: qui non è questione di protezionismo o di nazionalismo, è questione  invece di ricomporre i cocci di un sistema andato in frantumi,  di un patto generazionale tradito,  e in cui l’Italia paga uno dei prezzi più alti al mondo. Il tutto a causa della scriteriata gestione di una classe dirigente disastrosa e che non viene mai punita  per i propri errori, per la propria avidità.

Per la propria corruzione. Da non dimenticare quello che avvenne, secondo molti, in quel famoso 2 giugno del 1992 a bordo del Britannia: la svendita dell’Italia e dei suoi asset strategici: Telecom, Enel, Poste eccetera. La svendita cioè delle principali aziende  del  Paese,  che avevano fatto grande la nostra nazione e che è stato criminale cedere .  Ecco: acquistare quote consistenti di aziende floride oppure distruggerle  fino a lambire il loro  fallimento, per poi comprarle per un tozzo di pane.

E questa la strategia ormai scoperta delle multinazionali di ogni settore. Riguarda anche l’Alitalia, certo.

Per la nostra compagnia di bandiera, le strade che si stagliano all’orizzonte  dopo  il ricatto respinto dai lavoratori, sono tre: il fallimento ( pura follia) , la vendita, ipotesi che nonostante le smentite di circostanza come quelle di oggi ( nient’altro che tattica), sta ingolosendo le principali compagnie aeree che  puntano in realtà ad acquistare gli aerei e i privilegi degli hub Alitalia per due soldi e attendono il momento giusto come avvoltoi sulla preda. Oppure, terza ipotesi,  la nazionalizzazione, che il governo non vuole e, ad ascoltare Poletti, Del Rio, Padoan, non potrebbe attuare. Invece è proprio questa l’unica via saggia: la nazionalizzazione.

Un Paese come il nostro, un museo a cielo aperto, il giardino del mondo  che potrebbe vivere di turismo se  solo volesse, non puo’ rinunciare alla propria compagnia di bandiera.

Per immagine, ovvio. Ma anche per   strategia commerciale. Più infatti una nazione tiene stretti i propri gioielli di famiglia, più è forte. Altrimenti è lecito pensare che a bordo del  Britannia c’è davvero chi ha puntato alla svendita del Paese. Un po’ come fatto con la Grecia: strozzata dagli aguzzini della Troika, è ora costretta a privatizzare anche i porti, come quello di Salonicco, e a cedere pezzo a pezzo le sue incantevoli isole dell’Egeo.

Chiaro:  la nuova Alitalia nazionalizzata dovrebbe riorganizzarsi completamente, puntare sulle rotte a lungo raggio che non sono in perdita e non soffrono la concorrenza dei low cost e delle ferrovie, e allontanare per sempre  gli incompetenti amministratori delegati che l’hanno distrutta e strutturarsi per combattere una concorrenza senza regole, in un mondo perversamente globalizzato. Altrimenti la gente continuerà a volare Vueling, Easy jet, Rayanair. Compagnie che hanno strategie commerciali aggressive, in linea con la totale deregulation di questi ultimi 20 anni.

E che dunque  viaggiano leggere e  con costi di gestione ridotti all’osso. Forse anche troppo all’osso.

Lucio Giordano




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