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Bersani VS Renzi

Bersani VS Renzi
Autore: L'editoriale di Lucio Giordano
Data: 23/10/2016

Non so se ve ne siete accorti, ma  ieri sono esplosi  dei colpi di granata che sono  passati sotto silenzio. Per chi però  ha capacità di intendere la politica hanno il valore delle bombe al Napalm della guerra in Vietnam.

Li ha sparati Pierluigi Bersani nell’intervista rilasciata e poi smentita al quotidiano La Repubblica. Si badi bene: l’intervista è stata smentita ma le dichiarazioni no. Nessuna ritrattazione.  Del resto l’incontro è stato moderato proprio dal giornalista che firma l’articolo sul quotidiano. Magari , dunque, quell’intervista c’è stata per davvero e Bersani si è  solo reso conto di aver esagerato con le verità proferite tutte insieme in una volta sola. E così, è un’ipotesi,  ha provato   a fare marcia indietro. Comunque sia andata: peccato, perché l’ex segretario dem ha detto cose che qualsiasi elettore di sinistra, anche tra quelli che ancora oggi  continuerebbero a votare Pd, pensa e vorrebbe sentirsi dire.

E allora andiamo con ordine. Dice Bersani:   “Bisogna far eleggere il segretario del Pd dagli iscritti, e lasciare le primarie di coalizione per la scelta del candidato premier del centrosinistra”. Vero. Su Alganews lo ripetiamo da tre anni: sarebbe folle far eleggere  un amministratore di condominio anche da chi abita a quattro palazzi di distanza. Ma  questo è  è ciò che è accaduto in quel famigerato 8 dicembre 2013, nelle primarie del Pd. Renzi è stato votato anche da chi abita a quattro palazzi di distanza se non addirittura da chi vive in un’altra città. E l’errore fu, ad onor del vero,.  proprio di Bersani, che modificò lo statuto per far votare chiunque e non  come  logica vuole, solo gli iscritti del Pd .

Ancora: “A  Roma dopo la sconfitta non si è fatta neanche una riunione e non si è dimesso nessuno. In mezza Italia siamo troppo permeabili a fenomeni che come minimo chiamerei di trasformismo”.  Vero anche questo. Invano, dopo la catastrofe elettorale di Roma e Torino,  in molti avevano chiesto le dimissioni di Matteo Renzi, quanto meno da segretario del partito. L’ex sindaco di Firenze ha fatto orecchie da mercante. E in genere la cosa  gli riesce benissimo.

Bersani, tra Grillo e Verdini, sceglie il leader dei 5 stelle. spiegando anche  il perché, nella ‘fantomatica’ intervista:  “Con quello che sta accadendo nel mondo a destra, il M5S ha dato una mano tenere il sistema in equilibrio, portando l’insofferenza sul terreno parlamentare. Col senno di poi, il governo di cambiamento che proposi nel 2013 resta una buona idea: avrei proposto 3-4 lenzuola centrate sui diritti dei consumatori e sulla trasparenza e avrei voluto vedere con che faccia il M5S avrebbe potuto bocciarle”.

Esatto. Forse un  governo tra la coalizione  Italia bene comune e il M5s sarebbe durato lo spazio di un sogno, ma era quello che gli italiani chiedevano all’indomani del voto. Ostinato, Napolitano, stoppo’  invece Bersani al primo tentativo fallito, procurando un orgasmo a Jp Morgan e a tutto il mondo della finanza internazionale, che vedevano quell’ipotetica alleanza come una spruzzata di gas urticante negli occhi. Come avrebbero potuto infatti  tutelare i loro interessi con un governo progressista? Non dimentichiamo infatti che fino alla fine del 2013 l’elettore percepiva il Pd come un partito di centro sinistra, e non di destra come si è trasformato ora con la segreteria del restauratore Renzi.

Ma le due granate più rumorose Bersani  le ha lanciate sui risultati alle europee e la vittoria del Pd con il 40%, giudicata dall’ex segretario  “un’amichevole: e i voti di destra sono arrivati per questo”  Ma soprattutto sul combinato disposto  tra Italicum e riforma costituzionale. Il rischio evidente è una svolta autoritaria. Un esecutivo che si libera del fardello parlamentare per prendere decisioni rapide  e veloci che l’opinione pubblica non riesce a metabolizzare , rischia infatti  di mandare in pezzi il Paese. E già capitato con il fascismo, e  poi con il governo Monti.

La riforma Fornero sulle pensioni, quasi sicuramente non sarebbe passata se non fosse stata approvata in tempi rapidissimi. Idem il Jobs act voluto da Renzi e dalle multinazionali. Provate a chiedere agli italiani se ,ragionandoci, non sarebbero scesi in piazza per difendere lo status quo. Sereni:  il 90 per cento di loro avrebbe fatto le barricate se solo avesse avuto a disposizione qualche mese in più per riflettere sulle gravi conseguenze delle leggi approvate in fretta e furia.

La realtà è che Bersani, con pochi colpi ben assestati, ha distrutto la strategia dell’attuale presidente del consiglio e di chi ha interesse a sostenerlo. Ha squadernato sul tavolo una realtà incontrovertibile poi,  ha lanciato l’ultimo granata, quella più potente,   dicendo che il Pd di Renzi è finito.  Ha ragione anche in questo caso: basterà attendere il 4 dicembre, dopo la sconfitta del Sì, per averne conferma.




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Data:10/08/2013
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