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Muore un Nobel e ne nasce uno nuovo in uno scambio di scettro a dir poco insolito. L’Accademia si Svezia si è pronunciata a favore di un pensiero innovativo, anche un po’ rock, volendo dirla in maniera scanzonata, si rigireranno nella tomba i vecchi intellettuali ma qui c’è poco da criticare, i tempi della letteratura vanno rivisitati. Ci saranno noti contrari, vedi Tiziano Scarpa, gli esaltati alla notizia come Toni Negri, anche gli scettici o meglio gli appassionati come Ansaldo su l’Internazionale e tutti quelli che di letteratura non capiscono nulla e che nemmeno si pongono il problema. Questo Nobel suscita perplessità ma anche ammirazione, perché dilegua con un colpo di spada tutti i taboo intorno al concetto sacro di cultura e letteratura appunto, un limite talmente fluido e liquido che un contenitore per denominarlo tutto non basta più. Abbiamo dato il premio alla bravura come cantautore, il che vuol dire tutto e niente, il premio all’innovazione, è dal ’62 che Dylan innova, rispecchiando la sua vita bella e ricca e artistica con la sua produzione così ispirata. Dylan come cantautore e ci chiediamo, e tutti gli altri nel mondo, finora? Il premio di Svezia è anche profondamente umano e soggettivo, è relativamente rivolto ad una bravura universale, non vi è dubbio, è come dare un premio al miglior film senza sapere che di opere massime ne è pieno il mondo ma tutte chiuse nel cassetto o non ancora abbastanza pubblicizzate. E poi vogliamo parlare della forma. Testi musicali, quindi per loro stessa definizione pregni di un valore che va riconosciuto anche al mezzo con cui si trasmettono, la voce, lo strumento, la tonalità. Si potrebbe dire lo stesso della poesia. Vinse Montale, vinse per una produzione poetica che in quel momento era l’urlo di rivolta di un paese lacerato, di un linguaggio obsoleto che moriva dal desiderio di sdoganarsi da tanta simmetrica perfezione e calarsi nel fango del virtuosismo linguistico. Poi ha vinto Dario Fo per Mistero Buffo, un testo teatrale che ancora oggi in pochi, ma buoni, comprendono. Il teatro allora? Non si fruisce anch’esso tramite un palcoscenico e una schiera di attori che inchiodano lì a guardare in una sola direzione, senza mai distrarsi? Non c’è stato tanto da discutere. Adesso che Dario Fo è morto, è arrivato Bob Dylan a farci riflettere, con la sua schiera di non-ritornelli, quindi la non possibilità di inneggiare e corizzarsi in un unico gruppo quasi pop. Dylan è il suo stesso modo di cantare, è lui che si fa voce sul palco, attraverso le parole e arrangiamenti inetichettabili. Abbiamo la prova oggi che è possibile altro dalla letteratura così come siamo abituati a pensarla. Non facevano così anche i Greci? Autori delle composizioni d’amore più belle della storia dell’uomo e pur sempre accompagnati, all’epoca, dal suono di cetre e strumenti a fiato. Non per questo il loro valore è venuto meno e a scuola si continuano a leggere i testi come parola pura. Non sarà più pura la parola di un testo muto come quello di un libro, un volume aperto o chiuso a seconda delle nostre predisposizioni del momento? Non lo crediamo, perché la parola parla comunque aldilà di barriere strumentali o mezzi scenici. La parola è il segreto che si fa luce dall’intimo di un uomo, dalla sua vita, dal sorgere delle sue verità che si rendono pulsanti attraverso l’espressione. Di questo si saranno ricordati i venti intellettuali e professori riuniti a Stoccolma, si saranno ricordati anche di un uomo, della sua vita che si fa essa stessa opera d’arte, parola, gesto. Chiudiamo con una delle sue più belle canzoni, A Hard Rain’s a-gonna fall … Non la sentite la pioggia che sta per cadere?
Noi si.
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I commenti: | |||
Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 21/12/2024 03:18:24 |
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